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I relitti del Golfo di Venezia: un patrimonio sommerso inestimabile

I relitti del Golfo di Venezia: un patrimonio sommerso inestimabile

Tante le testimonianze dell’intenso traffico marittimo che animava la laguna, le bocche di porto e la costa in prossimità degli approdi.

Non ci pensiamo mai ma esistono mondi sconosciuti e interessanti accanto a noi.
Venezia è città delle meraviglie architettoniche e artistiche.
Ma è anche una città di mare, che proprio nella profondità delle sue acque custodisce un patrimonio archeologico che solo i sub conoscono e che ci parla della nostra storia, passata e recente.
Un tesoro inestimabile, sul quale sta ora lavorando anche l’Università Ca’ Foscari con il progetto interregionale Underwater Muse”, in collaborazione con la Croazia.

Un mondo sommerso pieno di sorprese

In realtà una mappatura dei relitti che, per secoli, sono rimasti nei nostri fondali, già esiste, così come esiste una conoscenza concreta da parte dei vecchi pescatori, che con le loro reti spesso si sono imbattuti in alcuni reperti trovando fasciame, legno lavorato, chiodi o altri materiali.

Relitti sommersi
Relitti sommersi@Piero Mescalchin

Testimonianze inequivocabili dell’intenso traffico marittimo che animava la laguna, le bocche di porto e la costa in prossimità degli approdi.
Ma il mondo sommerso della laguna e del mare di Venezia, continua a svelare parti della nostra storia.
Gli stessi lavori per la realizzazione del Mose hanno portato alla luce i relitti di un brigantino. Si tratta di “Margareth”, nave affondata nel 1853 davanti la bocca di Porto di Malamocco.

Tante storie da raccontare

L’ultimo ritrovamento in ordine di tempo. Ma con “Margareth” ci sono il “Quintino Sella”, Il brigantino prussiano “Hellmut”, antiche galee, il relitto “delle alghe”, quello “dei cannoni” e molto altro.
Ognuno con la propria storia da raccontare, raccolta per lavoro e per passione dai sub, consapevoli che, ogni immersione, è un tuffo nel passato di tutti noi.

relitti
Un archeologo sub mentre esegue dei rilievi

“Nel 1995, durante un rilievo sul “Quintino Sella” -racconta Alessandro Tagliapietra, subacqueo sportivo dello storico Club Subacqueo San Marco – mi accorsi di qualcosa di bianco tra le lamiere del relitto. Era un blocco di carta, bruciacchiato ai lati, che si rivelò essere uno dei portolani di bordo della zona di La Spezia”.
Come si fosse conservato così bene, Dio solo sa, fatto sta che il reperto fu poi consegnato al Museo Storico Navale di Venezia e riconosciuto come autentico.

Quintino Sella incrociatore Amalfi
Quintino Sella -incrociatore Amalfi

Il Quintino Sella e la tragedia a Venezia

Il “Quintino Sella”, affondò a 11 miglia dal porto di Venezia centrato in pieno da una motosilurante tedesca l’11 settembre 1943, tre giorni dopo il proclama dell’armistizio con gli Alleati firmato da Badoglio. Una tragedia, quella di questa nave, il cui dramma è stato raccolto direttamente da Tagliapietra dalla voce di uno dei marinai superstiti, che vide i siluri solcare l’acqua e dirigersi verso la plancia. “L’imbarcazione portava a bordo diverso personale evacuato a Venezia, anche dall’Arsenale, tanto che nell’affondamento, durato mezzo minuto, morirono più di 200 persone oltre ai 27 marinai dell’equipaggio” spiega ancora Tagliapietra.

