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Vaiolo scimmie. Il Belgio introduce la quarantena. 4 i casi in Italia

Vaiolo scimmie. Il Belgio introduce la quarantena. 4 i casi in Italia

L’Oms: 92 casi confermati in 12 Stati in cui la malattia non è endemica

La pandemia da Covid 19 non è ancora del tutto finita, ma il mondo occidentale si sta già muovendo per fronteggiare la nuova minaccia sanitaria del vaiolo delle scimmie.
L’Oms ha sottolineato che le misure preventive per contenere il diffondersi del contagio da Sars-CoV-2 sono valide anche contro questo virus. E il Belgio è il primo Paese europeo ad aver introdotto la quarantena obbligatoria di 21 giorni in auto-isolamento per chi risulta aver contratto la malattia.

Vaiolo delle scimmie: la diffusione del contagio

I casi registrati in Belgio sono al momento 3, il primo venerdì scorso, e sarebbero legati a un festival tenutosi ad Anversa. Il totale riscontrato nei Paesi in cui il vaiolo delle scimmie non è endemico è intanto arrivato a 92 casi confermati e 28 sospetti.
Tra gli altri Stati che hanno inviato le loro segnalazioni all’Oms c’è anche l’Italia, con i suoi 4 casi, l’ultimo accertato oggi su un giovane di 32 anni rientrato dalle Canarie (e ci sono Regioni, come il Friuli Venezia Giulia, che stanno allestendo i laboratori di riferimento per identificare eventuali casi), poi Australia, Canada, Francia, Germania, Olanda, Portogallo, Svezia e Stati Uniti. Le autorità locali segnalano l’arrivo dell’infezione anche in Svizzera e Israele.
La notizia di un aumento significativo delle infezioni, con 11 nuove positività che hanno portato il totale a 20, arriva dal Regno Unito, dove ci sarebbe anche un bambino in condizioni critiche e si teme un impatto significativo sull’accesso ai servizi di salute sessuale
Particolarmente interessata è poi la Spagna, con 30 casi più almeno altri 23 sospetti. Al centro dell’attenzione delle autorità sanitarie sono in particolare una sauna di Madrid e il gay pride di Gran Canaria, come ipotetici cluster in cui si sarebbe diffuso il virus.

Il ceppo dell’Africa occidentale

Il vaiolo delle scimmie è endemico in Benin, Camerun, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Sierra Leone e Sud Sudan. Il ceppo virale più aggressivo è quello del Congo, ma fuori dall’Africa sarebbe arrivato quello più lieve del versante occidentale.
I genomi virali finora sequenziati e depositati i Belgio, Portogallo e Usa assomigliano infatti a quello isolato nel 2018, che raggiunse Regno Unito, Israele e Singapore proveniente dalla Nigeria, dove nel 2017 è iniziato a diffondersi il virus, con a oggi oltre 300 casi ed alcuni decessi.

La “diffusione atipica del 2022″

Nella storia, il più importante focolaio non africano di vaiolo delle scimmie è stato, nel 2003, quello degli Stati Uniti, con una settantina di casi collegati comunque a un iniziale contagio da animale infetto all’uomo.
Quella attualmente in corso è invece una diffusione atipica, in cui sembrerebbe che il virus possa passare direttamente da uomo a uomo. E, tra 52 soggetti riguardo a cui sono disponibili informazioni, 41 non hanno viaggiato di recente.
Anche per questo, al momento non sono state introdotte particolari misure per i viaggi da e verso i Paesi in cui il monkeypox è endemico, nei cui confronti non risulta nessun tipo di collegamento.

Persone a rischio e vaccini

Un altro dato da tenere in considerazione nell’attuale situazione è il fatto che, tra i casi sufficientemente documentati, solo un contagiato è di sesso femminile. Le autorità sanitarie internazionali, Ecdc e Oms, hanno quindi sottolineato che il contagio si è diffuso “principalmente ma non esclusivamente” tra uomini che hanno avuto rapporti sessuali con altri uomini.

Un’ulteriore considerazione si lega infine all’età dei contagiati, tra i 20 e i 40 anni.
Non vi sono invece casi noti di persone sopra i 55 anni che hanno contratto il vaiolo delle scimmie. Una considerazione che, considerando l’obbligatorietà del vaccino, fino alla fine degli anni Settanta, in tutto il mondo, porta a ritenere che la vaccinazione contro il vaiolo umano abbia una certa efficacia anche contro questo virus.
La protezione sarebbe pari all’85% e, in ogni caso, si tradurrebbe in una malattia lieve.
Resta però da valutare l’effettiva protezione a distanza di decenni dall’inoculazione. E, intanto, negli Stati Uniti si sta studiando il tipo di siero eventualmente più efficace qualora si decida di procedere a una nuova campagna vaccinale per i più giovani.

Alberto Minazzi

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