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Coronavirus. Il “segreto” per ammalarsi meno dei bambini

Coronavirus. Il “segreto” per ammalarsi meno dei bambini
bambini coronavirus studio

Si chiamano linfociti T e B specifici contro il virus Sars-CoV-2 e sono la probabile spiegazione del perché i bambini reagiscono meglio e più rapidamente all’infezione da Covid-19, varianti comprese.
Lo dice la ricerca realizzata dall’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma in collaborazione con l’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie e l’Università di Padova i cui risultati sono stati pubblicati dalla rivista scientifica Cell Reports.

I bambini e il Covid

Fin dal principio della pandemia, un anno fa, si è chiaramente notato come il coronavirus colpisca solo in maniera marginale i bambini. E, anche qualora i più giovani siano infettati, nella maggior parte dei casi il decorso della malattia è molto più rapido e solo in rari casi sviluppa sintomi seri.
Lo studio ha quindi cercato di evidenziare le caratteristiche immunologiche dei pazienti che reagiscono meglio all’infezione, per capire come il loro organismo riesca a neutralizzare in tempi rapidi, spesso dopo soli 7 giorni, il Covid. Ed è emerso come sia caratterizzato dalla presenza di una grande quantità dei linfociti specifici T e B il profilo immunologico dei bambini inseriti nello studio che già dopo una settimana, erano riusciti a neutralizzare il virus.

La carica virale di Sars-CoV-2 in base al tempo nello studio dell’ospedale Bambino Gesù

Lo studio: il campione

La ricerca effettuata da medici e ricercatori del gruppo di studio “CACTUS” del Bambino Gesù ha coinvolto 66 pazienti, tra l’anno e i 15 anni d’età, che erano stati ricoverati la scorsa estate nel centro Covid dell’ospedale a Palidoro, nel territorio comunale di Fiumicino. Dal campione, sono stati esclusi in partenza i pazienti con un quadro clinico severo, a partire da quelli che avevano sviluppato la sindrome infiammatoria multisistemica, una delle patologie rare associate al Covid che registra una maggior diffusione nelle fasce d’età più giovani. La gran parte dei bambini presi in considerazione risultavano quindi paucisintomatici a inizio infezione. E, a una settimana di distanza, la situazione era evoluta in asintomatica, con la guarigione clinica del paziente.

Il profilo immunologico: i linfociti T e B

Nel sangue dei bambini che hanno fatto registrare questo rapido decorso clinico è stata riscontrata un’elevata presenza dei linfociti specifici contro il Sars-CoV-2. Si tratta di cellule che, una volta entrate in contatto con il virus, sono in grado di riprodursi con estrema velocità, producendo in elevata quantità anticorpi capaci di neutralizzarlo.

bambino coronavirus studio

Di conseguenza, nei pazienti con questo particolare profilo immunologico, la carica virale riscontrata a una settimana dall’inizio del monitoraggio è stata talmente bassa da annullare in pratica la capacità infettiva. In altri termini, con meno di 5 copie virali per microlitro di sangue, pur risultando ancora positivi al tampone i bambini non erano più potenziali trasmettitori del contagio ad altri soggetti.

Considerazioni e prospettive

Gli studiosi hanno verificato inoltre una correlazione tra la presenza dei linfociti T e B specifici e l’esposizione del bambino ad altri virus stagionali. Ovvero: più virus influenzali erano stati contratti in passato dal paziente, maggiore era la sua capacità di eliminare rapidamente il virus del Covid. Da queste considerazioni, i ricercatori suggeriscono di prendere in considerazione insieme al tampone, nelle strategie future, anche il test del profilo immunologico dei bambini. In tal modo, sarà possibile ottenere una serie di risultati. Dal punto di vista dell’adozione della migliore strategia terapeutica, consentirà ad esempio di intervenire in tempi più rapidi con farmaci mirati, a partire dai monoclonali, per velocizzare il superamento della malattia. Lo stesso periodo di isolamento o quarantena potrebbe essere personalizzato e ridotto fino a soli 7 giorni. Conoscere il profilo immunologico, infine, tornerebbe utile anche per valutare l’efficacia della vaccinazione in ambito pediatrico.

La memoria delle cellule

I linfociti per il Covid agiscono contro la proteina spike del coronavirus. Si tratta di cellule moltiplicate dal nostro organismo una volta riconosciuto il virus. La risposta è standard, ed è quella su cui puntano anche le vaccinazioni. Ma le cellule sono specifiche per combattere ciascun agente infettivo.
“Le cellule – sottolinea Paolo Palma, il responsabile dell’UOC di Immunologia clinica e Vaccinologia del Dipartimento pediatrico del Bambino Gesù, coordinatore della ricerca – vengono poi mantenute nell’organismo secondo meccanismi complessi. Non a caso, pur non avendo effettuato una comparazione con soggetti in età adulta, potrebbe essere questa una delle spiegazioni del perché siano presenti in elevata quantità nei bambini, che hanno avuto un contatto più vicino nel tempo con i virus influenzali. Col passare dell’età, infatti, nell’anziano si verifica il fenomeno definito di “immunosenescenza”, ovvero la perdita di memoria delle cellule dell’organismo rispetto ai virus. Vi sono comunque anche da tenere in considerazione aspetti genetici che conosciamo ancora poco”.

Il gruppo di lavoro del Bambino Gesù con, al centro, il professor Paolo Palma

Le copie virali e la trasmissibilità del coronavirus

Quel che si è provato a fare con lo studio, iniziato ad agosto, è stato comunque soprattutto un cambio di metodologia. “A differenza di quello che si è fatto finora, sapendo solo se ci fosse stata o meno la reazione dell’organismo – riprende Palma – abbiamo provato a quantificare il numero di cellule contro il virus sviluppate dopo l’infezione, direzione presa dalla virologia molecolare più sofisticata. Il dato delle copie virali è infatti fondamentale: sapere solo la positività o la negatività non è più sufficiente. Chi ha un numero basso di copie non trasmette infatti il virus, mentre più se ne hanno, più si può trasmetterlo”. Una sfida importante su più fronti: dalla gestione dei pazienti cronici intraospedalieri a quella delle misure di quarantena. In tal senso, nella ricerca specifica, è stato fondamentale il ruolo del gruppo dell’Università di Padova coordinato dall’esperta virologa Anita De Rossi, il primo a sviluppare la tecnologia in grado di misurare questi dati. E tutti i centri, a partire dallo stesso Bambino Gesù, che ha acquistato l’apposito macchinario, stanno andando in questa direzione.

Paolo Palma

Il contributo dello Zooprofilattico delle Venezie

L’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie ha collaborato con il Bambino Gesù in fase organizzativa, sviluppando tra febbraio marzo una metodica di laboratorio che è poi stata messa in campo nella ricerca. Il contributo del laboratorio ricerca in modelli animali e metodi alternativi dell’IZSVe ha consentito di misurare in tempi rapidi la capacità neutralizzante degli anticorpi specifici.
Una metodica che potrà tornare utile anche per verificare tempestivamente l’efficacia dei vaccini nei confronti delle varianti. “Con questa metodica rapida e scalabile – spiega il coordinatore, Francesco Bonfante – riusciamo a verificare se la risposta immunitaria del paziente abbia un potenziale protettivo contro i virus circolanti. Per analizzare i sieri, abbiamo modificato il saggio tradizionale di neutralizzazione virale, accorciandone la durata (da 4-5 giorni a 36 ore) ed aumentandone la capacità (da 20 a oltre 100 sieri a settimana)”.

Alberto Minazzi

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