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Covid: Verso i vaccini intranasali. Cacopardo: "Abbatterebbero la fase di latenza"

Covid: Verso i vaccini intranasali. Cacopardo: "Abbatterebbero la fase di latenza"

“I vaccinati si infettano meno di Covid, in ogni caso la durata dell’infezione è minima, così come la carica virale e lo stesso rischio di morte o intubazione: direi che questo basta e avanza perché tutti facciano una seria riflessione se vaccinarsi o no”.
L’invito arriva da Bruno Cacopardo, direttore dell’Unità operativa Malattie infettive dell’ospedale Garibaldi di Catania, nonché professore all’Università di Catania e membro del consiglio direttivo nazionale della Società di malattie infettive e tropicali.
Che annuncia anche la potenziale prossima uscita di nuovi vaccini intranasali.

I vaccini intranasali

“I vaccini ideali – afferma – sono quelli che vengono somministrati attraverso la stessa porta d’ingresso del virus. Ad esempio, contro la poliomielite furono sviluppati due sieri: quello di Salc, da iniettare per via intramuscolare, e quello di Sabin, orale. E il secondo ha funzionato decisamente meglio, perché riproduce la via natuale. Non è il caso di quelli attualmente impiegati contro il Covid, riguardo ai quali mi auguro che, in futuro, si punti sempre più sui vaccini intranasali. Si sta in ogni caso già lavorando in tal senso e ci sono almeno 4 trials clinici molto interessanti”.

Il direttore dell’Unità operativa Malattie infettive dell’ospedale Garibaldi di CataniaBruno Cacopardo

L’abbattimento della “fase latente”

La nuova strategia sarebbe utile per abbattere la cosidetta “fase latente”, ossia quei pochi giorni che, fatto il vaccino, trascorrono prima che il nostro corpo avvii una risposta immunitaria efficiente. E’ in sostanza quel lasso di tempo in cui una persona vaccinata ha ancora un margine di rischio contagio.
“In ogni caso – chiarisce il professore – questo, che è uno dei principali vessilli dei cosiddetti no vax, ovvero che un vaccinato si può comunque infettare, pur essendo in parte vero ha però anche altri aspetti da tenere in considerazione che lo rendono meno solido come argomentazione per scegliere di non vaccinarsi”.

Perché vaccinarsi

A rilevarli sono due nuovi lavori scientifici di ricerca, uno anglosassone e uno di Singapore.
Due studi che hanno analizzato alcuni aspetti dell’infezione da Sars-CoV-2, come le tempistiche e la durata, confrontando le risultanze in persone vaccinate con quanto riscontrato in non vaccinati.

La durata dell’infezione e la carica virale

Il primo dato che sottolinea il professore è quello legato alla durata del transito del virus nelle vie aeree, naso e faringe.
“Questo transito – spiega – dura molto meno nei vaccinati. Se cioè si infettano lo stesso giorno un soggetto che ha ricevuto il vaccino e uno al quale non è stato somministrato, il processo di transito dura un paio di giorni nel primo e un paio di settimane nel secondo. C’è dunque una bella differenza in termini di infettività e di rischio di contagiosità”.
Questo anche perché “i lavori documentano con sicurezza che anche la carica virale in un vaccinato è molto inferiore. Le quantità di virus eliminate dal naso, che risultano dai tamponi, sono infatti decisamente più basse”.

Le considerazioni cliniche

Agli aspetti virologici, Cacopardo aggiunge quelli clinici.
“Chi si vaccina – afferma – ha un rischio di gran lunga inferiore di sviluppare una sintomatologia grave. Non è detto cioè che non si verifichino sintomi, ma è significamente meno rilevante la possibilità che un vaccinato sia intubato, finisca in terapia intensiva, sviluppi una polmonite o addirittura muoia”.
Vi è certamente, ammette il professore, una percentuale dei cosiddetti “non responders” al vaccino: “Siamo attorno al 4/5% della popolazione, per cui non ci dobbiamo stupire se c’è chi si infetta anche tra i vaccinati, anche se magari senza sintomi. Mi sembra però che dire che 9,5 su 10 tra coloro che si sottopongono alla vaccinazione si protegge sia una quota ben più che dignitosa e meritoria”.

La vaccinazione in generale

Le riflessioni, suggerisce il docente dell’Ateneo siciliano, devono inoltre prendere in considerazione anche alcuni aspetti generali, non strettamente legati al Covid, della vaccinazione.
“I vaccini – ricorda – sollecitano una risposta immunitaria che viene conservata nella memoria immunologica di ognuno di noi. Se, ad esempio, mi vaccino contro il tifo e subito dopo la salmonella entra nel mio organismo, grazie al vaccino avrò una risposta immunitaria di contenimento, ma questa richiede tempi tecnici di elaborazione. In tal senso, il Sars-CoV-2 è un virus molto rapido nei tempi di replicazione. Perché venga montata dall’organismo una risposta immunitaria efficiente, che lo controlli e lo spazzi via, ci vuole invece qualche giorno ed è qui che si può sviluppare l’infezione

Le varianti e i non vaccinati

E riguardo alle varianti? “Non c’è dubbio che, mutando nel tratto verso cui si producono gli anticorpi, questo virus crei un buco nelle difese. Gli anticorpi prodotti grazie al vaccino sono diretti principalmente verso la variante Alfa, ma quel che interessa è che sia sufficientemente efficace anche contro la Delta – rileva Cacopardo – Ma se lasciamo gente non vaccinata, questo è un serbatoio aperto da cui deriva il rischio che vengano prodotte nuove mutazioni, potenzialmente in grado di sfuggire alla protezione immunologica. Questo ancora non è avvenuto, ma è uno dei motivi che spinge alla necessità di vaccinare con urgenza più gente possibile”.

Alberto Minazzi

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