Viaggiare nello spazio è sempre meno un’utopia. Ma le questioni da affrontare, quando si esce dall’atmosfera terrestre, restano ancora tante e non di semplici soluzioni.
Tra queste, ad esempio, il monitoraggio della salute degli astronauti e la durata delle batterie utilizzate a bordo dei mezzi spaziali.
Ma la ricerca non si ferma. E, proprio riguardo a questi due aspetti appena considerati, arrivano ora, grazie all’ingegno italiano, due importanti risultati ottenuti grazie al lavoro svolto dagli studiosi dell’Università di Ferrara.
Il progetto Drain Brain 2.0
I problemi cardiovascolari e neurologici degli astronauti dovuti all’assenza di gravità e ai fenomeni di adattamento sono ad oggi il primo ostacolo alla possibilità di prolungare i voli spaziali al di sopra dei sei mesi.
“Lo strumento che abbiamo sviluppato – sottolinea Paolo Zamboni, direttore del Centro delle malattie vascolari dell’Università di Ferrara – fornirà dati indispensabili per organizzare le necessarie contromisure per la sicurezza degli astronauti nelle missioni spaziali”.
![batteri](https://www.metropolitano.it/wp-content/uploads/2021/12/navicella-spaziale-856x620.jpg)
Il progetto del professor Zamboni si è classificato al primo posto tra gli oltre 35 partecipanti al bando per ricerche e dimostrazioni tecnologiche sulla Stazione Spaziale Internazionale lanciato dall’Agenzia Spaziale Italiana. “Drain Brain 2.0 – spiega Zamboni – è incentrato sull’utilizzo a bordo da parte degli astronauti di uno speciale collarino dotato di sensori di piccolissime dimensioni. Grazie a questo strumento, sarà possibile rilevare i segnali circolatori del cosiddetto asse cuore-cervello, con cui potremo misurare le variabili legate al flusso nella vena giugulare e nell’arteria carotide sincronizzati con l’elettrocardiogramma”.
Da Samantha Cristoforetti a tutti gli astronauti
Finanziato con circa 450 mila euro, il progetto trae origine dal precedente e innovativo esperimento Drain Brain, eseguito in orbita nel 2015 dall’astronauta Samantha Cristoforetti, sempre con il coordinamento del professor Zamboni. “I risultati straordinari di quella sperimentazione – ricorda il professore – hanno permesso ai ricercatori ferraresi di realizzare questo nuovo pletismografo che può essere facilmente indossato da tutte/i gli astronauti a bordo, permettendo in questo modo di monitorare il ritorno venoso cerebrale su un numero molto più grande di soggetti e per un tempo maggiore, semplificando notevolmente le operazioni a bordo”.
Drain Brain 2.0, messo a punto nei laboratori dell’ateneo ferrarese grazie alla collaborazione anche dei Dipartimenti di Fisica e scienze della terra e di Medicina traslazionale, presto sarà messo a disposizione degli astronauti dell’Agenzia Spaziale Italiana in orbita.
“Tornerà utile – conclude il professore- in vista di viaggi più impegnativi come quelli su Marte e su altri pianeti della via Lattea: missioni volte a procacciare nuove fonti energetiche che possono permettere la sostenibilità della vita sul pianeta Terra nei prossimi secoli”.
![spazio](https://www.metropolitano.it/wp-content/uploads/2021/03/Un-visual-del-satellite-MaveN-in-orbita-su-Marte-800x450.jpg)
Il progetto Glittery
Non l’equipaggio, ma le dotazioni di bordo sono invece al centro dell’altro progetto, Glittery, che vede il Dipartimento di Fisica e scienze della terra dell’Università di Ferrara coinvolto insieme all’Istituto per la Microelettronica e i microsistemi di Bologna, al Dipartimento di Ingegneria elettrica ed elettronica dell’Università di Cagliari, l’Istituto Italiano di Tecnologia, la Fondazione Bruno Kessler, Genport srl e Advanced Technology Partner.
“I sistemi e gli strumenti presenti nella Stazione Spaziale Internazionale – sottolinea il coordinatore del progetto di ricerca, Donato Vincenzi dell’Università di Ferrara – sfruttano batterie agli ioni di litio per accumulare l’energia prodotta dai pannelli solari. A differenza di quanto accade sulla Terra, la loro sostituzione non è affatto banale. Trasportare batterie sulla ISS richiede missioni specifiche che hanno un costo di circa 20000 $ per ogni kg di peso: è evidente il notevole impatto sia sul costo che sull’ambiente”.
Dallo spazio alla Terra
Il progetto, che prende il nome dall’acronimo “Germanium anode lithium Ion battery” è stato finanziato dall’Agenzia Spaziale Internazionale, con il bando di ricerca per tecnologie abilitanti trasversali, proprio con lo scopo di migliorare la resa delle batterie in uso oggi.
Riuscire a ridurre il peso delle batterie agli ioni di litio consentirebbe infatti una svolta tecnologica importante non solo per il settore aerospaziale.
“Oltre all’alimentazione dei veicoli spaziali – aggiunge Vincenzi – Glittery potrebbe aprire nuovi orizzonti anche in altri settori chiave e di interesse commerciale, con potenziali benefici anche per le nostre vite sempre più interconnesse e online”.
L’obiettivo finale è infatti quello di realizzare batterie al litio con performance migliori rispetto a quelle esistenti, in termini di quantità di carica accumulata e di in numero di cicli di carica e scarica.
Alberto Minazzi