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Deltamicron, la variante ibrida. Bassetti: “Non spaventiamoci”

Deltamicron, la variante ibrida. Bassetti: “Non spaventiamoci”
Il direttore della clinica di Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova Matteo Bassetti

L’infettivologo genovese: “Non presenta sostanziali differenze da Omicron per aggressività e contagiosità”

“Immaginate una specie cerniera lampo, in cui metà ha le piccole mutazioni genetiche di Omicron e l’altra metà quelle di Delta. Se si chiude la zip, ecco Deltamicron”.
È un’immagine chiara ed efficace, quella scelta per descrivere la nuova variante ibrida del virus Sars-CoV-2 dal direttore della clinica di Malattie infettive dell’ospedale policlinico San Martino di Genova, Matteo Bassetti.
Teorizzata per la prima volta negli Stati Uniti, al Washington Public Health Laboratory, la scoperta di Deltacron è stata presentata dal preprint di uno studio realizzato da un team di ricercatori francesi.

Bassetti: Deltacron e Deltamicron sono due cose diverse

Deltamicron, va premesso, è tutt’altra cosa rispetto a Deltacron, riguardo alla quale fu dato l’annuncio della scoperta, poi rivelatosi un falso allarme, avvenuta a Cipro.
“Sono – sottolinea Bassetti – due cose molto diverse. Deltacron fu probabilmente un errore di laboratorio, solo una sovrapposizione di altre varianti.
Con Deltamicron, invece, siamo effettivamente di fronte a una nuova variante ibrida”.
Le considerazioni del medico genovese riguardo a Deltamicron sono comunque tranquillizzanti.
“Clinicamente – afferma – non ci sono differenze sostanziali con Omicron, di cui ha la maggioranza di caratteristiche. Soprattutto, non risulta essere né più aggressiva, né più contagiosa. E poi, con un’elevata probabilità, il booster del vaccino è in grado di coprire le forme più gravi. In altri termini, può contagiare, ma il paracadute del vaccino è in grado di evitare l’evoluzione verso le forme più impegnative della malattia”.

deltamicron

Deltamicron: la scoperta

Alla base delle prime ipotesi del dottor Scott Nguyen riguardo a Deltamicron c’erano alcuni, dati provenienti dalla Francia, di una possibile co-infezione da Delta e Omicron.
Il 10 marzo si contavano 33 casi in Francia, 8 in Danimarca, 1 in Germania, 1 in Olanda e un paio negli Usa.
Di qui il sospetto di possibili ricombinazioni genetiche, tipiche dei sarbecovirus.
Lo studio francese ha analizzato 3 casi nel sud del Paese di infezione dalla mutazione ricombinante.
“L’analisi strutturale – si legge nel preprint – ha suggerito che il contenuto ibrido potrebbe ottimizzare il legame virale nella membrana della cellula ospite. I risultati richiedono ulteriori studi sulle caratteristiche virologiche, epidemiologiche e cliniche di questo ricombinante”.

Lo stato del contagio

Come descritto da Bassetti, l’impatto di Deltamicron sull’evoluzione dei contagi non è dunque differente dall’attuale evoluzione della situazione sanitaria.
L’ultimo bollettino del Ministero della Salute conferma il ritorno dei contagi ai livelli dell’8 febbraio, con esattamente 96.365 nuovi casi riscontrati. Vi è inoltre una crescita dell’occupazione dei posti ospedalieri in area medica in ben 14 regioni, con la media nazionale al 13% e 8.969 letti occupati attualmente da pazienti Covid.
“In questi giorni – conferma l’infettivologo – c’è un’elevata circolazione virale. Il continuo aumento di ricoveri di pazienti a media intensità si lega proprio a questa alta circolazione, con tante persone che vengono trovate positive al tampone quando si presentano in ospedale per altre cause. Per fortuna, si stanno riscontrando però pochissime polmoniti gravi e i livelli di occupazione delle terapie intensive sono veramente minimi (le postazioni di rianimazione occupate scendono di 8 unità, attestandosi a 455, ndr). È un altro effetto protettivo del vaccino, perché l’anno scorso il riempimento era al 40%, oggi tra il 4% e il 5%”.

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Il direttore della Clinica Malattie Infettive dell’Ospedale Policlinico San Martino Matteo Bassetti @Fb Matteo Bassetti

“In certi contesti, continuare a usare la mascherina male non fa”

Se l’Oms punta il dito verso la revoca delle restrizioni e molti Paesi decidono di fare retromarcia, come l’Austria, che ha reintrodotto l’obbligo delle mascherine al chiuso dopo 3 settimane, in Italia si avvicina il 31 marzo e la fine dello stato di emergenza.
“Dobbiamo evitare – ammonisce Bassetti – di cadere in eccessi fatti di troppo allarmismo o troppo lassismo. Finisce la gestione emergenziale, i 2 anni in cui il virus ci ha preso in ostaggio, ma non vuol dire che sia finito tutto”.
Insomma, dalla pandemia si passa all’endemia. “Inizia la fase – continua il medico genovese – in cui il virus c’è eccome e continuerà a esserci per molto tempo. E resta pur sempre altamente contagioso, anche se, grazie ai vaccini, l’abbiamo depotenziato. Ritengo che chi ha fino a 60 anni ed è vaccinato possa dunque stare tutto sommato tranquillo. Agli anziani e ai più deboli e fragili per altre patologie consiglio invece di continuare a fare molta attenzione, perché, anche con la tripla dose, infettarsi rischia di tradursi in problemi molto seri per la vita. Del resto non si è detto di non usare più la mascherina, ma solo che non è più obbligatorio farlo. E credo che in certi contesti, come supermercati o autobus, indossarla di certo male non fa”.

Il futuro del Sars-CoV-2

Se Deltamicron “non preoccupa più di tanto”, ciò non toglie che anche in questa fase endemica il virus continuerà a evolvere.
“Più lo studiamo – conferma l’infettivologo – più varianti emergeranno. E non escludo che alcune possano uscire da alcuni possibili focolai. Penso al discorso dei profughi dall’Ucraina, un Paese in cui si sono vaccinati in pochissimi, per una repulsione della popolazione proprio nei confronti della vaccinazione in generale. Non a caso, anche prima della guerra, a dicembre si riscontrarono in quel Paese focolai di poliomielite e di morbillo, proprio per la non vaccinazione dei bambini”.

“C’è insomma – prosegue Bassetti – un problema culturale di base, confermato che anche una volta arrivati in Italia decidono di non vaccinarsi. Aiutare queste persone significa anche lavorare per costruire una loro cultura vaccinale, spiegare loro perché è importante vaccinarsi. Del resto, il virus continuerà a evolversi perché parte della popolazione non è vaccinata. Ed è più frequente che le varianti si presentino tra chi non si è sottoposto al vaccino, visto che in questi soggetti si alza di molto la carica virale e quindi il virus si replica molto velocemente. Le mutazioni peggiori – conclude -sono quelle che avvengono quando l’infezione scende fino ai polmoni e non si ferma solo a naso e gola”.

Alberto Minazzi

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