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Sergio Boldrin, el mascarer

Sergio Boldrin, el mascarer

Continua il nostro viaggio per riscoprire le antiche professioni

All’inizio fu il Carnevale, quello verace, che i veneziani riscoprirono nel 1978 – 79 e che riportò in auge la maschera. Quella tradizionale, della Commedia dell’Arte, relegata per decenni nei negozi di qualche antiquario o vecchio rigattiere. Poi, man mano che il Carnevale diventava un appuntamento immancabile, sono nate le maschere fantasy che oggi si trovano in ogni angolo di Venezia.

Ma c’è maschera e maschera. Come quelle di Sergio e Massimo Boldrin de “La bottega dei mascareri”, esposte ai piedi del ponte di Rialto, dalla parte della Chiesa di San Giacomo. Un negozietto di 10 metri quadri, aperto nel 1984, dove i turisti si affacciano dalla porta per provare quelle maschere particolari che tappezzano il negozio, un po’ strane, che furono usate da Kubrick nel film “Eyes wide shut”.

“Quella volta, quando uscì il film venti anni fa, fummo tutti sorpresi” dice Sergio mentre dà il colore a una bauta. “La produzione aveva comperato tantissime maschere in cinque – sei laboratori artigiani della città, quelle che aveva trovato, ma non aveva rivelato a nessuno lo scopo”.

Sergio Boldrin, lei è un maestro mascarèr? Ci pensa.

“Mascarèr!” dice “Perché dall’antico veneziano deriva La Bottega dei Mascareri”

Come mai le è saltato in mente di fare il mascarèr?

Una cosa curiosa. Prima di essere mascarèr ero e sono pittore. Quando esplose il Carnevale del ’78-’79, chi faceva pittura o grafica, è stato attirato dalla nuova maschera che riprendere un’arte antica, per riproporla. E’ stato un percorso lungo, interessante all’inizio, perché non si sapeva dove la maschera ci avrebbe portati. All’inizio eravamo tutti entusiasti della riscoperta di questo tipo di lavoro artigianale. Ma era un Carnevale serio ed era la maschera a fare da protagonista.

Quella volta si è aperto un nuovo filone?

Un nuovo filone, un nuovo orizzonte. All’inizio si lavorava sulla Commedia dell’arte, sulla storia. La tradizione era stata persa lungo tantissime generazioni, e il veneziano l’ha rivista mentre l’artigiano l’ha riproposta.

Quindi quella volta ci sono stati dei nuovi lavori che si sono ricreati in città. Eravate tanti?

All’inizio c’era un negozio in Barbaria delle Tole, poi si sono aggiunti come un’onda che ha fatto sì che in città si notassero ovunque queste maschere. E’ stata una cosa velocissima, ci siamo subito affermati.

Cosa si vendeva all’inizio?

Si vendeva e si continuano a vendere le maschere classiche: la bauta, il medico della peste, le maschere della commedia dell’arte, i classici insomma. Ma anche quelle usate da Kubrick, l’uomo con tricorno e bauta, il Jolly…

Come siamo arrivati alle maschere odierne?

Chiunque pratichi un’arte, non si ferma, si evolve. Anche un mascheraio, che deve essere pittore e scultore nello stesso tempo. E’ chiaro che un’attività trentennale e più come la nostra non può fermarsi.

E’ stato stato difficile affermarsi, o abbiamo cavalcato l’onda lunga del Carnevale?

No. Diciamo che c’era maggiore curiosità, anche da parte dei veneziani durante l’acquisto, maggiore di quello che c’è adesso. Poi si creava, si è incominciata la fantasia, usando sempre i modelli storici, ma cambiando la colorazione.

Da dove arrivano le maschere che sta dipingendo?

Dal laboratorio in Calle dei Saoneri, tra Campo San Polo e la Casa del Goldoni. Lì vengono realizzate dal fratello, la figlia e il nipote, e qualche volta ci vado anch’io.

Dove l’hanno portata le sue maschere?

A girare il mondo. Ho partecipato a mostre a Filadelfia, con una maschera ispirata all’11 settembre, al museo dell’artigianato di New York, a feste mascherate a Beverly Hill.

Sergio Boldrin nella “Bottega dei mascareri” a Venezia

Sulla porta vedo appese numerose foto di personalità che hanno fatto uno scatto con lei come il famosissimo gruppo folk americano Crosby, Still e Nash.

Sì, gente che è passata per di qui o che ho conosciuto in eventi negli Stati Uniti.

Come vi rapportate con la concorrenza cinese?

C’è, ma non la temiamo. E’ adatta a un turismo mordi e fuggi, dove non si ha il tempo di fermarsi, guardare, pensare. Purtroppo oggi la stragrande maggioranza dei turisti non sa riconoscere la qualità.

Cosa si dovrebbe fare per riportare la giusta attenzione a questo tipo di artigianato?

Bisogna organizzare eventi durante Carnevale ma non solo. Per la Madonna della Salute, il 21 novembre, abbiamo organizzato un corteo vestiti da medico della peste. Ma l’associazione degli artigiani si sta muovendo. “Homo Faber”, la mostra dell’artigianato che si è tenuta in settembre all’Isola di San Giorgio, ha riscosso un successo clamoroso. Oltre 65.000 presenze, che vuol dire circa 4.000 visitatori al giorno. Tra i turisti c’erano tanti veneziani, che hanno avuto modo di riscoprire l’isola e gli artigiani della città, di cui tanti non si erano mai accorti.