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1920-2020: Venezia cent'anni dopo

1920-2020: Venezia cent'anni dopo
@Riccardo Roiter Rigoni

Sono passati cent’anni dall’aprile del 1920.
E’ cambiato il mondo, non c’è dubbio. Ma la ciclicità della storia riserva sempre dei ritorni inaspettati.
I veneziani del 1920 si trovavano nel bel mezzo di una fase postbellica e prefascista.
Ma anche in uscita da una pandemia, la Spagnola, che aveva provocato, a partire dal 1918, oltre 100 milioni di morti in tutto il mondo, di cui 400 mila in Italia, uno dei Paesi più colpiti.
Il territorio veneziano non fu risparmiato. Soprattutto Chioggia, che dopo aver riempito gli ospedali, rischiò di essere evacuata.
Nel 1920 si iniziò anche a vedere qualche barlume nel tunnel di una crisi economica rivelatasi devastante per la città, che con la guerra aveva visto l’esodo della maggior parte delle aziende.

La Grande Guerra @Rai Storia

Gli anni difficili di Venezia

La città, più volte bombardata nel corso della guerra, si era svuotata: i cantieri Poli e Savinem se n’erano andati, le officine meccaniche Toffolo anche, così come la Svan, lo stabilimento veneziano industrie metalli e legno, la cooperativa Benedetto Brin e la ditta Dal Prà, che si trasferì a Reggio Emilia per produrre materiale ferroviario. A causa dei ripetuti bombardamenti, buona parte degli stessi veneziani se ne erano andati: le case erano chiuse, così come i negozi e gli alberghi. Si erano trasferiti perfino gli uffici comunali, le banche e la Camera di Commercio.

1920: la rinascita

Ma nella primavera del 1920 la ripresa fu immediata. C’era voglia di vita e di un nuovo inizio.
Che si concretizzò nell’avvio di uno dei progetti più importanti di quell’anno: la realizzazione di Porto Marghera.

Dall’alto verso il basso: la zona di Porto Marghera all’inizio dei lavori; opere di scavo per l’apertura del bacino commerciale;lavori di scavo del canale navigabile tra Porto Marghera e il naviglio Brenta

In realtà, le cronache di quell’anno raccontano anche di molte altre idee e proposte di trasformazione e di rinascita: si pensò alla realizzazione del secondo ponte sulla laguna (che fu poi inaugurato 13 anni dopo), si discusse della costruzione di una via fluviale che collegasse Bolzano a Venezia e che non fu mai realizzata.
Si propose di creare il porto industriale alla Giudecca, così come quella che i contemporanei definirono un’americanata: la costruzione di tunnel subacquei.
La famosa idea della linea sublagunare che ogni tanto emerge nelle nostre cronache ha radici di pensiero piuttosto lontane. Quei treni sistemati a venti trenta metri sott’acqua, sarebbero partiti da San Marco, toccando la Salute, l’isola di San Giorgio, quella degli Armeni, fino al Lido, che già prima della guerra aveva conosciuto un importante sviluppo.

Rimaneva l’idea costante che a Venezia non potessero avere fortuna i progetti grandiosi, tranne uno: quello del porto industriale che si stava già sviluppando. È sempre di quell’anno, infatti, l’approvazione in Parlamento della legge sui sopraprofitti di guerra per la realizzazione del Porto di Venezia.

I cambiamenti climatici

In quel lontano 1920, a Venezia, si discusse molto anche di  cambiamenti climatici. Un secolo fa non erano ancora avvertiti come problema. Tuttavia, destavano interesse. In Italia se ne occupò la Società meteorologica italiana, che dal 28 al 30 settembre 1920 organizzò proprio a Venezia, nella sala terrena dell’Ateneo, un convegno internazionale sul tema. Si dissertò di cicloni e anticicloni, di nebbia e di un’aurora boreale vista ad Aosta. Argomento di nicchia? Non proprio, visto che le cronache riferiscono di una grande affluenza di pubblico presente alle giornate del Congresso.

