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Chiesa: apertura storica sui sacramenti

Chiesa: apertura storica sui sacramenti

Un documento firmato dal Dicastero per la dottrina della fede e approvato da Papa Francesco dice sì al battesimo per transessuali, figli di genitori omoaffettivi o nati da utero in affitto

Le persone transessuali, anche se si sono sottoposte a trattamento ormonale o a intervento chirurgico di riattribuzione di sesso, e i bambini delle coppie omosessuali, anche se nati dall’utero in affitto, possono ricevere il battesimo “alle medesime condizioni degli altri fedeli” nella Chiesa cattolica.
È la rivoluzionaria novità introdotta da un documento del Dicastero per la Dottrina della Fede, firmato dal prefetto Victor Fernandéz e approvato da Papa Francesco nell’udienza del 31 ottobre.
Un’apertura storica, per il Vaticano, che si pone in linea con le indicazioni emerse dalla prima sessione della XVI assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, dal titolo “Una Chiesa sinodale in missione”.
Un incontro tenutosi a Roma dal 4 al 29 ottobre, a coronamento di un processo di ascolto durato 2 anni, con tappe diocesane, nazionali e continentali, che vivrà a ottobre 2024 la seconda sessione per portare a termine il lavoro iniziato.

Domande e risposte sul battesimo contenute nel documento

Attraverso il documento, il Dicastero ha dato risposta alla lettera inviata lo scorso luglio dal vescovo di Santo Amaro in Brasile, monsignor José Negri, contenente alcune domande riguardo alla possibile partecipazione ai sacramenti del battesimo e del matrimonio da parte di persone transessuali e di persone omoaffettive.
E le risposte, elaborate dopo un processo di studio, “ripropongono, in buona sostanza, i contenuti fondamentali di quanto, già in passato, è stato affermato in materia da questo Dicastero”.
Alla domanda se un transessuale può essere battezzato, la risposta è affermativa, “se non vi sono situazioni in cui c’è il rischio di generare pubblico scandalo o disorientamento nei fedeli”.
E si aggiunge che “nel caso di bambini o adolescenti con problematiche di natura transessuale, se ben preparati e disposti, questi possono ricevere il battesimo”.
Requisito generale, una riflessione su eventuali “dubbi sulla situazione morale oggettiva in cui si trova una persona, oppure sulle sue disposizioni soggettive verso la grazia”.
Affermativa anche la risposta anche all’ulteriore quesito se due persone omoaffettive possono figurare come genitori di un bambino, che deve essere battezzato, e che fu adottato o ottenuto con altri metodi come l’utero in affitto.
Al riguardo, però, il documento precisa che “perché il bambino venga battezzato ci deve essere la fondata speranza che sarà educato nella religione cattolica”.

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Le posizioni su testimoni di nozze, padrini e madrine di battesimo

Gli orientamenti sessuali sono stati affrontati dal Dicastero anche in merito alle eventuali preclusioni per l’assunzione di altri compiti all’interno dei riti relativi ai sacramenti cattolici.
Due dei quesiti avanzati riguardavano infatti la possibilità di ricoprire il ruolo di testimone di matrimonio da parte di un transessuale adulto sottoposto a trattamento ormonale o a operazione per il cambio di sesso o da un omoaffettivo che convive. E la risposta, in entrambi i casi, è stata che “non c’è nulla nella vigente legislazione canonica universale” che lo proibisca.
Riguardo alle stesse persone è arrivata una risposta, nuovamente positiva, sia pure con alcune precisazioni, anche riguardo ai ruoli di padrino e madrina di battesimo. Per i transessuali, l’ammissione al compito è possibile “a determinate condizioni”. “Non costituendo tale compito un diritto – precisa il documento – la prudenza pastorale esige che esso non venga consentito qualora si verificasse pericolo di scandalo, di indebite legittimazioni o di un disorientamento in ambito educativo della comunità ecclesiale”.

Più articolato il ragionamento sugli omoaffettivi conviventi. Ricordando che può essere padrino o madrina chi ne possegga l’attitudine e “conduce una vita conforme alla fede e all’incarico che assume”, il documento sottolinea che “diverso è il caso in cui la convivenza di due persone omoaffettive consiste, non in una semplice coabitazione, bensì in una stabile e dichiarata relazione more uxorio, ben conosciuta dalla comunità”. La conclusione è che “in ogni caso, la debita prudenza pastorale esige che ogni situazione sia saggiamente ponderata, per salvaguardare il sacramento del battesimo e soprattutto la sua ricezione, che è bene prezioso da tutelare, poiché necessaria per la salvezza”.

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Le aperture del Sinodo

I mutati orientamenti della Chiesa cattolica rispetto alle rigide posizioni del passato già erano evidenti all’interno del documento conclusivo della prima sessione del Sinodo dei vescovi. Nella seconda e nella terza parte del testo, le tematiche relative all’identità di genere e all’orientamento sessuale erano già state espressamente affrontate, come “controverse anche nella Chiesa, perché pongono domande nuove”. Aggiungendo poi l’ammissione che “in modi diversi, anche le persone che si sentono emarginate o escluse dalla Chiesa, a causa della loro situazione matrimoniale, identità e sessualità chiedono di essere ascoltate e accompagnate, e che la loro dignità sia difesa”.
“È importante – si era concluso – prendere il tempo necessario per questa riflessione e investirvi le energie migliori, senza cedere a giudizi semplificatori che feriscono le persone e il Corpo della Chiesa”, aggiungendo anche che “occorre identificare le condizioni che rendono possibile una ricerca teologica e culturale che sappia partire dall’esperienza quotidiana del Popolo Santo di Dio e si metta a suo servizio” e proponendo la promozione di “iniziative che consentano un discernimento condiviso su questioni dottrinali, pastorali ed etiche che sono controverse”.

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Ma l’atteggiamento di apertura, nel documento sinodale, è percepibile anche in merito alla partecipazione attiva dei fedeli laici nelle comunità cristiane. “I carismi dei laici – si legge – devono essere fatti emergere, riconosciuti e valorizzati a pieno titolo. In alcune situazioni può capitare che i laici siano chiamati a supplire alla carenza di sacerdoti, con il rischio che il carattere propriamente laicale del loro apostolato risulti sminuito”.
E poi le riflessioni sulle donne nella vita e nella missione della Chiesa: “Desideriamo – si afferma – promuovere una Chiesa in cui uomini e donne dialogano allo scopo di comprendere meglio la profondità del disegno di Dio, in cui appaiono insieme come protagonisti, senza subordinazione, esclusione, né competizione”, lasciando intuire così una sempre maggior apertura nella riflessione sull’accesso delle donne al “mistero diaconale”.

Alberto Minazzi

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