Bere regolarmente caffè tra i 45 e i 60 anni può aumentare le probabilità di invecchiare in salute. Ma attenzione a zucchero e panna: annullano i benefici
Tra rito e gusto, le statistiche dicono che per circa 3 italiani su 4 quello con il caffè è un immancabile appuntamento quotidiano, magari da ripetere più volte. E anche se, secondo uno studio del 2023, con i circa 95 milioni di tazzine quotidiane (sui 2,6 miliardi giornalieri consumati in tutto il pianeta) siamo “appena” al 7° posto al mondo (curiosamente, al primo posto pro capite c’è la Finlandia con 12 kg a testa l’anno), per i tanti amanti nostrani della bevanda probabilmente più famosa nel globo insieme al vino arriva adesso una buona notizia sul fronte della salute. Anzi, più correttamente, la bella novità riguarda “le” consumatrici di caffè.
Il caffè come elisir di lunga vita in salute per le donne
A dire che le donne che bevono regolarmente caffè tra i 45 e i 60 anni hanno più probabilità di invecchiare in buona salute è uno studio realizzato da un team di Harvard, i cui risultati sono stati presentati nel corso del congresso Nutrition 2025.
I ricercatori si sono concentrati sui consumi di caffè effettuati nell’arco di 30 anni da 47.513 donne, correlandoli al loro superamento dei 70 anni di età senza sviluppare 11 tra malattie croniche (tra cui diabete, Parkinson e sclerosi multipla) e patologie gravi (come tumori, ictus e infarto) né manifestando problemi intellettivi o fisici, mantenendo cioè funzioni cognitive integre, senza perdite di memoria, decadimento cognitivo o disturbi mentali, e un buon livello di autonomia fisica.
Dall’analisi è emersa una chiara associazione del raggiungimento di questi traguardi e il consumo, moderato ma costante, del caffé, indipendentemente da altri fattori come alimentazione, attività fisica, fumo, consumo di alcool, peso corporeo e livello di istruzione. Appena 3.706 donne, meno dell’8% del campione, è risultata infatti affetta da tali problematiche.
C’è consumo e consumo
Lo studio ha anche determinato la quantità di caffè quotidiano, o meglio di caffeina (perché i benefici si legherebbero a questa sostanza) da cui possono derivare gli effetti positivi riscontrati. Il fattore comune alle donne invecchiate in salute è stato un consumo di tazze tra le 2 e le 5 al giorno. Ovvero, in media, di 315 milligrammi di caffeina, pari a circa 3 tazzine di espresso, con un aumento di probabilità di invecchiare bene tra il 2% e il 5% per ogni tazzina in più, fino alla quinta. Inoltre, aggiunge lo studio, l’effetto benefico del caffè si legherebbe alla sua assunzione senza zucchero e senza grassi saturi come latte o panna, perché questi potrebbero neutralizzare i vantaggi. Le donne monitorate hanno inoltre assunto la caffeina per l’80% proprio attraverso il caffè tradizionale, con esclusione degli effetti benefici per la bevanda decaffeinata. Ma, va rimarcato, non vanno bene nemmeno le bibite zuccherate a base di cola, per le quali anzi, anche quando contengono caffeina, è stato evidenziato l’effetto esattamente contrario, con una diminuzione tra il 20% e il 26% delle possibilità di un invecchiamento lungo e sano per ogni bicchiere ingerito.
Caffeina e caffè: toccasana, ma non per tutti
Il vero segreto che rende il caffè “classico” più di un semplice indicatore di vita sano, ma addirittura una variabile indipendente nella prospettiva di esiti positivi nel lungo periodo, è però secondo i ricercatori, ancor più che la caffeina in quanto tale, proprio la composizione stessa della bevanda, all’interno della quale si possono trovare decine di composti bioattivi, tra cui acidi clorogenici, flavonoidi e antiossidanti. Questi possono infatti influenzare i meccanismi biologici legati all’invecchiamento, dando risposte a problemi di infiammazione cronica, regolazione della glicemia, salute vascolare e protezione delle funzioni cerebrali. Va però sottolineato che, anche se scientificamente comprovati, gli effetti benefici del caffè non si producono per tutti in maniera uguale. Vanno per esempio considerati i tempi di metabolizzazione, riguardo ai quali il team ha in una ricerca parallela evidenziato anche un influsso di componenti genetiche, o l’eventuale maggior sensibilità individuale agli effetti collaterali. Adesso, non a caso, i ricercatori intendono cercare quali siano le molecole e i composti specifici che producono gli effetti osservati, puntando, nel medio periodo, a calibrare in base al profilo genetico le quantità personalizzate di caffè da inserire nella dieta quotidiana.
Si fa presto a dire caffè
Il tutto sempre fermo restando che il caffè non va considerato come un vero e proprio “farmaco”, ma semplicemente come un possibile fattore favorevole all’interno di un contesto più ampio che porta a un sano invecchiamento. E, prima ancora, a qualunque età, resta un piacere a cui chi tollera bene la bevanda difficilmente potrà rinunciare, tanto più dopo averne appreso le qualità appena scoperte. In fondo, del resto, la stessa storia del caffè racconta di una continua evoluzione.
Prima dei commerci della Repubblica Serenissima con l’Oriente, per esempio, queste bacche (che, ricordiamolo, sono rosse ed assumono il colore brunito solo grazie alla tostatura) fino al 1600 erano sconosciute, alle nostre latitudini. E addirittura, all’inizio, con i recenti sviluppi che sembrano quasi la classica ideale chiusura del cerchio, il caffè si poteva trovare, a prezzi elevatissimi, solo dal droghiere o… in farmacia.
Alberto Minazzi