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A Venezia, l’idrogeno è già bio

A Venezia, l’idrogeno è già bio

Energia elettrica dai rifiuti: il progetto Modsen si aggiunge alle numerose pratiche sostenibili già in atto nella città lagunare

Per puntare a diventare “Capitale mondiale della sostenibilità” non basta un nome, Venezia, conosciuto in tutto il mondo. E nemmeno, da sola, una plurisecolare tradizione di resilienza e ricerca di un’innovazione non fine a se stessa, ma all’insegna di un vero progresso sociale.
Per la credibilità di un progetto così ambizioso servono scelte politiche, condivise trasversalmente, dalla chiara direzione. Ma soprattutto non sono sufficienti le parole: occorrono fatti concreti. Che in Laguna non mancano.
Basti pensare al biodiesel prodotto in loco dall’olio esausto (e poi utilizzato nei mezzi pubblici), alle “foreste liquide” di microalghe che risucchiano l’anidride carbonica dall’aria riutilizzandola a fini energetici, ai batteri per la produzione dell’idrogeno in assenza di ossigeno che sono stati selezionati anche per l’uso nello spazio dall’Agenzia Spaziale Europea.
Un ventaglio di innovazioni che, adesso, si è arricchito adesso di un nuovo importante progetto, chiamato Modsen.
Perché, se tutto il mondo ormai guarda all’idrogeno come fonte energetica del futuro, Venezia lo fa con un plus: collegandone la produzione al trattamento biologico dei rifiuti.

bioidrogeno

L’estrazione dell’idrogeno

Capofila del progetto è il Green Propulsion Laboratory del Gruppo Veritas, la multiservizi ambientale veneziana.
Una fucina di idee e azioni di ricerca e sviluppo mirate alla produzione di idrogeno “verde” ottenibile mediante processi biologici.
Bisogna infatti ricordare che, pur essendo l’elemento più presente in natura, l’idrogeno non esiste sotto forma di molecola, ma va estratto da altre sostanze.
Attualmente, circa il 90% deriva da scarti di reazioni chimiche, metano e altri idrocarburi come il carbone.
Si tratta prevalentemente dell’idrogeno conosciuto come “blu” e “grigio”, a seconda della destinazione dell’anidride carbonica che ne residua come scarto.
L’idrogeno può essere ulteriormente classificato per colori: dal “marrone” (derivante da gassificazione del carbone), al “turchese” (ottenibile per pirolisi del metano), a “giallo” e “rosa” (da elettrolisi di energia elettrica, della rete o nucleare).
L’etichetta di “verde” è invece riservata generalmente all’idrogeno prodotto dall’acqua, utilizzando processi di elettrolisi alimentati da fonti rinnovabili, come l’energia solare.

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Il progetto Modsen

Il nuovo progetto, unico in Italia e classificatosi al secondo posto nella graduatoria nazionale del Mise, si inserisce nella direzione di sviluppo di impianti mirati alla produzione, allo stoccaggio e alla conversione in energia elettrica del bio idrogeno prodotto dalla fermentazione dei rifiuti organici.
In alternativa alla tecnologia di elettrolisi, che richiede un elevato consumo energetico, l’obiettivo è quello di impiegare nella produzione processi biologici come la fermentazione dei materiali organici come quelli contenuti nel rifiuto urbano. Inoltre, si stanno sperimentando nuove tecnologie per lo stoccaggio.
Il bio-idrogeno consente inoltre di riconvertire a metano l’anidride carbonica estratta dai fumi industriali. E può essere utilizzato non solo in processi sostenibili all’interno degli impianti di trattamento dei rifiuti, ma anche nella produzione dell’energia elettrica utilizzando sistemi a celle combustibili o tecnologie innovative che ne consentano l’impiego, anche se a un minor grado di purezza.
Secondo le prime stime del Dipartimento di Ingegneria industriale dell’Università di Padova, che collabora al progetto, se si arrivasse a trattare con questo sistema il 10% della frazione organica dei rifiuti urbani prodotti in Italia, ne deriverebbe energia elettrica in grado di soddisfare i consumi annui di circa 60 mila famiglie.

