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Alzheimer: l'inedito ruolo del pesce zebra

Alzheimer: l'inedito ruolo del pesce zebra

Lo studio di un team dell’Università di Ferrara evidenzia il ruolo di un gene comune nei processi cognitivi di mammiferi e pesci

La simpatica Dory, pesce chirurgo blu protagonista del noto film di animazione “Alla ricerca di Nemo” e del seguito a lei intitolato, è entrata per la sua smemoratezza nel cuore di bambini e non solo.
Ancor prima, nella cultura popolare, il detto (peraltro poi smentito dalla scienza) “avere la memoria di un pesce rosso” è assai utilizzato nei confronti di chi dimentica subito una cosa.
Adesso, proprio sul fronte delle malattie del sistema nervoso centrale come l’Alzheimer (ma anche l’autismo, il disturbo bipolare e la schizofrenia), proprio un pesce potrebbe fungere da modello per aiutare a “sviluppare nuove strategie terapeutiche basate sulle sue somiglianze con i mammiferi”.

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Il pesce zebra

Si tratta del pesce zebra, sui cui processi cognitivi si sono incentrati gli studi di un team di zoologi del Dipartimento di Scienze della vita e biotecnologie dell’Università di Ferrara.
Secondo un numero crescente di studi, si sottolinea, i pesci teleostei mostrano un livello di sofisticazione cognitiva simile ai mammiferi. Anzi, “in molti compiti cognitivi, le prestazioni dei pesci superano persino quelle di molte specie di mammiferi”.
I pesci sono cioè in grado di apprendere in modo avanzato ed estremamente rapido, di formare ricordi duraturi, modificare in modo flessibile il loro comportamento, innovare, utilizzare strumenti, risolvere problemi, inibendo risposte automatiche, elaborando informazioni numeriche, sviluppando tradizioni comportamentali e cooperando.

Pesce zebra

Il gene Bdnf

Punto di partenza degli studi è un gene, chiamato Bdnf, che accomuna i pesci teleostei ai mammiferi e le cui variazioni sono associate a diverse malattie cognitive. “Questo progetto – spiega Tyrone Lucon-Xiccato, primo autore dello studio – nasce dall’ipotesi che esistano moduli cognitivi di base comuni a tutti i vertebrati. L’idea si fonda su dati raccolti in decenni di studi di tipo osservazionale, che fino ad ora non avevano ancora trovato un riscontro di tipo genetico”
“Le notevoli somiglianze nelle prestazioni cognitive tra teleostei e mammiferi – illustra l’abstract dello studio – suggeriscono che anche i meccanismi cognitivi sottostanti potrebbero essere simili in questi due gruppi. Abbiamo testato questa ipotesi valutando gli effetti del fattore neurotrofico derivato dal cervello, che è fondamentale per il funzionamento cognitivo dei mammiferi, sulle capacità cognitive dei pesci”.

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Tyrone Lucon-Xiccato, primo autore dello studio “Individual differences and knockout in zebrafish reveal similar cognitive effects of Bdnf between teleosts and mammals”

La conclusione a cui sono giunti i ricercatori , pubblicata sulla rivista “Proceedings of the Royal Society B: Biological Sciences”, è che “il nostro studio suggerisce che il Bdnf ha un importante effetto di attivazione sulla cognizione dei pesci che è simile a quanto osservato nei mammiferi”.

Gli esperimenti

Gli studiosi hanno dunque scoperto che le differenze individuali nelle capacità di apprendimento dei pesci zebra sono “positivamente correlate con l’espressione di Bdnf”.
Quelli con livelli di neurotrofina più alti si sono cioè dimostrati in grado di apprendere più velocemente. È stato quindi creato un pesce mutante privo del gene. E questo ha mostrato notevoli deficit di apprendimento.
La metà dei mutanti, cioè, “ha fallito un compito di discriminazione del colore, mentre i restanti mutanti hanno imparato il compito lentamente, impiegando tre volte più tempo del controllo”. I mutanti hanno anche impiegato il doppio del tempo per trovare il percorso di uscita da un labirinto e hanno mostrato difficoltà nell’esercitare il controllo inibitorio.
“Questo studio è un punto di partenza: il modello mutante zebrafish richiede analisi più dettagliate”, aggiunge Lucon-Xiccato. “Bisogna considerare che sappiamo ancora ben poco di come la genetica determini le abilità cognitive negli animali, ed è decisamente improbabile che bdnf sia l’unico gene coinvolto.
“La chiave per questo tipo di studi – conclude – potrebbe essere il modello zebrafish associato ai dati già acquisiti nei mammiferi”. E, proprio alla luce di questo potenziale, il gruppo di ricerca di zoologia dell’Università di Ferrara è stato recentemente inserito in un progetto nazionale finanziato dal Ministero.

Cristiano Bertolucci, Dipartimento di Scienze della vita e biotecnologie Università di Ferrara

Lo zebrafish è riconosciuto come un nuovo modello chiave per lo studio del sistema nervoso

“La nostra soddisfazione – commenta Cristiano Bertolucci, principal investigator dello studio – va oltre i risultati ottenuti in questa ricerca. Lo zebrafish è riconosciuto come un nuovo modello chiave per lo studio del sistema nervoso”. “I nostri risultati – conferma Lucon-Xiccato – hanno attirato l’attenzione di ricercatrici e ricercatori di ambito medico”.
“Un’analisi dell’apprendimento dell’assuefazione – è spiegato nell’abstract dello studio – ha rivelato che il deterioramento cognitivo nei mutanti emerge precocemente durante lo sviluppo, ma potrebbe essere salvato con un agonista sintetico del Bdnf”.
Una volta compresa appieno l’azione cellulare del Bdnf, ulteriori studi nei pesci teleostei e nei mammiferi, così come nei gruppi legati alla transizione tra pesci e tetrapodi come gli anfibi, dovrebbero quindi tentare di capire se ciò sia dovuto a un meccanismo cognitivo che è conservato in tutti i vertebrati.

Alberto Minazzi

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