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Vaccini: l'Italia punta all'autosufficienza, anche se i tempi non sono brevi

Vaccini: l'Italia punta all'autosufficienza, anche se i tempi non sono brevi
Il vaccino Moderna all'Ospedale dell'Angelo a Mestre

Tentare di costruire una strategia tutta italiana per risolvere il problema della disponibilità delle dosi di vaccini anti-Covid, puntando all’autosufficienza. È questo uno dei primi passi che sta provando a compiere il nuovo Governo sul versante della lotta alla pandemia. Un passo non facile, con tempi molto probabilmente non brevi. Ma comunque un tentativo concreto di coinvolgere il più possibile l’industria farmaceutica nostrana nella produzione, o quantomeno nell’infialamento, dei sieri per immunizzare la popolazione dal coronavirus. Che, confermano i primi studi europei e americani, sono sicuri. Aifa, ad esempio, sottolinea che, anche quando si sono verificate delle reazioni alla somministrazione, nel 92,4% dei casi hanno dato vita a sintomi lievi.

L’incontro Mise-Farmindustria

Un passaggio fondamentale è l’incontro di domani, giovedì 25 febbraio, organizzato dal ministro per lo Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, con il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi. Un tavolo per capire qual è la possibilità di percorrere in Italia la strada della produzione diretta di vaccini. La premessa del rappresentante delle aziende farmaceutiche, che sono state invitate dal premier Mario Draghi a un massimo impegno, sarà il chiarimento della complessità della procedura di produzione dei vaccini, per capirne la reale possibilità. “Un vaccino – ha ricordato Scaccabarozzi – è un prodotto vivo, non di sintesi, va trattato in maniera particolare. Insomma, non è che si schiaccia un bottone ed esce la fiala. Da quando si inizia una produzione passano 4-6 mesi“.

Il nodo-bioreattori

Un passaggio fondamentale, nell’iter produttivo, è la necessità di avere a disposizione dei macchinari appositi, chiamati bioreattori. Di cui l’Italia, al momento, è pressoché priva. L’unico che sembra in grado di produrre la quantità di dosi necessaria è quello di Gsk, che però viene già utilizzato per la produzione dei vaccini anti meningite. E anche se si volesse convertirlo all’impiego per il vaccino anticoronavirus, non sarebbe un’operazione così rapida, richiedendo tra i 4 e i 6 mesi. C’è poi quello il bioreattore di Reithera, la big pharma nei cui laboratori si sta lavorando per perfezionare il vaccino anti-Covid tutto italiano, la cui capacità di essere utilizzato per una produzione di massa è però tutta da verificare.

Nuovi bioreattori? Tempi lunghi

L’ipotesi di realizzare nuovi impianti dotati dei macchinari necessari sembra invece andare a cozzare con i tempi nei quali serve avere una disponibilità maggiore dei vaccini. Rino Rappuoli, direttore scientifico di Gsk, ipotizza in un paio d’anni, nel caso si partisse da zero, il tempo necessario per arrivare alla produzione. L’alternativa è quella di trasferire in Italia la tecnologia già sviluppata dalle aziende produttrici di vaccini anti-Covid all’estero, sempre sulla base di accordi commerciali con le aziende detentrici dei brevetti. Novartis ha ad esempio annunciato di aver avviato una partnership con Pfizer-BioNTech per la produzione di vaccini anti-Covid e 20 milioni di euro di investimenti nell’hub di Torre Annunziata, in Campania. Restano comunque gli interrogativi sull’orizzonte temporale. Anche perché, così come l’Aifa, anche l’Ema, l’agenzia europea del farmaco, deve dare la sua espressa approvazione. Sul punto, Draghi si è comunque impegnato a intervenire direttamente.

L’infialamento

Il Governo spinge dunque sulla produzione in siti nazionali, non escludendo la possibilità di prevedere incentivi alla riconversione delle linee produttive, che diverse aziende farmaceutiche stanno prendendo in considerazione in questi giorni. Al tempo stesso si sta però valutando anche la strada del semplice infialamento in Italia dei vaccini. Una fase, nella realizzazione dei vaccini, che non richiede i complessi macchinari necessari per la produzione e che quindi sarebbe possibile in molte aziende nostrane del settore. La Catalent di Anagni, ad esempio, già infiala le dosi di AstraZeneca e potrebbe farlo anche con i vaccini di altre aziende, a partire da quello di Pfizer-BioNTech. Ma anche la Haupt Pharma di Latina sta riconvertendo una linea produttiva all’infialamento di medicinali in forma liquida. E si parla, sempre in Lazio, della disponibilità anche della Thermo Fisher Scientific di Ferentino e della veneta Fidia farmaceutici di Abano Terme.

La strada della collaborazione europea

Giovedì 25 e venerdì 26 febbraio si riunirà anche il Consiglio Europeo. Tra i temi che saranno affrontati, il nuovo progetto europeo per la campagna di vaccinazione. Nella consapevolezza che l’emergenza non è locale, ma planetaria, si punta a massimizzare la collaborazione tra Stati. Una task force mirata ad accelerare il più possibile i tempi della campagna vaccinale. Il raggiungimento della cosiddetta “immunità di gregge” è infatti ormai da tutti percepita come passaggio fondamentale e imprescindibile per poter finalmente pensare all’uscita dal tunnel. E solo una volta che il problema-Covid potrà ritenersi superato si potrà ragionare con migliori prospettive anche sulla ripresa economica.

Le novità della campagna vaccinale in Italia

A Roma, intanto, è stato inaugurato, nel nuovo hub nella “nuvola” di Fuksas, il più grande centro vaccinale italiano, in grado di somministrare fino a 3.000 dosi al giorno. E, per rilanciare il piano vaccini, la nuova strategia ha previsto di coinvolgere sempre più Esercito e Protezione civile. I 147 “drive through”, allestiti in tutta Italia negli scorsi mesi con il coordinamento del Comando operativo interforze per aumentare lo screening attraverso i tamponi, potrebbero così arrivare a quota 200, diventando ora punti di riferimento per le vaccinazioni. E gli oltre 300 mila volontari della Protezione civile potrebbero a loro volta intervenire per agevolare la fase logistica di distribuzione dei vaccini.

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