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PFAS, una sentenza storica per il Veneto: condanne e risarcimenti

PFAS, una sentenza storica per il Veneto: condanne e risarcimenti

La Corte d’Assise di Vicenza condanna undici imputati per disastro ambientale doloso e avvelenamento delle acque. Dopo anni di lotte, studi, denunce e malattie, arriva il verdetto. E la Regione sarà risarcita

Un processo lungo 4 anni, un caso di inquinamento tra i più gravi mai accaduti in Europa.
Il Veneto, alla fine, ha avuto giustizia.
La Corte d’Assise di Vicenza ha pronunciato ieri una delle sentenze ambientali più importanti della storia giudiziaria italiana.
Stabilendo undici condanne, pene dai 2 anni e 8 mesi fino a 17 anni e mezzo di reclusione e soprattutto il riconoscimento dei reati di disastro ambientale doloso e avvelenamento delle acque.
La sentenza dispone anche risarcimenti per le parti civili, tra cui la Regione Veneto, che riceverà oltre 6,5 milioni di euro, insieme a Ministero dell’Ambiente, Province, Comuni e cittadini coinvolti.
Sul banco degli imputati, il gruppo ai vertici dell’ex Miteni di Trissino, condannato per aver messo consapevolmente a rischio la salute pubblica e aver causato un disastro ambientale.

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Chi inquina paga”, commenta soddisfatto il Presidente del Veneto Luca Zaia, ribadendo il principio che ha guidato l’azione della Regione fin dalle prime fasi della scoperta dell’inquinamento.
“Oggi si chiude una lunga pagina di dolore, ma si apre una nuova fase di responsabilità e impegno”  ricorda l’assessore all’ambiente Gianpaolo Bottacin, sottolineando la necessità di introdurre finalmente limiti nazionali chiari ed efficaci sulla presenza di PFAS nelle acque potabili e negli scarichi industriali.
Una richiesta che arriva da tutte le Regioni e che il Veneto, che finora ha operato spesso in solitudine, ribadisce con forza.

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Il presidente della regione Veneto Luca Zaia

La Regione “in prima linea”

A leggere le dichiarazioni dei rappresentanti veneti – il presidente Luca Zaia, l’assessore alla Sanità Manuela Lanzarin, l’assessore all’Ambiente Gianpaolo Bottacin – emerge un quadro di mobilitazione istituzionale e tecnica senza precedenti.
Che ha avuto inizio nel 2013, quando ARPAV, l’agenzia ambientale regionale, su mandato della Giunta, ha segnalato per la prima volta alla magistratura la presenza anomala di PFAS nelle acque della Valle del Chiampo.
L’inquinamento venne individuato grazie a una ricerca sperimentale del CNR e del Ministero dell’Ambiente sugli “inquinanti emergenti” nei bacini fluviali italiani.

Dalla “zona rossa” all’emergenza nazionale

A essere contaminata era la falda acquifera più profonda e diffusa del Veneto occidentale, da cui si rifornivano oltre 350.000 persone nelle province di Vicenza, Verona e Padova. Le analisi avevano  rilevato concentrazioni altissime.
Da lì prese forma un’emergenza ambientale e sanitaria, che portò alla creazione della cosiddetta “zona rossa” e allo stato di emergenza nazionale nel 2018.
“La sentenza della Corte d’Assise di Vicenza, che riconosce il reato di disastro ambientale doloso e condanna i vertici della Miteni, è un atto di giustizia atteso da anni e rappresenta un riconoscimento importante per tutte le comunità coinvolte – commenta Luca Zaia -. La contaminazione  ha interessato oltre 190 km² tra le province di Vicenza, Verona e Padova. In un quadro normativo allora assente, la Regione ha agito con determinazione, imponendo ai gestori idrici la filtrazione delle acque, stanziando fondi per la messa in sicurezza e attivando, nel 2016, un Piano di Sorveglianza Sanitaria aggiornato nel 2018, che ha coinvolto 127.000 cittadini dell’Area Rossa.

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Un intervento senza precedenti

La Regione Veneto, in assenza di una normativa nazionale sui PFAS, decise di agire in autonomia.
“In assenza di un intervento statale, pur non avendone la competenza – spiega Gianpalo Bottacin-, ci siamo assunti l’onere di fissare limiti precisi sia per le acque potabili che per gli scarichi industriali, assumendoci responsabilità e rischi, ed esponendoci a numerosi ricorsi legali. La Commissione parlamentare bicamerale d’inchiesta sugli ecoreati ha successivamente confermato in modo inequivocabile che la competenza in materia di limiti per queste sostanze era e resta dello Stato”.

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Gianpaolo Bottacin, assessore all’Ambiente e alla Protezione civile Regione Veneto

Gli studi epidemiologici e i biomonitoraggi condotti in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità hanno mostrato la presenza diffusa di PFAS nel sangue della popolazione, legami con alterazioni ormonali, effetti su fegato, reni, fertilità e sistema immunitario.
“Il Veneto ha attivato una delle più articolate e rigorose risposte sanitarie mai viste in Italia in materia ambientale: piani di sorveglianza sanitaria, biomonitoraggi, studi epidemiologici su mortalità, tumori, patologie cronico-degenerative e salute materno-infantile, oltre a specifici approfondimenti sui lavoratori dell’ex stabilimento Miteni – dettaglia l’assessore alla Sanità Manuela Lanzarin -.  Gli interventi si sono sviluppati lungo filoni distinti: biomonitoraggio umano (con il coordinamento dell’Istituto Superiore di Sanità), sorveglianza sanitaria sulla popolazione esposta e sui lavoratori, studio dell’associazione tra PFAS e biomarcatori, oltre alla ricostruzione storica della mortalità delle coorti residenti nell’area contaminata”.
L’insieme delle analisi è stato trasmesso all’ISS, che ha definito “esemplare” il lavoro svolto dalla regione, che ha saputo dare una “una risposta precoce, scientificamente fondata e tempestiva, costruita su trasparenza e rigore”.

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Un processo lungo, una verità attesa

Il procedimento giudiziario si è svolto nell’aula bunker del Tribunale di Vicenza a partire dal 2021.
Più di 130 udienze, centinaia di testimonianze, consulenze, perizie chimiche e mediche.
Il lavoro della Procura, sostenuto anche dalla documentazione della Regione, dei comitati e dei cittadini, ha permesso di dimostrare che i vertici di Miteni – e delle due holding alle spalle, la giapponese Mitsubishi Corporation e la tedesca ICIG – erano pienamente consapevoli dei rischi ambientali e sanitari derivanti dallo scarico e dall’interramento delle sostanze perfluoroalchiliche.
L’inquinamento si è protratto per decenni, senza che venissero adottate misure adeguate.
Alcuni operai dello stabilimento, nel frattempo deceduti, sono diventati il simbolo umano di questa tragedia silenziosa. E proprio pochi mesi fa, nel maggio 2025, il Tribunale del Lavoro di Vicenza ha riconosciuto per la prima volta un nesso causale diretto tra l’esposizione professionale ai PFAS e la morte di un dipendente della Miteni.
Ma la battaglia non è finita.
Resta ora da bonificare il sito contaminato di Trissino, mettere in sicurezza le falde, proseguire con i controlli sanitari e ambientali, accompagnare le comunità nell’elaborazione di una ferita profonda.

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