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Italiani troppo poveri. Non basta più un lavoro per vivere in modo dignitoso

Italiani troppo poveri. Non basta più un lavoro per vivere in modo dignitoso

Gli studi di Svimez e Acli sottolineano come oltre la soglia siano sempre più giovani, donne e sud.

In Italia, avere un posto, anche se fisso, spesso non basta più per evitare la povertà.
La festa del primo maggio 2022 ha offerto l’occasione per fare il punto su un fenomeno, quello del “lavoro povero”, che continua a riguardare in primis i giovani, le donne e i residenti nel Meridione, ma si sta sempre più allargando.
Tanto più dopo la pandemia.
In Italia i lavoratori in questa condizione da marzo 2020 sono cresciuti di 400 mila unità, portando la percentuale al 12% del totale della forza lavoro.
Sono così ben 3 milioni coloro che, pur lavorando, non hanno soldi a sufficienza per vivere dignitosamente.
E ci posizioniamo così tra i fanalini di coda in Europa.

Il lavoro povero in Europa: Italia quarta

In uno studio inedito anticipato da Repubblica, Svimez sottolinea come i salari, nel nostro Paese, dal 2008 a oggi sono cresciuti del 3%.
La media europea, nello stesso periodo, ha fatto segnare un +22%.
Tra i motivi, insieme al precariato, incide sicuramente anche il ricorso sempre più significativo al part-time anche quando non richiesto dal lavoratore: sempre dal 2008 a oggi, si è passati da 1,3 a 2,7 milioni, al sud da 490 a 900 mila, con addirittura l’80% dei part time non voluti.

lavoroNei dati Eurostat relativi al 2019, riguardanti i residenti nei Paesi dell’Unione tra i 18 e i 64 anni che hanno lavorato per almeno 6 mesi, l’Italia, con l’’1,8%, è al quarto posto assoluto tra gli Stati per il fenomeno del “lavoro povero”.
Prima ci sono Romania (15,4%), Spagna (12,8%) e Lussemburgo (12%). Gli altri grandi Paesi sono invece poco oltre il 7%: Germania al 7,9% e Francia al 7,4%.

Il lavoro povero in Italia

Viene definito “lavoratore povero” chi ha un reddito inferiore agli 11.500 euro annui.
La distribuzione territoriale, nel nostro Paese, presenta differenze significative: si passa dal 9% del Centro-Nord al 20% dei lavoratori al Sud.
Qui gli stipendi, rispetto al resto d’Italia, sono mediamente inferiori di circa un quarto (15 mila contro 22 mila euro), con punte del 50% per i collaboratori e del 35% per i lavoratori privati. Uguali, invece, quelli di statali e dei laureati.
Ovunque, invece, le lavoratrici italiane prendono già mediamente il 27% in meno dei colleghi maschi.
Ancora la differenza si accentua al sud, dove oltretutto aumenta anche l’incidenza del part-time femminile: 24% del totale contro il 19,6% di media italiana.
Altra categoria particolarmente penalizzata, i giovani. Nella fascia 30-34 anni, circa la metà ha un reddito tra 8 e 16 mila euro annui, con un altro 20% che non supera i 22 mila.

lavoro

Lo studio di Acli: i lavoratori poveri tra i giovani sono il 29,5%

Il fenomeno del lavoro che non è più in grado di garantire un’esistenza dignitosa ai giovani viene confermato da un altro studio, realizzato dall’Area Lavoro Acli in collaborazione con Iref.
La ricerca si è basata su circa un milione di dichiarazioni dei redditi 2020 presentati ai Caf Acli.
Basandosi sui parametri Istat, ne emerge che l’11,9% dei lavoratori tra 30 e 34 anni, con un reddito che non supera i 9 mila euro è “assolutamente povero”.
A questi, si deve aggiungere nella stessa fascia d’età un altro 17,6% di “lavoratori poveri”, per un totale del 29,5%.
La percentuale cambia di poco se si sale alla fascia 35-39: 26,3% di lavoratori poveri, tra il 10,5% di poveri assoluti e il 15,8% di poveri.
“Anche chi sta meno peggio, soprattutto tra i trentenni – ha commentato all’Ansa il vicepresidente Acli, Stefano Tassinari – fatica ad assicurare quell’esistenza libera e dignitosa che la Costituzione imporrebbe a ogni lavoro”.

Alberto Minazzi

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