Arte e Cultura +

Le stanze dei Dogi: 1100 anni di storia nella sale di Palazzo Ducale

Le stanze dei Dogi: 1100 anni di storia nella sale di Palazzo Ducale
Palazzo Ducale @Claudia Meschini

Da Paoluccio Anafesto a Ludovico Manin: tra imprese, intrighi, grandi eroi e sovvertitori

La penombra accoglie i visitatori al primo piano di Palazzo Ducale.
Le stanze vissute dai Dogi, racchiuse in grandi pannelli bordeaux, raccontano con scritte dorate e bianche – alternanza della lingua italiana e inglese – una storia lunga 1100 anni esatti, dall’elezione del primo “sovrano” Paoluccio Anafesto nel 967 fino all’abdicazione di Ludovico Manin del 1797.
Nel mezzo, storie di intrighi e di imprese, di grandi eroi della patria e di sovvertitori dello status quo, narrate dalle parole e dalle opere d’arte celate nell’area più riservata di Palazzo Ducale, tra lo stesso e la Basilica di San Marco.

Il Doge: a capo della Serenissima e prigioniero dei giochi di potere

Dallo scorso 14 luglio le stanze dell’Appartamento del Doge sono tornate parte del percorso espositivo di questo capolavoro di architettura gotica, quel fu “Palazzo Dogale” simbolo di potere – in passato – e d’arte veneziana oggigiorno. Una mostra soprattutto storica della più alta carica politica della Serenissima, il Doge appunto, ispirato dagli imperi orientali e ispirazione per i meccanismi democratici futuri utilizzati dalle repubbliche contemporanee. Un antesignano del “Presidente della Repubblica” italiano, emblema civico e al tempo stesso prigioniero dei giochi di potere aristocratici e mercantili.

dogi
Le stanze dei dogi Courtesy Fondazione Musei Civici di Venezia. @ Elisa Chesini

Princeps in solemnitatibus, in curia senator, in urbe captivus, extra urbe reus: “principe nelle solennità, senatore in senato, prigioniero in città, colpevole fuori dalla città”.
L’intera mostra ruota intorno a questo motto, dando conto tanto del prestigio del doge “bizantino” – a cui si rifà l’origine del ruolo – quanto della sua posizione claustrale: si ipotizza che al principe non fosse consentito avere contatti con l’esterno, tanto legalmente – come il giuramento sulle Promissioni ducali dal 1148 – quanto fisicamente, nelle stanze più nascoste del palazzo stesso.

Ballottaggio e broglio: l’origine veneziana

Stanze e sale che raccontano la storia del Doge, iniziando dal metodo elettivo utilizzato dalla Repubblica per decretare, il più “democraticamente” possibile, il nuovo capo di stato.

Documento riportante l’elezione del Doge a Venezia

Una sorta di conclave laico, per il quale le aree del Palazzo del Senato, della Chiesetta, dell’Antichiesetta, del Collegio e dell’Anticollegio venivano serrate e rese inaccessibili fintantoché i 41 elettori – numero raggiunto nel 1249 per scongiurare pareggi – non avessero eletto il nuovo sovrano.
Un metodo che ha lasciato in eredità parole come “ballottaggio”, dalle ballotte, palline usate per la votazioni dai nobili veneziani, e “broglio”, dal veneziano brolo, l’orto in cui i nobili si accordavano segretamente sul futuro doge.

I momenti clou della Serenissima Repubblica

Se la storia delle elezioni dogali è raccontata perlopiù dai documenti, le imprese e gli aneddoti storici sono lasciati ai dipinti e alle sculture, già patrimonio della Fondazione Muve di Venezia e qui esposti per raccontare la storia dogale. Questi rievocano i momenti salienti e le ritualità più famose della Repubblica della Serenissima.
Tra tutti, spicca la “Battaglia di Lepanto” di Andrea Vicentino, dove la lega comandata da Venezia sconfisse (invano) l’impero Ottomano.
Qui si distinse il capitano generale de mar Sebastiano Venier, il cui prestigio personale lo portò all’elezione del 1577.

