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Italiana in Algeri: dietro le quinte della Fenice di Venezia

Italiana in Algeri: dietro le quinte della Fenice di Venezia
Truccatori e parrucchieri al lavoro su comparse e comprimari, poco prima delle prove generali de “L’Italiana in Algeri” di Giacchino Rossini, Gran Teatro La Fenice, Venezia 22 febbraio 2019. © Andrea MEROLA

Giungiamo alla Fenice di Venezia il giorno in cui è fissata la prova generale dell’ Italiana in Algeri di Gioachino Rossini. Visiteremo le stanze “segrete” dello storico teatro veneziano, quelle in cui ogni opera viene ideata, progettata e realizzata pezzo per pezzo.

I luoghi del Teatro La Fenice di Venezia

Tutto ciò che accadrà in scena ha trovato vita in più luoghi prima di arrivare sul palcoscenico.
Nel laboratorio di falegnameria della Giudecca, nell’ampia sartoria di San Marco, che all’interno del Teatro ha una sua succursale più piccola per le emergenze e gli ultimi aggiustamenti, nella calzoleria al secondo piano dello stabile, perfino nell‘armeria dell’ultimo piano.
Nulla di ciò che va in scena infatti è finto: tutto, anche i fucili, le spade e ogni altra arma sono reali, anche se ovviamente rese innocue. Per l’Italiana in Algeri è stata acquistata perfino una Balilla d’epoca. Un’auto bellissima, alla quale è stato tolto il motore e che, con un’altra decina di automobili d’epoca e un autobus, troverà poi spazio nel grande capannone che, a Marghera, custodisce i beni su quattro ruote del teatro.

Quando arriviamo il clima è frenetico. Alle prove assisteranno i ragazzi delle scuole e mancano meno di due ore. C’è poco tempo e tanto ancora da fare ma il clima è sereno.

“L’italiana in Algeri è’ stata una delle prime opere che ho realizzato come aiuto regista all’inizio degli anni ’80”-ci racconta il regista Bepi Morassi, mentre sul palco falegnami, macchinisti e elettricisti approntano gli ultimi aggiustamenti- Rossini è musica e teatro insieme e, dal punto di vista della regia, è una bella sfida“.



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Foto di Andrea Merola

A guardarsi intorno, la sfida risulta ben chiara.
Ambientazione novecentesca, scenografie in verticale, la vita dei personaggi che si sviluppa all’interno delle eleganti cabine di un piroscafo a vapore novecentesco ormeggiato al porto di Algeri e il mare come filo conduttore non solo tra un atto e l’altro ma in senso più ampio tra due culture, fanno dell’interpretazione di Morassi un’opera inedita.

Mentre lo ascoltiamo, dall’alto cala una grande rete per i pesci e tecnici e macchinisti si mettono all’opera per spingere lo scafo che lascerà vista aperta al pubblico sull’interno delle cabine del piroscafo. Sul palco si provano gli spostamenti  sui rulli della pesante scafo, mentre all’interno delle cabine si approntano gli ultimi lavori per completarne gli arredi. A terra ci sono tappeti persiani, sui soffitti lampade d’epoca. Poco fuori dal “porto”, di fatto sul palcoscenico,  il Bey di Algeri Mustafà giunge a bordo di  una Balilla provando la sua entrata in scena.

© Andrea MEROLA

Qualcuno cerca una corda del palombaro, qualche altro è alla ricerca di  altri pezzi della scenografia non ancora montati. Dalla platea si odono le voci dei ragazzi in attesa e dietro il sipario i lavori sono ancora in corso ma ognuno  sa come e quando muoversi, le forze si movimentano all’unisono, si avverte un clima di attesa crescente. Tutti sanno che tra poco accadrà un nuovo miracolo. Si apre il sipario e tutto è perfetto.  Musica, scene, interpreti e regia hanno inizio.

La magia del teatro

La meraviglia del teatro la fanno gli uomini. Non solo i cantanti, non solo la musica ma le idee rese concrete dalle abili mani delle maestranze.   Roberto Fiori è il capo attrezzista del Teatro La Fenice. Lavora qui da 37 anni e collabora all’allestimento dell’Italiana in Algeri per la terza volta. Ma è come fosse la prima, “perché ogni volta -ci dice- è sempre diversa“. Sta ultimando i lavori sulle tre imbarcazioni costruite ex novo nel laboratorio di falegnameria della Giudecca. Qui ogni pezzo della scenografia viene costruito “a misura di barca”, perché dev’essere poi trasportato nel teatro. E’ direttamente sul palco che l’insieme prende vita. Con lui lavorano maestranze molto qualificate. Sono circa un’ottantina. La scenografia è di Massimo Checchetto e tutti loro rendono concreti i suoi bozzetti, che a loro volta mettono insieme idee, studi e confronti.