Una gran voglia di vita

L’affluenza di persone, nelle strade, nei locali, nei luoghi di cultura e di divertimento fu una costante del 1920 e probabilmente anche una reazione agli anni tristi della guerra e della pandemia.
Cosa facevano dunque i veneziani esattamente cent’anni fa?
Andavano sicuramente a teatro. Le cronache del tempo informano che i teatri veneziani erano sempre gremiti di pubblico: il Goldoni, il Malibran, il Teatro del Lido, il Grande Stabilimento Bagni, la Fenice, dopo la riapertura il 3 aprile sempre di quell’anno.
Ma andavano anche al cinema: al Centrale, talvolta usato anch’esso come teatro, al Modernissimo, al San Marco, al Massimo, al Santa Margherita, all’Italia. Ma potevano anche andare a vedere dei concerti al Caffè orientale, al Florian.

La Fenice 

 La Fenice venne chiusa durante la guerra per essere messa a disposizione del Comitato di assistenza civile; il palcoscenico venne usato come magazzino per stoffe e divise militari. Ma venne riaperta ai primi di aprile in occasione della XII esposizione internazionale d’arte, inaugurata un mese dopo.
Il Faust, diretto dal maestro Baldi Zenoni, riscosse un grande successo e sancì il riavvio di una lunga stagione fortunata.

La Biennale d’Arte

Riaprì proprio nel 1920 anche la Biennale. Riformata, sotto il presidente Vittorio Pica, la mostra internazionale d’arte non si limitò alla riscoperta dei grandi maestri della fine del secolo precedente ma aprì per la prima volta ai nuovi linguaggi delle avanguardie internazionali.
Parteciparono 288 artisti italiani e 309 artisti stranieri. Con la Francia, che aveva affidato il proprio padiglione a Paul Signac, presenziarono l’Olanda, il Belgio, gli Stati Uniti , la Svezia, la neonata Cecoslovacchia, la Svizzera e la Spagna. Furono esposti capolavori di Cézanne e Van Gogh. Anche in questo caso, il successo fu assicurato. Vi giunsero 240.510 visitatori e fu venduto il 38% di quanto esposto.

La Biennale di Venezia

La crisi, certo, non era ancora stata debellata ma, nonostante storicamente il momento venga ricordato come uno dei più difficili per l’Italia, Venezia nel 1920 riporta testimonianze di voglia di vivere, di creare, di occuparsi di cultura.

Gli anni ruggenti

Anche a Venezia, arrivarono dall’America alcune novità che segnarono il 1920 come l’inizio degli “anni ruggenti”. Tra queste, il jazz e la diffusione della musica in genere, parallela alla nascita delle tante case discografiche in Italia.

Un grammofono

Esplose, come in tutto il Paese, anche un fenomeno del tutto inedito legato al cinema muto: il divismo.
Proprio a Venezia, giunse nel 1918 e visse per diversi anni una delle protagoniste della nuova arte: Lyda Borelli, moglie dell’imprenditore Vittorio Cini. Con il matrimonio abbandonò il cinema ma non la abbandonò la sua fama, che diede origine anche a un fenomeno di costume: il “borellismo”.

L’attrice e moglie dell’imprenditore Vittorio Cini Lyda Borelli @Fondazione Archivio Vittorio Cini

Borelline erano così definite le giovani ragazze che camminavano ondeggiando sinuose e le donne che imitavano le  pose estetiche di una delle allora star del cinema più amate.

Mentre nei locali si ascoltavano le canzoni più in voga del dopoguerra come Vipera e Scettico blues, Venezia si preparava alla rinascita. I fratelli Vittorio e Mario Pilla, a Castello, fondarono la distilleriaFratelli Pilla & Co” dove, il 29 maggio 1920, registrarono il marchio Select, diventato poi l’ingrediente base dello spritz veneziano.
La moda riscoprì i velluti e i merletti, i pizzi e le perle banditi dalla miseria e, ancor prima, dagli abiti severi della dominazione austriaca. Le donne smisero di essere cucitrici di indumenti per soldati e ritornarono alle loro abilità di ricamatrici e perlaie.