Il punto in cui affondò il Quintino Sella
Il punto in cui affondò il Quintino Sella

La misteriosa scomparsa e la Strage di Piazza Fontana

Il “Quintino Sella” giace spezzato in due a 25 metri di profondità, sui fondali sabbiosi davanti le bocche di porto del Lido. Nel 1956 si tentò di recuperarlo, ma se ne persero le tracce. Fu ritrovato da alcuni sub nel 1972, e dal 1992 i subacquei della Argo hanno fatto diverse ricognizioni al fine di documentarne con dei video (visibili su Internet) lo stato del relitto.
Il “Quintino Sella” fu anche protagonista di uno dei misteri della storia italiana, la Strage di Piazza Fontana. Secondo gli atti processuali, l’innesco esplosivo che venne fatto brillare il 12 dicembre 1969 nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura, proveniva dalle stive della nave, dov’era stato conservato in contenitori stagni.

“I relitti del Golfo di Venezia”

Ma il resto della nave non è l’unico che si trova lungo la costa adriatica così come tanti altri all’interno della laguna. Da una trentina di anni una mappatura di questi siti è stata fatta grazie alla Soprintendenza Archeologica del Veneto, che ne ha documentato l’esistenza nel libro “I relitti del Golfo di Venezia”, edito nell’ottobre 2015 da Grafiche Veneziane per conto della Regione Veneto e curato da Andrea Falconi, Simone Rauch, Stefania Coppa e Simonetta Boscolo. Ora, ad occuparsi di questo museo archeologico sommerso, è anche il progetto interregionale, “Underwater Muse” messo in piedi dal Dipartimento di Studi Umanistici di Ca’ Foscari.

Torpediniera colpita da un siluro
Torpediniera colpita da un siluro

I relitti dall’epoca romana ai giorni nostri

L’Ateneo ha preso in considerazione sei-sette siti che verranno studiati con la tecnica della fotogrammetria e quindi riprodotti anche in versione 3 D. Tre risalgono presumibilmente all’epoca romana e si trovano nella Laguna Nord. Sono la Cisterna di Ca’ Ballarin, il Molo nelle vicinanze di Cavallino, e il Torrione del Canale San Felice.
Quattro invece riguardano relitti. Sono il brigantino “Hellmuth” naufragato davanti San Nicoletto al Lido, il così detto “relitto dei mattoni”, affondato al largo della Bocca di Porto del Lido, la cannoniera colata a picco davanti Eraclea e il brigantino veneziano che giace sulle acque davanti Jesolo.

La conservazione di questi beni viene preferibilmente fatta in loco, nel sito di ritrovamento, che ne garantisce una migliore preservazione piuttosto del recupero, costoso e necessario di ampi luoghi dove collocarne i resti e manutenerli.

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I relitti di “San Marco in Boccalama 

Sono due galee del XIV secolo, ritrovate durante gli scavi del canale dei Petroli, ai margini dell’isolotto di San Marco in Boccalama. Le imbarcazioni vennero affondate appositamente da Venezia in quanto all’interno furono zavorrate e ancorate da grossi pali perché contenessero le rive dell’isolotto stesso. Servirono a poco, perché l’isola e il monastero agostiniano che vi era situato furono abbandonati. Per il loro recupero si provvide ad arginarli con una parancolatura di ferro per asciugarne l’acqua all’interno. Dopo le misurazioni e il prelievo dei reperti più importanti furono riallagati: il loro recupero e restauro sarebbe stato complicato, lungo e oneroso in attesa di dare loro una collocazione adeguata. Il fango del fondale li conserva perfettamente.

Il “Relitto del vetro”

Era una nave da trasporto del XVI secolo, individuato da alcuni sub nel 1980. Colò a picco davanti a Malamocco durante una tempesta di scirocco, proprio nel punto dove si incontrano le acque lagunari e marittime. Il suo nome deriva dal carico di vetro verde grezzo, riunito in blocchi di dimensioni importanti e proveniente probabilmente dal Medio Oriente. Accanto al carico di vetro, sono stati trovati 50 mastelli di legno ricolmi di materiale ferroso.

Il Relitto “delle Ceppe”

Questa nava, datata tra il 1600 e il 1700, fu trovata nel 1991 vicino alla Palada delle Ceppe, davanti alla diga foranea di Malamocco. Nel 1996 il gruppo subacqueo Argo ne curò la prospezione con immersioni per incarico della Soprintendenza Archeologica del Veneto.