Massimo Checchetto, scenografo del Teatro La Fenice di Venezia

“Ogni opera nasce dall’incontro tra direttore d’orchestra, regista, scenografo e costumista che discutono , ascoltano la musica,  si confrontano sul testo del libretto e trovano una chiave di lettura”,ci spiega Checchetto.

“Per italiana in Algeri quello che a noi  interessava era l’idea del viaggio, dell’incontro delle culture e certi miti come la commedia all’italiana. Da lì è nata l’idea di costruire il racconto  tutto all’interno di una nave, di un piroscafo. Abbiamo trasportato tutto ai primi anni del ‘900 e lì c’è tutto un mondo di scenografia da esplorare.”

Lo è anche dal punto di vista dei costumi. E non è un caso se non si vedono turbanti in scena, nonostante tutto accada al Algeri. Nella sartoria diretta dal costumista Carlos Tieppo le sarte approntano gli ultimi accorgimenti agli abiti.  Appesi ovunque si notano mantelli, coprispalle,  pantaloni alla corsara.  Tutto attorno stoffe sgargianti, manichini e interpreti che, tra trucco e parrucco e prove per scaldare le voci, entrano nelle vesti create da Tieppo per ciascuno su misura, mentre le sarte controllano come “cadono” sui loro corpi o se funzionano certi piccoli colpi di scena capaci di trasformare un normale cappellino all’europea in un vero e proprio riparo dal forte sole d’Algeri.

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Foto di Andrea Merola

Carlos Tiepo, costumista del Teatro La Fenice di Venezia

Carlos ha ideato ogni particolare creando i suoi abiti alla sua maniera, su dei piccoli manichini che sembrano bambole.

Si è confrontato con il regista, ha capito in quale direzione andare, ha fatto la sua ricerca storica e interiorizzato delle immagini integrando informazioni storiche e momenti di ispirazione.

In calzoleria la responsabile è Paola Milani. Ogni  sua scarpa è studiata nel dettaglio. Nulla è improvvisato. C’è un via vai nei corridoi. Gli artisti si alternano al trucco e parrucco. Provano acconciature, si scambiano qualche battuta e si augurano “in bocca al lupo” mentre nel corridoio giungono i gorgheggi di chi inizia a scaldare la voce. Nell’aria si confondono passaggi di suoni, toni bassi e acuti, mentre a terra uomini e donne a piedi scalzi volteggiano nei loro costumi d’epoca alla ricerca del pezzo che ancora manca ma che da qualche parte attende.

Mustafa (il bey di Algeri), Isabella (l’italiana rapita), Lindoro (il giovane italiano di cui è innamorata Isabella), Taddeo il compagno di Isabella), Elvira (la mogli e di Mustafà), Haly (il capitano dei corsari algerini) e Zulma (la schiava confidente di Elvira) stanno prendendo vita.

Sono pronti a mettere in scena le peripezie e gli  stratagemmi che consentiranno a Isabella di sfuggire alle brame del bey Mustafà, che vorrebbe sostituirla alla moglie Elvira.

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Foto di Andrea Merola

Nel 1813, quando l’opera fu rappresentata per la prima volta a Venezia, fu un successo assoluto. E’ a questo che forse pensa il cast di prim’ordine ingaggiato anche per questa edizione di Bepi Morassi. Siamo con loro dietro le quinte. Li osserviamo entrare in scena. Pensiamo a ciò che di quest’opera scrisse Stendhal, che la definì senza indugio “la perfezione del genere buffo” e l’opera più brillante rappresentata nel mondo intero. Certo, la sfida è tutta aperta. Ma le prime note dell’orchestra dissolvono ogni tema. Il sipario si apre, sullo scafo appaiono i marinaretti, le voci intonano le prime strofe del libretto.  Il silenzio in sala è rotto alla fine del primo atto da uno scroscio di applausi.  A Rossini sarebbe piaciuto.

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