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AI PIEDI DEL MONDO

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Alla scoperta dell’azienda Franco  Ballin e delle produzioni di lusso del distretto calzaturiero della Riviera del Brenta
Ѐ una storia che ha radici lontane quella del distretto industriale della calzatura della Riviera del Brenta. Una storia che si lega addirittura a quella della prima associazione di calzaturieri veneziani, costituita nel 1268 con la denominazione di “Confraternita dei Calegheri”, il cui sigillo è tutt’oggi il marchio dell’Associazione Calzaturieri Riviera del Brenta. Lì, a cavallo tra le provincie di Venezia e Padova, hanno sede le aziende che sono le ideali eredi di quell’antica tradizione e degli artigiani che si trasferirono presso le località lungo il fiume Brenta per seguire i nobili veneziani in villeggiatura. Oggi la Riviera è il riferimento mondiale per la produzione di scarpe di lusso. Oltre alla produzione di numerosi marchi privati, infatti, la quasi totalità delle griffe mondiali in ambito calzaturiero è co-ideata, prodotta e commercializzata da aziende rivierasche. Complessivamente 725 aziende tra calzaturifici e produttori di componenti quali forme, tacchi, suole. Ed è proprio da questa stretta correlazione tra produttori di calzature ed aziende della filiera che il distretto calzaturiero della Riviera del Brenta è in grado di muoversi ed operare con successo sui mercati mondiali. Sono numeri importanti quelli del distretto che nel 2008 ha prodotto 21,8 milioni di paia di calzature.
Produzioni che avvengono in strutture industriali ma che sono il risultato di processi artigianali. Si pensi che in molti casi ogni singola calzatura viene “manipolata” 180-200 volte durante il processo produttivo. Prodotti di altissima qualità che giustificano il fatto che il prezzo medio risulti anche tre volte superiore alla media nazionale. Un distretto che impiega 12.300 addetti e che nel 2008 è arrivato a fatturare 1,93 miliardi di euro di cui il 90% destinato all’export in tutto il mondo. Una delle più rappresentative aziende della Riviera è la Franco Ballin. Fondata nel 1974 dallo stesso Franco Ballin che oggi la dirige assieme ai due figli Stefano, responsabile del controllo gestione e Roberto, responsabile della logistica. “A quei tempi era più facile – dice Franco Ballin che trentacinque anni fa è passato dall’essere dipendente ad aprirsi la sua azienda – oggi le nuove generazioni per affrontare mercati e produzioni hanno bisogno di ingenti mezzi. Una volta, per dar vita ad un’azienda calzaturiera, era sufficiente qualche artigiano e un tavolo da lavoro. Oggi, solo per iniziare, ci vogliono qualcosa come dieci milioni di euro senza considerare che l’investimento sarebbe ad altissimo rischio”.
Negli anni l’azienda Ballin si è evoluta, è mutata a seconda delle tendenze dei mercati, un po’ come hanno dovuto fare tutti i calzaturifici rivieraschi che si confrontano direttamente con il panorama mondiale. “Oggi qui in Riviera abbiamo due sedi – continua il capostipite della famiglia Ballin  –  la Ballin, a Fiesso d’Artico, che conta 40 dipendenti e la BZ a Paulello di Stra che ne conta 30 per un fatturato totale che nello scorso anno è arrivato a 26 milioni di euro. Ma soprattutto la nostra azienda ha necessariamente una doppia anima: con il marchio Ballin produciamo ”made in Italy” di lusso mentre con il marchio Everbody delocalizziamo completamente in Asia per produrre calzature a basso costo. Il mercato richiede questo. Si consideri che sul costo di produzione di una scarpa la manodopera influisce per il 50%, ed è chiaro che chi può permettersi la manodopera ad un prezzo sensibilmente più basso di fatto non ha rivali. Per questo noi pensiamo che la Cina, in particolare, e l’Asia, più in generale, non si possano nemmeno considerare nostri concorrenti in quanto inattaccabili. Ecco perchè, per quanto ci riguarda, siamo convinti che se non si fanno prodotti di lusso di valore aggiunto si ha vita  dura”. Ciò che ha reso la Riviera del Brenta un punto di riferimento mondiale per la calzatura è proprio la qualità della produzione. La Riviera è infatti considerata la culla della scarpa di lusso.