Il Lido e Piazza San Marco

I caffè di Piazza San Marco e il Lido ritornarono a essere mete di un turismo di lusso.
L’isola poi chiamata “d’oro” era frequentata da celebrità e ricche famiglie alle quali offriva sport aristocratici, mare e  balli.
I Giardini Reali di Venezia e le Procuratie Nuove, dove avevano vissuto dapprima Napoleone e poi la principessa Sissi con i Savoia, furono aperti al pubblico.


In una città nuovamente viva, furono molti i protagonisti, veneziani e non, della storia.

I protagonisti

Il Conte Volpi, la “cordata veneta”, Vittorio Cini e Lyda Borelli, Gabrielle Chanel, in arte Coco Chanel, la marchesa Casati… Vi dicono nulla questi nomi?
Veneziani e no, sono quelli di alcuni dei maggiori protagonisti del 1920 a Venezia.

Il Conte Volpi di Misurata

Giuseppe Volpi, noto anche come “il conte Volpi”, imprenditore e politico, è stato uno dei personaggi più influenti degli anni ’20, sia sul piano nazionale che locale.

Giuseppe Volpi di Misurata

A capo della S.A.D.E (Società Adriatica di Elettricità), società attorno alla quale girarono le più importanti iniziative imprenditoriali dell’epoca, fu protagonista nella realizzazione di Porto Marghera.
Insieme a Vittorio Cini, Achille Gaggia e Giancarlo Stucky siglò, proprio nel 1920, con il Comune di Venezia, un accordo per realizzare anche i primi quartieri popolari di Marghera.
Fu sempre il conte Volpi, un dodici anni dopo, a dare il via alla Mostra del Cinema di Venezia.

Il Palazzo del Cinema realizzato nel 1932 per la prima Esposizione Cinematografica Internazionale a Venezia. @Volpi: l’ultimo Doge

Vittorio Cini

Fece parte della cordata veneta, anche se veneto non era.
Ferrarese, anche Vittorio Cini fu uno dei più grandi imprenditori italiani.
La sua unione con Venezia risale proprio agli anni in cui entrò a far parte del “Gruppo veneziano”assieme a Giuseppe Volpi. Si stabilì nel 1919 con la famiglia in Campo San Vio.
Il suo nome, oltre che alla nascita di Porto Marghera e dei primi quartieri margherini è legato all’isola dedicata al figlio Giorgio, morto in un incidente aereo appena trentenne.

I figli di Vittorio Cini e Lyda Borelli. Da sx verso dx: Yana, Ylda, Giorgio e Mynna Cini @Fondazione Archivio Vittorio Cini

Per onorare la memoria del figlio, avuto con la moglie, l’ex attrice Lyda Borelli, Vittorio gli intitolò un grande progetto, che lo portò a realizzare un centro marinaro divenuto un fiore all’occhiello di Venezia. Concretizzò la sua idea nell’isola di San Giorgio Maggiore, allora abbandonata e qui investì enormi capitali nel suo recupero. Vi fondò la Scuola  Giorgio Cini, con annesso convitto con dormitori, refettorio, servizi sanitari e officine per la meccanica industriale e motoristica. E poi ancora un cantiere navale, campi da gioco e sportivi, una piscina, una palestra e un teatro da 500 posti.

Lyda Borelli

Lyda Borelli era la moglie di Vittorio Cini. Un’istituzione in città. Ma anche una vera e propria icona in Italia. Nonostante, con il matrimonio, abbia subito abbandonato la sua fortunata carriera cinematografica e anche se i suoi film sono presto stati fatti sparire dalla circolazione dal marito, geloso della bellissima moglie, Lyda restava a tutti gli effetti una star.

