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ALESSANDRO GASSMANN

ALESSANDRO GASSMANN


Sogna di recitare il Riccardo III di Shakespeare in piazza San Marco. Ama la meritocrazia e non si stanca mai di lavorare, si tratti di teatro, di un set del cinema o della televisione. Ritiene il Veneto un serbatoio interessante di idee non solo per la cultura teatrale italiana e si sente ormai un cittadino metropolitano veneto dopo due anni alla direzione del Teatro Stabile. È un personaggio carismatico, che ti entra dentro, che non si nasconde Alessandro Gassmann. Un cognome che pesa, anche perché da qualche tempo ha una “n” in più alla fine.
«Ho deciso di ripristinare il cognome ebreo che aveva mio padre e che per sfuggire alle persecuzioni tedesche venne “italianizzato” da mia nonna che cambiò anche il suo di cognome da Ambroon in Ambrosi. Oggi, nel 2012, ho deciso che era tempo di recuperare le mie origini, soprattutto perché sono convinto di vivere in un Paese dove non esiste il problema che un uomo debba cambiarsi il cognome per motivi razziali. È un esempio il mio, una decisione di cui vado fiero».
Dirigere il teatro stabile del Veneto. Una scommessa che pare lei stia vincendo e con notevoli risultati tangibili e confortati dai numeri che danno sempre più presenze per le rappresentazioni che vanno in scena nei teatri veneti. «Sì, è vero. I numeri ci danno ragione ma non bisogna mai abbassare la guardia. Il mio è un impegno complesso che si basa su tante attenzioni per le sensibilità del pubblico che qui in Veneto risulta essere esigente e preparato. In questa stagione ho dato una spinta particolare all’idea di portare a frequentare il teatro dai giovani. L’iniziativa di regalare 100 abbonamenti per gli studenti sia a Padova che a Venezia è un passo in avanti che facciamo verso di loro, un segno tangibile, che mi permette di poter sperare che altri vengano contagiati dalla magia della scena. Per quanto riguarda i cartelloni abbiamo studiato delle stagioni belle ed equilibrate con il rispetto per i vecchi abbonati e per i classici, ma con un occhio rivolto proprio al pubblico giovanile come “Oscura immensità” di cui curo la regia, dal testo dello scrittore padovano Massimo Carlotto. L’impatto con il pubblico del Goldoni a Venezia è stato ottimo. E per me è fonte di grande soddisfazione».
Gassmann e il Veneto, un amore nato per caso o per cosa? «Un amore nato per mia scelta. Si tratta di una regione che conoscevo bene già prima, un territorio ricco di cultura e per me è stato e resta un grande onore dirigere il teatro Stabile. Venezia e Padova meritano attenzione particolare. Ma sanno darti molto. Un rapporto quasi osmotico direi».
Lo sa che sembra il cittadino prototipo precursore della futura Città Metropolitana parlando e comportandosi così come sta facendo lei? «In realtà mi ci sono trovato e stò cercando di abituarmi all’idea. Conoscendo di più il territorio, mi sto rendendo conto che città così vicine sono anche così diverse non solo per il dialetto, per basi culturali e abitudini. Ma penso che l’unione che favorirà la Città Metropolitana sarà un vantaggio per l’offerta culturale e per le sinergie che può creare. Su tutto mi viene da citare il Premio Off di Padova in cui la qualità dei lavori è davvero molto alta. Penso che mi piacerà sentirmi il direttore del teatro stabile metropolitano».
Il cinema, il teatro e anche un libro: ma Alessandro Gassmann quando dorme? «Di notte, come tutti. L’uscita contemporanea di nuovo lavoro teatrale, del film e del libro sono solo una casualità. Sono molto soddisfatto su tutto: il Veneto, come dicevo, mi ha fatto capire che il lavoro creato sullo scritto di Carlotto è piaciuto ed è una scommessa vinta. Il film Razza Bastarda è stato presentato alla Mostra del Cinema di Roma e mi ha reso molto felice come risultato di un parto quadriennale. E poi c’è Sbagliando l’ordine delle cose (Mondadori) un libro che sta riscuotendo successo. Un lavoro sincero, non spocchioso, pensavo potesse essere mancanza di umiltà ma l’operazione è riuscita benissimo. Non è una biografia ma un racconto di 30 anni di professione vissuti sempre sul campo».
Nel libro si pala anche di Vittorio, suo padre. Quanto c’è dentro di lei di papà? «Tantissimo, umanamente e anche dal punto di vista etico e professionale. Da lui ho ereditato la voglia di perfezione, mentre detesto il qualunquismo. Io sono un maniaco delle cose fatte bene, sto sulla scena fino a quando non vanno come devono andare. Ma mi piace anche creare lo spirito di gruppo, fare in modo che ciascun ingranaggio funzioni come deve».
Meritocrazia, una definizione che pare piacerle molto…«In un momento storico e politico come quello che viviamo cercare di imporre nei posti di lavoro chi lo merita per qualità credo sia soprattutto un indice di onestà intellettuale dovuto. Certo sarebbe bello che in tutti i campi andassero così le cose. Ma io intanto provo a farlo nel mio piccolo».
Piazza San Marco, un palco, sedie disposte come a teatro. Lei che deve recitare un monologo. Cosa sceglie? «Preferirei non farlo. Piazza San Marco tra l’altro l’ho vista per la prima volta con l’acqua alta e ho riscoperto una fascino e anche fragilità che non conoscevo. Comunque se proprio devo sceglierei un brano del Riccardo III che è un testo che parla di brama di potere. Lo sto preparando e uscirà a teatro tra breve. Chissà se arriverà anche in Piazza San Marco».
 
DI RAFFAELE ROSA
 

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