“Qualità dei materiali usati e della lavorazione sono le caratteristiche che giustificano il prezzo elevato – spiega più nel dettaglio Franco Ballin – ma attenzione perché non basta né questo né l’etichetta “made in Italy” per far in modo che la gente compri le calzature di lusso. Ecco allora che si rende necessario o il legame con le griffe oppure la produzione di prodotti particolari. Noi per esempio abbiamo appena presentato una linea di scarpe, alla quale abbiamo dato nome Tuoggi, che è frutto di ricerche sociologiche e che ha portato alla creazione di una collezione di scarpe eco-compatibile. Scarpe rispettose dell’ambiente con tomaie fatte di pellami organici di facile dispersione e riciclaggio, fodere anallergiche e conciate con prodotti naturali, suole realizzate con materiali ecologici, nel rispetto delle norme Cee in materia”. Si diceva delle griffe, un legame necessario per chi produce lusso. Ma vi è da dire che in questo caso l’interesse è reciproco considerato quello che i grandi marchi trovano nel distretto in termini di qualità del prodotto. “Qui i grandi marchi trovano tutto, escluso solo il conciario – prosegue il fondatore della Ballin – presso la Riviera del Brenta si trova la filiera completa per la produzione di scarpe. Questa è la vera forza del distretto. In Italia non ce ne sono altri di centri analoghi, di poli della calzatura di questo tipo. C’è solo qualche singola azienda sparsa per il Paese.
Ecco perché oltre alle aziende che lavorano per conto delle griffe, ci sono anche grandi marchi come Armani, Louis Vuitton, Dior, Costume National, che hanno acquistato proprio qui delle aziende per curare direttamente la loro produzione”. Per competere sul mercato mondiale anche l’indicazione del luogo di fabbricazione può risultare importante. Ma già l’introduzione dell’etichetta “made in Italy” nell’ambito calzaturiero è una questione controversa. “Per le calzature non c’è l’obbligatorietà di indicare il luogo di fabbricazione – spiega Franco Ballin – e quella che io definisco la ”lobby della distribuzione” si oppone a questo. Già l’introduzione di questa obbligatorietà sarebbe a mio avviso importante. Ma anche il luogo di fabbricazione vale poco se non viene abbinato all’arte, alla cultura alla tradizione della località d’origine. Chiaro che per i calzaturifici della Riviera del Brenta potersi abbinare al nome di Venezia è un plusvalore che deve essere sfruttato il più possibile. In questo senso io interpreto il concetto di città metropolitana come segno di appartenenza e identità ad un unico grande territorio. Tanto più che sarebbe auspicabile che i grandi flussi turistici che hanno come meta il centro storico di Venezia, in qualche modo venissero attratti dalla Riviera del Brenta,  quindi anche dalla grande tradizione calzaturiera, studiando itinerari ad hoc”. L’esigenza di fare squadra da parte delle aziende rivierasche ha portato nel 1961 alla costituzione dell’A.C.Ri.B., ovvero l’Associazione Calzaturifici della Riviera del Brenta.
Associazione di categoria monosettoriale che fornisce servizi collettivi per tutte le aziende associate. L’A.C.Ri.B., attualmente presiduta da Giuseppe Baiardo, si è recentemente dotata di braccia operative in ambiti mirati per l’intera collettività distrettuale, tra cui servizi all’export, servizi per la formazione professionale, servizi per lo sviluppo della ricerca tecnologica, servizi per il controllo della qualità e per la tutela dell’ambiente. “Il distretto è costituito da tante piccole aziende – continua Franco Ballin che è stato anche presidente per due mandati dell’A.C.Ri.B. e che è stato vicepresidente dell’Anci ovvero l’Associazione Nazionale dei Calzaturifici Italiani – l’importanza dell’associazione che ci riunisce sta nell’offrire quelle occasioni di visibilità, che singolarmente nessuno di noi potrebbe permettersi. In sostanza l’associazione permette di far sistema mettendo a disposizione degli associati una serie di servizi fondamentali. Importanti anche le opportunità rappresentate dai tre showrooms dell’associazione che hanno sede a New York, Mosca e Pechino. E sottolineo quest’ultimo perché a mio avviso quando si parla di Cina la prima cosa alla quale si pensa è ad un concorrente mentre secondo me è un Paese che dovrebbe essere visto prima di tutto come un potenziale mercato”.
L’attenzione delle aziende calzaturiere rivierasche è anche rivolta alla formazione. Quella formazione che possa tramandare una tradizione, innovandola, e che possa garantire un ricambio generazionale a quella “grande passione” che ha permesso alla Riviera di divenire punto di riferimento mondiale. “Oggi il ricambio generazionale diventa difficoltoso – chiude Ballin – abbiamo tecnologie nuove ma se dietro non c’è un soggetto in grado di farle rendere al meglio, anche la macchina serve a poco. In questo senso la scuola di formazione che opera all’interno del distretto è una risorsa importante. Io credo però che si dovrebbe investire di più nella formazione sia nelle scuole specializzate che all’interno delle aziende. E soprattutto ciò che va trasmesso ai giovani è la passione per questo lavoro. La scarpa per certi versi è una cosa “viva” per cui non può prescindere da quell’artigianalità che è mossa dalla passione”.
DI FEDERICO BACCIOLO

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