Dai rifiuti al bioidrogeno

Grazie alla collaborazione con l’Università Ca’ Foscari di Venezia, che da una quarantina d’anni si occupa di ricerca sul trattamento e la valorizzazione del rifiuto organico, all’interno del progetto si mira a validare su scala pilota un sistema di produzione di energia elettrica mediante fermentazione di fanghi da depurazione e rifiuti organici, per poi consentirne la replicazione anche in altri contesti di multiutilities o industriali.
Al centro del sistema, c’è il processo di digestione anaerobica per la stabilizzazione dei fanghi.
In altri termini, si utilizzano alcuni microorganismi allevati in particolari condizioni, in modo da renderli in grado di scindere e convertire le molecole organiche in idrogeno, anidride carbonica e acidi grassi volatili.
Tra i fattori che influenzano il processo, spiegano gli esperti, vi è anche la tipologia di rifiuto impiegato e la modalità di pretrattamento.
Si richiede dunque un corretto bilanciamento tra le quantità di scarti, come fanghi da depurazione, rifiuti organici o olii esausti, effettuando una loro preventiva valutazione per ottenere poi la massima efficienza nella produzione di energia.

Il Green Propulsion Laboratory di Veritas

“Il Green Propulsion Laboratory di Veritas, nato da un progetto del Ministero dell’Ambiente sviluppato in collaborazione con il Comune di Venezia, ospita piattaforme tecnologiche per ricerche avanzate a livello mondiale – sottolinea il responsabile del GPLAB, Graziano Tassinato. – Uno dei filoni principali è rappresentato dalla ricerca sul bioidrogeno, prodotto direttamente dai rifiuti, tramite l’azione di specifici batteri o alghe. Le sperimentazioni sono già partite e nei prossimi tre anni valuteremo i risultati per arrivare poi a definire la concreta possibilità di trasferire, su scala industriale, risultati ottenuti e tecnologie messe a punto. Dobbiamo trovare le risposte alle questioni poste in partenza – precisa Tassinato -: durante la fermentazione dei rifiuti organici, quanto bioidrogeno può essere prodotto e come può essere utilizzato? Per quanto ci riguarda le sperimentazioni, sviluppate nell’ambito del progetto MODSEN, ci offrono l’opportunità di guardare anche oltre e cioè al possibile utilizzo del bioidrogeno come catalizzatore per riconvertire l’anidride carbonica estratta da fumi industriali e ricombinarla in modo da produrre metano . Questo è un processo di frontiera per incidere sulle emissioni del futuro: arrivare a ottenere metano, grazie a un ciclo di lavorazione proveniente da processi davvero sostenibili.

Dalla riconversione di Porto Marghera alla Capitale della sostenibilità

Le iniziative “green” trovano un contesto ideale nell’ecosistema produttivo veneziano, anche nell’ottica del momento storico che sta vivendo l’Italia, ma ancor più l’area produttiva del Veneziano. Da anni, l’insediamento industriale di Porto Marghera si sta infatti ripensando nell’ottica di una riconversione che fa della sostenibilità uno dei cardini fondamentali.

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Porto Marghera, Venezia

Ancor prima del Pnrr, che può dare un ulteriore impulso in questa direzione, a Venezia si è infatti cominciato a lavorare nell’ottica dell’economia circolare, del riutilizzo degli scarti (dalla vinificazione ai crostacei), di biocarburanti, di energie alternative,  decarbonizzazione, ma anche di turismo sostenibile.
Una risposta sia ai cambiamenti climatici, sia alle nuove esigenze della società.
È in questa prospettiva che, puntando a tornare a essere attrattiva anche a livello globale, Venezia si propone come laboratorio internazionale di sperimentazione e innovazione, luogo d’avanguardia culturale e tecnologica in chiave sostenibile.
Capitale della sostenibilità, cioè, che sappia creare modelli di ecosistemi innovativi in particolare in settori di frontiera come green economy e riconversione energetica.

Alberto Minazzi

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