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Trapianti: un cuore, tre vite

Trapianti: un cuore, tre vite

Eseguito con successo negli Stati Uniti il raro reimpianto di un organo già donato

Lo scorso 3 dicembre la scienza medica ha ricordato il 56° anniversario del primo trapianto di cuore della storia, effettuato nel 1967 dal chirurgo sudafricano Christiaan Barnard, che espiantò l’organo dal petto di una giovane donna per sostituire quello malato di un uomo di mezza età.
Da allora, in poco più di mezzo secolo, la scienza ha compiuto enormi progressi, che hanno contribuito a salvare molte vite. Per esempio, in Italia, dove il primo trapianto fu effettuato a Padova nel 1985, sono attivi oggi 17 Centri trapianto di cuore e, secondo i dati ufficiali del Ministero della Salute, nel 2022 sono stati trapiantati nel nostro Paese ben 254 cuori.

Il ri-trapianto

Ciò nonostante, il ri-trapianto di questo organo fondamentale resta una frontiera ancora sostanzialmente inesplorata. Basti pensare che, in tutti questi anni, questo intervento è stato eseguito appena 7 volte in tutto il mondo.
Fa dunque notizia l’esito positivo di un’operazione di questo tipo che arriva dagli Stati Uniti.

trapianti

Un cuore per tre

Il cuore che batte oggi nel cuore di un 63enne colpito da infarto miocardico è quello di un 30enne morto a causa di un’overdose di stupefacenti. Ma, prima di essere impiantato nel suo petto, l’organo ha battuto per una settimana anche per un ragazzo di 21 anni al quale era stata diagnosticata una grave insufficienza cardiaca.
Il giovane, il giorno successivo all’operazione di impianto, fu colpito da un grave ictus. I medici continuarono dunque a somministrargli la terapia antirigetto, ma il ragazzo fece registrare un progressivo peggioramento delle condizioni neurologiche. Al punto da arrivare, 6 giorni dopo l’ictus, alla dichiarazione di morte cerebrale.

Nonostante questo, il cuore trapiantato continuava a funzionare, con contrazioni normali del ventricolo sinistro. Di qui la decisione dei chirurghi di procedere a un nuovo espianto, per destinare l’organo al 63enne, con una storia familiare di malattie cardiache e un’insufficienza renale cronica, in lista di attesa per un trapianto da 366 giorni e già assistito attraverso un defibrillatore impiantabile.

Il buon esito dell’operazione

Anche in questo caso, l’intervento è riuscito senza che si siano presentare complicazioni post operatorie, né segni di rigetto. L’uomo è dunquen potuto tornare a casa 17 giorni dopo l’operazione, dopo che un’ecografia cardiaca ha confermato il corretto funzionamento dei due ventricoli, e, a 7 mesi dal trapianto, è in buone condizioni di salute.
Il tema del ri-trapianto di cuore è particolarmente delicato, anche per le questioni etiche implicate, tant’è che, prima di procedere in sala operatoria, è necessario il convinto consenso del ricevente, espresso al termine di un confronto approfondito. E c’è soprattutto una questione strettamente medica, da tenere in conto.

Il tempo di ischemia fredda

Prima del trapianto, la circolazione sanguigna nel cuore cessa temporaneamente per quello che viene definito il “tempo di ischemia fredda”, in cui l’organo viene posto in ipotermia in un contenitore per minimizzare le conseguenze negative.
Questa finestra di tempo non può superare i 240 minuti: limiti rispettati, nel caso specifico, sia per il primo trapianto, quando si è arrivati a 188 minuti, che per il secondo, con un’ischemia fredda di 100 minuti.

Alberto Minazzi

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