Giornata Mondiale del Caffè: tra riti quotidiani, miti da sfatare e nuove frontiere del gusto, il chicco più amato dagli italiani racconta una storia che parte da Venezia e guarda al futuro nei bioreattori
Il 71% degli italiani non comincia la giornata senza una tazzina.
Lo dice l’indagine Gli italiani e il caffè, realizzata da AstraRicerche per il Comitato Italiano del Caffè di Unione Italiana Food.
Un rito universale, condiviso da più di sette italiani su dieci, con le donne leggermente più affezionate (73%) rispetto agli uomini (69%) e con la fascia 35-65 anni come regina indiscussa del consumo (oltre il 75%).
Eppure, nonostante l’amore, c’è ancora molta confusione sulla filiera: il 64,6% è convinto che in Italia si coltivi caffè e quasi un giovane su due pensa che ci siano vere e proprie piantagioni nostrane.

L’espresso, re indiscusso
Nessun rivale: l’espresso è la bandiera nazionale.
È il tipo di caffé preferito dal 51,6% degli italiani, amato al bar e a casa con voti vicini all’8 su 10.
Non solo: per tre italiani su quattro è il caffè migliore in assoluto e per l’83% è sinonimo di convivialità.
Dentro le mura domestiche, però, le abitudini cambiano.
Capsule e cialde restano le più usate (59,5%), ma in calo rispetto agli anni scorsi, mentre la moka sta tornando a brillare dopo anni di declino.
Crescono anche le macchine automatiche, segno di un’Italia che beve caffè con ritmi sempre più dinamici.
Il chicco che unisce il mondo
“Il caffè è una bandiera nazionale” ha ricordato Giuseppe Lavazza, presentando la ricerca all’Ambasciata del Brasile a Roma. E proprio il Brasile, come ha sottolineato l’ambasciatore Renato Mosca, è non solo il primo produttore mondiale ma anche il principale fornitore dell’Italia.
Eppure la conoscenza delle origini lascia a desiderare: solo quattro italiani su dieci sanno che i chicchi, prima della tostatura, sono verdi o gialli. E se l’Arabica è famosa (90,4%), la Robusta lo è solo per la metà della popolazione, mentre varietà come Liberica ed Excelsa restano quasi sconosciute.
Venezia, culla della “bevanda del diavolo”
Il viaggio del caffè in Italia è un romanzo che profuma di spezie e leggende.
Dalla favola del pastore etiope Kaldi alle rotte mercantili della Serenissima, i chicchi arrivarono a Venezia alla fine del 1600.
All’inizio erano venduti in farmacia a prezzi da capogiro, poi nel 1720 nacque il mitico Florian, il primo caffè italiano, che divenne subito salotto culturale e politico.
Da “bevanda del diavolo” a simbolo benedetto da Papa Clemente VIII, il caffè conquistò l’Europa e divenne un fenomeno sociale, celebrato persino da Goldoni nella sua commedia La bottega del caffè.

Industria e consumi: il presente
Oggi l’Italia resta leader mondiale nella torrefazione con quasi mille torrefazioni attive.
Nel 2024 la produzione ha toccato 430mila tonnellate per un valore di 4,7 miliardi di euro (+8,5% sul 2023). Le importazioni di caffè verde superano i 10 milioni di sacchi, con Brasile e Vietnam ai primi posti, mentre le esportazioni di caffè torrefatto sfiorano le 342mila tonnellate.
Sul fronte dei consumi, gli italiani hanno bevuto oltre 280mila tonnellate di caffè, pari a 4,8 chili pro capite all’anno. L’80% viene consumato a casa, il resto al bar o al ristorante.
Il futuro è (forse) senza caffè
Dietro il fascino della tazzina c’è però una sfida enorme: la coltivazione del caffè è minacciata dai cambiamenti climatici e entro il 2050 metà dei terreni oggi adatti potrebbe non esserlo più.
Qui entrano in gioco scienza e tradizione.
Esistono già bevande alternative come il caffè di nocciolo di dattero, tipico dei berberi, e persino progetti di laboratorio.
In Finlandia, nel 2021, è stato dimostrato che in un bioreattore si possono coltivare cellule di piante di caffè.
Il risultato? Una bevanda, con lo stesso aroma ma priva di caffeina, che potrebbe rivoluzionare il nostro rapporto con il chicco più amato.
Un rito che non smette di stupire
Dalla “negra bevanda” dei mercanti veneziani al caffè sintetico studiato nei laboratori spaziali, il caffè resta un simbolo identitario, sociale e culturale.
Unisce l’Italia al Brasile, accompagna le nostre giornate e continua a reinventarsi.
Perché, in fondo, non è solo una tazzina: è un racconto che profuma di storia, passione e futuro.
Consuelo Terrin