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Covid: in Italia tamponi obbligatori per chi arriva dalla Cina

Covid: in Italia tamponi obbligatori per chi arriva dalla Cina

Ritornano gli isolamenti. Campioni biologici sequenziati per il timore di nuove varianti

È l’Italia il primo Paese dell’Unione Europea a muoversi concretamente con misure volte a contenere il rischio che, dalla Cina, possa diffondersi nel mondo una nuova ondata di Covid-19.
Per prime si erano mossi Giappone e India. Ora anche Malesia, Stati Uniti (questi ultimi con una decisione operativa dal prossimo 5 gennaio) e Taiwan (dal 1° gennaio) hanno ora deciso di imporre l’obbligo di un tampone antigenico di controllo a chi arriva dagli scali aeroportuali cinesi.

Tanti i positivi tra i passeggeri cinesi testati

A Malpensa, i controlli sono già iniziati da qualche giorno, con risultati preoccupanti: 35 positivi su 92 (il 38%) tra i passeggeri del primo volo sottoposti ai test, 62 su 120 (il 52%) nel secondo.
L’ordinanza firmata ieri dal ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha però l’effetto di estendere i controlli a tutti gli aeroporti italiani (a Fiumicino i primi tamponi sono stati effettuati prima dell’alba a chi è sceso dal volo da Chongquing) e soprattutto di rendere i test obbligatori.

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Il ministro della Salute Orazio Schillaci

Le nuove regole, già in vigore, non si fermano però qui. L’ordinanza ministeriale prevede infatti anche il ritorno all’isolamento fiduciario delle persone trovate positive. E i campioni biologici saranno sequenziati, perché c’è il timore, espresso da diversi virologi, che il boom di contagi in Cina dopo lo stop alle restrizioni possa ricollegarsi a nuove varianti.
Ma non è questo l’unico tema di preoccupazione per chi dovrà gestire la situazione sanitaria.

Il tema-varianti

Al momento, ha tranquillizzato il ministro Schillaci, “non c’è motivo di preoccupazione. La misura si rende indispensabile per garantire la sorveglianza e l‘individuazione di eventuali varianti del virus, al fine di tutelare la popolazione italiana”.
Al riguardo, le autorità cinesi affermano che si tratta di Omicron 5, nei confronti della quale i vaccini usati in Europa risultano molto efficaci, a differenza del Sinovax, impiegato (peraltro con limitata diffusione tra la popolazione) in Cina. Presto, comunque, se ne saprà di più, dopo l’esito dei primi sequenziamenti italiani.

La variante Gryphon

Va detto che pure la variante Gryphon (etichettata esattamente XBB.1.5), possibile indiziata come causa dell’ondata in corso in Cina, appartiene alla famiglia di Omicron e quindi i sieri a rna messaggero sono in grado di proteggere la popolazione anche in questo caso.
Del resto, sulla base delle risultanze della banca dati internazionale Gisaid, Gryphon, pure minoritaria, è già nota da settembre e presente in molti Paesi occidentali. Compresa l’Italia, dove, secondo quanto dichiarato a “Il Gazzettino” dal direttore dell’Istituto Spallanzani, Francesco Vaia, i casi descritti ufficialmente sono 253.

La gestione dei flussi

Il Governo cinese, intanto, ha assicurato che la situazione è “sotto controllo”, sebbene siano circa 248 i milioni di persone, il 18% della popolazione del Paese, a essere risultate positive al coronavirus nelle prime tre settimane di dicembre, quando sono venute meno le pesanti misure restrittive decise dal Governo.
“Pechino – ha aggiunto il portavoce del Ministero degli Esteri, Wang Wenbin – è stata la prima a superare il picco dell’epidemia e la produzione e la vita stanno gradualmente tornando alla normalità”.
È chiaro, però, che, a fronte di un così elevato numero di persone potenziali veicoli di diffusione del virus, anche in considerazione dell’enorme numero di movimenti internazionali di cinesi atteso in occasione del loro capodanno di fine gennaio, le strategie messe in atto dai singoli Paesi possono avere un effetto limitato.
Tra gli altri, l’immunologa Antonella Viola, in un editoriale su “La Stampa”, ha auspicato quindi misure europee. Che potrebbero arrivare a breve, anche in considerazione della convocazione, per questa mattina, del Comitato per la sicurezza sanitaria dell’Unione.

Il problema degli scali

Intanto, in Italia, ci si sta muovendo anche a livello regionale. La Campania, per esempio, ha annunciato l’introduzione dell’obbligo di test anche per chi ha effettuato uno scalo intermedio con cambio aereo dopo essere partito dalla Cina. Una soluzione che, però, sembra di difficile applicazione: solo il 10% dei voli tra Italia e Cina sono diretti. Anche in questo caso, sarà fondamentale la cooperazione internazionale, puntando a rendere obbligatori i tamponi nell’aeroporto di primo sbarco, come Dubai o Istanbul, Londra o Francoforte.

Questi due ultimi grandi hub internazionali sono quelli di riferimento per esempio per l’aeroporto di Venezia, che non prevede collegamenti diretti con la Cina ma che, prima della pandemia, accoglieva circa 800 mila turisti cinesi l’anno, senza contare chi si sposta per motivi di lavoro o studio. A Tessera, il presidente del Veneto, Luca Zaia, dopo aver accolto con favore la decisione del Ministero, ha già annunciato la predisposizione di strutture per effettuare i test.

Alberto Minazzi

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