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Italia a giudizio: prima causa green al bel Paese

Italia a giudizio: prima causa green al bel Paese
Foto Palazzo Chigi - Tricolore

Per la prima volta nella storia, lo Stato italiano è citato in giudizio per le scarse politiche messe in atto per contrastare i cambiamenti climatici.
Secondo uno studio pubblicato dal Programma delle Nazioni Uniti per l’ambiente, in collaborazione con il Sabin center for climate change law della Columbia University, i contenziosi sul clima sono aumentati in tutto il mondo.
Nel 2017 le cause correlate ai cambiamenti climatici depositate in 24 Paesi del mondo erano 884, mentre nel 2020 sono state oltre 1.550. I Paesi maggiormente colpiti sono quelli con reddito alto ma anche Paesi del Sud del mondo come Colombia, Filippine, India, Pakistan, Perù, e Sud Africa registrano casi processuali in aumento.

La prima causa green allo Stato italiano

L’Italia, invece, finora non era ancora mai stata citata in giudizio.
A farlo è la società civile, un gruppo che comprende 203 tra cittadini e associazioni coordinate dalla onlus “A Sud”, associazione italiana indipendente nata nel 2003 per occuparsi di conflitti ambientali e difesa dei diritti umani.
La prima causa green nella storia italiana è scaturita dalla campagna di sensibilizzazione “Giudizio Universale”, sviluppata  per denunciare la portata globale della sfida climatica e chiedere a gran voce azioni di contrasto mirate.

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L’accusa per l’Italia: lede i diritti umani

Lo Stato è rappresentato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri che, secondo la tesi sostenuta dall’accusa, è responsabile di non aver messo in campo strategie per contrastare i cambiamenti climatici e di aver quindi per questo leso i diritti umani degli italiani.
Secondo gli avvocati Luca Saltalamacchia, Raffaele Cesari e il professore ed esperto di Diritto climatico Michele Carlucci, che patrocinano la causa, “questo giudizio si inserisce nel solco dei contenziosi climatici contro gli Stati che si stanno celebrando in tutto il mondo. Nasce dalla contraddizione che esiste tra le misure di contenimento delle emissioni che lo Stato italiano dovrebbe adottare per contrastare efficacemente il riscaldamento globale e le inadeguate iniziative concretamente poste in essere”.

Gli obiettivi per il 2030

La campagna Giudizio Universale ha stilato un elenco di argomenti a supporto della causa e sostiene che “seguendo l’attuale scenario delle azioni italiane, ci si attende che le emissioni al 2030 saranno del 26 per cento inferiori rispetto ai livelli del 1990. Secondo le proiezioni del governo – prosegue il testo –  l’Italia non raggiungerà il suo modesto obiettivo complessivo di riduzione delle emissioni del 29 per cento entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 (37 per cento rispetto ai livelli del 2005), in assenza di misure aggiuntive”.

I settori più inquinanti

Il testo, inoltre, basandosi sui dati di Climate Analytics, sottolinea come negli ultimi decenni alcuni settori come trasporti ed edilizia, in Italia, abbiano ridotto di poco le emissioni. Nel 2018, infatti, in entrambi i settori, le emissioni erano al di sopra dei livelli del 1990. Il settore degli edifici commerciali, in particolare, ha visto un aumento significativo del consumo di gas naturale dal 1990.

Il rispetto dell’ Accordo di Parigi

Altro tema che viene contestato è che le iniziative e le strategie messe in campo dal governo italiano previste nel Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec), porterebbero a ridurre le emissioni nel 2030 del 36%  rispetto ai livelli del 1990. Questo,  secondo i ricorrenti, “è incompatibile con la “quota equa” (fair share), il giusto contributo di riduzione delle emissioni che l’Italia è tenuta a implementare al fine di rispettare l’obiettivo di 1.5°C in base all’Accordo di Parigi”.

Ma cosa chiedono dunque con questa causa i cittadini allo Stato italiano?

Nessun risarcimento in denaro, ma l’obbligo di ridurre le emissioni di gas serra del 92 per cento entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, applicando il principio di equità e il principio di responsabilità comuni ma differenziate (fair share), ovvero considerando le responsabilità storiche dell’Italia nelle emissioni di gas serra e delle sue attuali capacità tecnologiche e finanziarie. Il tutto per tutelare e proteggere i diritti fondamentali dell’uomo.

Valentina Rossi

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