L’attrice e moglie dell’imprenditore Vittorio Cini Lyda Borelli. @Fondazione Archivio Vittorio Cini

Nativa di La Spezia, faceva parte di una famiglia di artisti e approdò giovanissima al teatro. Ma fu soprattutto il cinema muto a farla diventare una Diva. Era una donna moderna, emancipata, che guidava l’auto e portava i pantaloni. Ma si muoveva con eleganza e sensualità, diventando un esempio di stile chiamato, appunto, “borellismo”. A Venezia ebbe quattro figli (Giorgio, le gemelle Yana e Ylda e Mynna) e fece una vita piuttosto ritirata. Ma quando usciva con la famiglia non c’era storia: gli occhi ricadevano tutti su di lei.

La Marchesa Casati

C’era un’altra donna, nel 1920, al centro dell’attenzione curiosa dei veneziani.
Eccentrica ed esibizionista, Luisa Adele Rosa Maria Amman, più nota come la “Marchesa Casati”, dal cognome dell’ex marito, era giunta a Venezia nel 1910.
Fu incoraggiata dal suo amante, Gabriele D’Annunzio, a comprare palazzo Venier dei Leoni, lo stesso in cui oggi c’è il Museo Peggy Guggenheim e qui ebbe residenza fino al 1924.

La Marchesa Casati @ MUVE

Del palazzo rinnovò gli interni, imponendo il suo amore per i marmi neri e bianchi e, nel giardino, ospitò una serie di animali esotici. Un ghepardo, dei merli albini (si dice che facesse loro dipingere le piume ogni giorno a seconda del proprio umore), scimmie, pappagalli e anche un boa.
Nel 1920 non era in ottima forma. Appena l’anno prima aveva perso la sorella a causa dell’epidemia di Spagnola e, irrequieta, aveva iniziato ad alternare la sua abitazione veneziana a quella di Capri e di altri luoghi. Quando però arrivava in città se ne accorgevano tutti.

La Marchesa Casati durante una delle feste nel suo giardino veneziano

Perché era famosa per le sue lussuose e stravaganti feste, che dava nei giardini del suo palazzo e perché amava stupire girando nuda, di notte, in Piazza San Marco, scortata dal suo ghepardo con collare di brillanti e pietre preziose e illuminata dalla torcia di uno dei suoi servitori di colore. Pupille dilatate, trucco pesante sugli occhi verdi, lunghissime ciglia finte, la Marchesa aveva un suo stile da dark lady che ispirava soprattutto gli artisti. Era ciò che lei stessa anelava: diventare un’opera d’arte.

Gabrielle Bonheur Chanel

Una delle ospiti più ricorrenti a Venezia, nel 1920, fu anche la celebre stilista Coco Chanel, che in laguna trovò rifugio dopo la perdita del compagno, Arthur Boy Capel, nel 1919.

Coco Chanel a Venezia

Alloggiava abitualmente all’Hotel Danieli, ma amava trascorrere le sue giornate all’Arsenale, fare delle gite in barca al Lido di Venezia e consumare l’aperitivo, al tramonto, al Florian, in Piazza San Marco.

Coco Chanel in vacanza al Lido nel 1920

Proprio  la basilica, e in modo particolare la pala d’oro sull’altare maggiore, pare abbia ispirato la creazione della sua prima collezione di gioielli e leggenda vuole che sia nata proprio a Venezia la fragranza nota in tutto il mondo come Chanel n.5

4 commenti su “1920-2020: Venezia cent’anni dopo

  1. Articolo fantastico, complimenti.


  2. Un bel frammento di storia , tanti aneddoti e personaggi che hanno costruito la vita di Venezia . Oggi purtroppo tutto è più piatto, banale, vuoto… ma fiduciosi aspettiamo la rinascita.


  3. Più che piacevole
    Personaggi fantastici creativi nella città da sogno che è Venezia


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