Il Relitto “dei cannoni”

Si tratta di una nave da guerra di legno con fusti di cannone di ferro. Il vascello di primo rango fu varato all’Arsenale presumibilmente nel 1698 ma naufragò davanti Malamocco, forse per i forti venti di scirocco.

Il relitto “delle alghe”

E’ una nave datata tra la fine del II e inizi del I secolo a.C. Affondò a 12 miglia da Caorle e fu ritrovata a 30 metri di profondità nel 1992.  Il suo carico di anfore fu intravisto dai subacquei da una fessura della nave, ricoperta da alghe e “tegnùe”. Un termine questo che deriva dal dialettale di “trattenute”, riferito alle reti dei pescatori che nello strascico si impigliavano nei sedimenti che si sviluppano nei fondi rocciosi e ricoprono i relitti affondati.

Il relitto “dei mattoni”

Individuato a metà degli anni ’80, è una specie di burcio che prende il suo nome dal suo pesante carico con cui affondò a 6 miglia dalle bocche di porto del Lido.

Il brigantino prussiano “Hellmut”

Si trova a ridosso della diga di San Nicoletto. Il fasciame è a 6 -7 metri sott’acqua e ogni tanto pezzi di questo legno spiaggiano a riva. Affondò il 19 novembre 1860 a causa del cattivo tempo mentre cercava di accedere alla laguna dalla bocca di Porto del Lido. Aveva un carico di carbone coke, un combustibile a basso prezzo, che non valse la pena del recupero da parte della proprietà in quegli anni.

Il brigantino “Margareth”

Questa nave, lunga trenta metri e otto di larghezza, dalla stazza di 150 tonnellate, naufragò nel 1853 davanti la bocca di Porto di Malamocco. Fu portata alla luce nell’agosto del 2007 e posta su di un pontone – laboratorio dove ne vennero fatti i rilievi, grazie a Luigi Fozzati di Nausicaa della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto in collaborazione con il Magistrato alle Acque. Successivamente fu rimessa nella sua culla, sui fondali, affinché continuasse ad esserne preservata.

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I relitti della Laguna del Mort

Sono i siti chiamati “Eraclea 1” e “Eraclea 2”, due imbarcazioni da guerra presumibilmente di metà Ottocento, affondati accanto alla foce del fiume Piave.

Il relitto del Brigantino Veneziano

Si trova davanti al Lido di Jesolo a una profondità di meno di dieci metri.

8 commenti su “I relitti del Golfo di Venezia: un patrimonio sommerso inestimabile

  1. Interessante “tuffo” nel passato.


  2. Molto interessante e poco conosciuto.


  3. Molto interessante, non ho mai appofondito la storia di Venezia.


  4. Non si è capito perchè, in particolare per la galea di San Marco in Boccalama (l’altro relitto è di una rascona non una galea) ultimo e unico esemplare restante al mondo, non si sia proceduto al suo recupero costituendo un centro di ricerca e conservazione in Arsenale come si era in precedenza previsto. Un vero peccato e una grave mancanza.


  5. La posizione del Quintino Sella era da sempre conosciuta.Già negli anni 50 era stato trovato ed una piccola impresa veneziana con 2 palombari a bordo di un piccolo trabaccolo aveva lavorato per recuperare interamente il relitto(parlo del troncone più grande)e chi lo ha visitato avrà certamente notato le grosse imbragature d’acciaio passate sotto lo scafo.Altri sub visitarono il relitto nei primi anni 70 e da allora è stata una processione .


  6. molto interessante , la mia lunga carriera di subacqueo mi ha fortunatamente portato a vedere quasi tutti questi siti ,ma senza conoscerne la sua vera storia . Grazie


  7. Molto interessante e come marinaio,(comandante nave minore ), tutti i documenti di naufraghi e di perdita di vite umane nutro un grande rispetto


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