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Il Gatto-investigatore grazie al Dna

Il Gatto-investigatore grazie al Dna

La scoperta di ricercatori australiani: il materiale genetico umano si trasferisce ai felini di casa

È da oltre un secolo, esattamente dal 1898, che si può parlare ufficialmente di “unità cinofile”.
Fu infatti allora che, nella città belga di Gand, preoccupato dal dilagare dei furti, il commissario Van Welmael ebbe l’idea di addestrare alcuni cani da affiancare agli agenti notturni in servizio.
Ma se i “cani-poliziotto” nel corso degli anni hanno via via appreso sempre nuove capacità a sostegno dell’azione delle forze di polizia, un gatto protagonista delle indagini finora si era visto solo in letteratura. E il primo nome che viene alla mente è quello di Lilian Jackson Braun e dei felini Koko e Yum Yum, protagonisti del successo dei suoi gialli.
Adesso, però, l’impiego nelle indagini anche dei gatti potrebbe diventare più che una fantasiosa ipotesi. E non tanto grazie al fiuto di Koko e dei suoi consimili in pelo e ossa.
È la genetica, che ora proverà a capirne come e perché, a dirci che il Dna umano si può trasferire sui nostri amici a quattro zampe. Potendoci fornire, in caso di bisogno, importanti indizi.

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Lo studio australiano

A giungere a questa conclusione sono stati alcuni ricercatori australiani, che hanno pubblicato sulla rivista Forensic Science International i risultati di un esperimento effettuato su 20 gatti domestici provenienti da 15 diverse famiglie, con diversi livelli di interazione tra animali e umani.
La ricerca condotta ha in questo modo provato ad studiare il trasferimento del Dna umano sugli animali di casa.
“Sebbene la ricerca relativa al trasferimento, alla persistenza, alla prevalenza e al recupero del Dna (Dna-Tppr) – hanno premesso i ricercatori nell’abstract dell’articolo – sia aumentata in modo significativo nell’ultimo decennio, mancano dati sugli animali da compagnia e sulla loro relazione con il trasferimento del Dna umano”.
Lo studio preliminare mirava infatti a determinare la presenza e l’origine del dna umano sui gatti.

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Analizzando il Dna umano raccolto dai felini, è emerso innanzitutto che l’80% dei campioni genetici aveva livelli rilevabili.
Inoltre, confrontandolo con quello prelevato dai componenti dei nuclei familiari presi in considerazione, nel 70% dei casi era possibile trarne profili interpretabili completi ritenuti attendibili per l’identificazione senza nessun dubbio della persona da cui proveniva il materiale in questione.

Le possibili conseguenze

“Il DNA umano – aggiunge lo studio – è presente nei gatti e le sue origini tendono a provenire da individui all’interno della famiglia. Ma anche il Dna di sconosciuti membri non domestici era spesso presente”.

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Come avviene in molti casi, basta allora che ci siano animali domestici sulle scene del crimine per ottenerne indizi. Ecco perché le ricerche sul Dna-Tppr, secondo gli studiosi “possono essere altamente rilevanti nelle indagini forensi per valutare la presenza e/o le azioni di una persona di interesse”.
“Data la comunanza di cani e gatti nelle famiglie di tutto il mondo – prosegue l’abstract – gli animali da compagnia come recettori e vettori per il trasferimento del dna possono essere estremamente rilevanti nei casi che coinvolgono animali come vittime di un reato penale o nei casi che richiedono valutazioni del livello di attività”.

Un passaggio ancora misterioso

Però, ammette lo studio, “è stata fatta poca o nessuna ricerca su come ciò possa influenzare le scene del crimine o se potrebbe esserci un valore probatorio nel campionamento degli animali domestici per il Dna umano”.
Insomma, “sono necessari ulteriori studi per chiarire i mezzi e il livello di trasferimento del Dna umano da e verso gatti e altri animali domestici”. Anche perché, conclude lo studio, “la modalità di trasferimento del Dna al gatto e la sua persistenza su di esso è sconosciuta. Sono necessarie ulteriori ricerche sul trasferimento del Dna umano da e verso i gatti, sulla persistenza del Dna umano sui gatti e su ciò che può influenzare i vari livelli di Dna trovati sui gatti, come le abitudini comportamentali e lo stato di muta”.

Alberto Minazzi

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Tag:  dna, gatti