Il Bucintoro

Altra riproduzione maestosa a rubare l’occhio dei visitatori è il Bucintoro, ovvero l’imbarcazione utilizzata dalla Serenissima per celebrare lo “Sposalizio del mare” e il dominio di Venezia sulle acque.
Il modello riproposto negli appartamenti del Doge riguarda l’epoca settecentesca (laddove ogni periodo aveva la sua nave) in legno pregiato e madreperla, in scala 1:25.
Fu la nave più sfarzosa e ricca: 35 metri di lunghezza e 7 di larghezza, ospitava al piano inferiore i vogatori e ai superiori gli alti dignitari dello Stato.

dogi
Bucintoro Courtesy Fondazione Musei Civici di Venezia. @ Elisa Chesini

Ritratti e congiure

Grandi pittori venivano chiamati a corte per dipingere il ritratto dei dogi più importanti: Tiziano, per esempio, onorò la figura di Andrea Gritti (nella mostra è presente la copia di un anonimo veneziano), ricordando il suo ruolo di primus inter pares tra i soldati e di raffinato mediatore e mecenate; sempre a Tiziano commissionò l’affresco con San Cristoforo, presente tra la cappella privata del doge e le sale consiliari. Tra le imprese e i grandi uomini, i dipinti ricordano anche gli intrighi: ne è un esempio “La congiura di Baiamonte Tiepolo all’arco della Merceria”: il fatto risale al 1310, la raffigurazione è invece del Settecento.

Ritratto di Andrea Gritti, doge veneziano del XVI secolo

Marin Faliero: l’oblio della Serenissima e il drappo nero

Leggenda vuole che proprio dall’arco un’anziana signora fece cadere un mortaio, casualmente sulla testa del Tiepolo. Rimasti senza guida, i congiurati si arresero e la Repubblica, per evitare il ripetersi di episodi simili, istituì il potente Consiglio dei Dieci. Tra questi era stato eletto anche Marin Faliero, futuro doge e più tardi accusato di tradimento della patria; la sua figura e il suo nome vennero obliati dalla storia della Serenissima, tant’è che nella linea cronologica di successione è nascosto da un drappo nero.

Ludovico Manin: l’ultimo Doge

La storia dei dogi veneziani si chiuse nel 1797, quando l’ultimo di loro, Ludovico Manin, già restio ad accettare l’incarico, venne eletto per far fronte alla guerra tra Austria e Francia.
Manin rimase al suo posto fino alla fine, tentando di mantenere la neutralità veneziana durante l’invasione napoleonica: il 12 maggio del suddetto anno il doge abdicò, ponendo fine alla millenaria storia della Repubblica di Venezia.

dogi
Courtesy Fondazione Musei Civici di Venezia. @Elisa Chesini

Undici secoli di storia tra luci e ombre

Continua però la loro narrazione, l’insieme dei fatti e delle gesta che questi 120 sovrani – all’interno del sistema democratico della Serenissima, re e prigionieri allo stesso tempo – hanno lasciato ai loro discendenti, all’ombra dei loro appartamenti. Dipinti, sculture, architetture e reperti quotidiani raccolgono per quanto possibile la loro eredità, insieme a un piccolo gioco nell’ultima sala della mostra, “Indovina il doge.
Un modo diverso di imprimere nella memoria la vita di alcuni di loro, di onorare le loro vite. Usciti dalle sale del doge, la loro penombra alle spalle, riprende la visita a Palazzo Ducale.
Gli Appartamenti rimangono celati, non nascosti: a chi vorrà conoscere il potere basterà varcarne la soglia e perdersi tra le luci di questi undici secoli di storia.

Damiano Martin

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Il campo nome è richiesto.
Il campo email è richiesto o non è corretto.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.


Leggi anche: