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Venezia: la bellezza nata dal contagio

Venezia: la bellezza nata dal contagio

Alla scoperta dei luoghi simbolo della lotta alle epidemie della storia di Venezia

Il Corona Virus è solo l’ultima di una serie di malattie e contagi che si sono abbattuti nei secoli sul Bel Paese e sulla città di Venezia.
Le condizioni igieniche, il progressivo miglioramento della sanità nel corso del XX secolo e lo sviluppo della ricerca e delle tecnologie hanno arginato e sconfitto tutte le vecchie epidemie.
Queste malattie, però, hanno lasciato tracce indelebili del loro passaggio che si sono tradotte in moltissime presenze culturali che ancora oggi possiamo ammirare.
Venezia ha sempre risposto a questi momenti di crisi con l’arte.
Così, anche al morbo, ha fatto fronte con la bellezza
e con la sua capacità di rinascere di volta in volta.

Santa Maria della Salute

Il simbolo per eccellenza della lotta al contagio in laguna è senza dubbio rappresentato dalla Basilica della Salute.

L’altare della basilica della Madonna della Salute con l’icona della Mesopanditissa

Questo capolavoro dell’architettura barocca, oggi riconosciuto in tutto il mondo per la sua bellezza, fu progettato da Baldassarre Longhena proprio al fine di invocare l’aiuto della Madonna per sconfiggere la peste che, nel ‘600, aveva oppresso il Nord Italia.
Longhena può essere considerato uno degli architetti più abili e geniali del suo periodo. Riuscì infatti a progettare una chiesa di tale imponenza in uno spiazzo decisamente piccolo, puntando sulla verticalità della struttura.

La Basilica della Madonna della Salute, a Venezia

La Basilica fu dedicata a Santa Maria:  la Madonna della Salute.
Il morbo, narrato da Alessandro Manzoni, che l’ha reso famoso con il suo romanzo I Promessi Sposi,  sembrò cessare poco dopo l’inizio dei lavori per l’erezione della chiesa.
Fu un evento così importante e riconosciuto dalla comunità che ancor oggi fa eco.
Ogni anno, il 21 novembre, infatti, i fedeli raggiungono la Basilica per rinnovare il loro ringraziamento alla Madonna.

La Chiesa del Redentore

Andrea di Pietro della Gondola, conosciuto come Palladio, fu un architetto di fama internazionale e uno dei massimi esponenti artistici del Rinascimento.
La sua opera più famosa nel capoluogo lagunare è, indubbiamente, la Chiesa votiva del Santissimo Redentore. Collocata nell’isola della Giudecca, è protagonista di una delle ricorrenze veneziane più amate in città: la festa del Redentore, che si tiene ogni anno il terzo sabato di luglio.

La Chiesa del Redentore, alla Giudecca, Venezia

Le origini di questo edificio richiamano, ancora una volta, a un’epidemia: la terribile peste del 1575.
Come suggerisce il nome, con questo edificio la città si impegnò a redimersi dai peccati nella speranza che il morbo finisse presto grazie all’intercessione divina.
I lavori di costruzione della chiesa iniziarono nel 1577, mentre l’epidemia iniziava piano piano a scemare. Scomparve circa un anno dopo. Da allora, in segno di ringraziamento per questo miracolo, ogni anno viene costruito il ponte votivo che anche oggi possiamo percorrere alla festa del Redentore.

La Chiesa di San Sebastiano

Molto meno famosa e visitata, pur essendo di grande importanza storico-artistica,  è la Chiesa di San Sebastiano, progettata da Antonio Abbondi, detto Scarpagnino.

La Chiesa di San Sebastiano, a San Basilio, Venezia

A differenza delle prime due, questo edificio non fu voluto per “debellare” un morbo, ma per ringraziare a posteriori per la propria sopravvivenza.
Gli abitanti della zona (Rio di San Basilio) chiesero, nel 1505, un edificio da dedicare a San Sebastiano, santo protettore contro la peste, per rendere omaggio alla figura che li aveva aiutati durante il morbo che aveva colpito l’Italia alla fine del ‘400.
Il Santo veniva identificato come il patrono degli appestati da invocare contro le epidemie non tanto perché in vita avesse guarito delle persone che avevano contratto il morbo, ma per una similitudine tra le piaghe causate dalle frecce durante il suo martirio (viene, infatti, rappresentato spesso come un uomo legato e sagittato) con le piaghe e i bubboni portati dalla pestilenza.
La Chiesa di San Sebastiano, ha un aspetto meno imponente e appariscente di altre, ma un piccolo gioiello storico artistico per le sue decorazioni interne. Il ciclo di dipinti che troviamo sui muri e sul soffitto dell’edificio è stato realizzato da Paolo Caliari, detto Veronese, che fu poi sepolto lì.

La Scuola e la Chiesa San Rocco

Un altro santo che ha ricoperto un ruolo importantissimo nella storia delle epidemie nella città di Venezia, è San Rocco. Le reliquie di questa figura si trovavano originariamente a Voghera, dove furono trafugate, o comprate (la storia è poco chiara su questo punto), e portate a Venezia.
Questa acquisizione era strettamente legata allo stesso contagio da cui prese origine la chiesa di San Sebastiano, la peste di fine ‘400.
San Rocco, allora, non era riconosciuto come un santo protettore dalla peste.
Fu nel corso del XVI secolo che assunse questa funzione.
Essendo sopravvissuto al morbo durante la sua vita, questa figura si prestava benissimo a diventare una nuova figura devozionale che avrebbe portato una ventata d’aria fresca nel mondo dei voti contro le epidemie.

San Rocco, dipinto

L’intuizione fu vincente. Grazie alle offerte dei fedeli e ai voti fatti nel corso del secolo, la Scuola Grande e la Chiesa crebbero a dismisura in importanza e bellezza.
Oggi, la Scuola Grande di San Rocco, è considerata uno degli edifici più belli e artisticamente importanti della città, ospitando il miracolo pittorico del Tintoretto.
La Chiesa, invece, contiene delle perle artistiche spesso ignorate dalla maggior parte dei visitatori ma di valore inestimabile.

La Chiesa di San Rocco, a Venezia

Vi è, infatti, l’opera San Rocco risana gli appestati  di Jacopo Robusti, considerata come una delle prime rappresentazioni di un ospedale nella storia dell’arte, eseguita con un realismo e un’attenzione ai dettagli eccezionalmente moderna. Mentre, in alto, su delle tavole attribuite al Pordenone, raffiguranti San Martino e San Cristoforo, è rappresentata una processione di appestati che vuole mettere in luce le atrocità del morbo, come la perdita degli arti.

Le isole della peste

Una delle fortune di Venezia, essendo costruita e disposta su un gran numero di isole, era quello di poter mettere in quarantena gli individui infetti o presunti tali lontano dal nucleo cittadino.
Nella laguna sono numerosi i luoghi che, per tratti brevi o lunghi della propria storia, furono destinati a ricovero per chi contraeva un morbo. In primis, i due lazzaretti.
Il Lazzaretto Nuovo e l’isola del Lazzaretto Vecchio ricoprirono un ruolo fondamentale nel contenimento dei contagi. Essendo fisicamente distanti dalla città, erano perfette per l’isolamento dei malati.

Il Lazzaretto Vecchio, dal XIII sec ricovero per i pellegrini, assunse agli inizi del ‘400 il ruolo di isola in cui collocare esclusivamente gli appestati. Poi, questo compito fu spartito, più di un secolo dopo, con il Nuovo che risultava più grande e più isolato.
Anche altri luoghi assunsero il ruolo di Lazzaretto per brevi tratti della loro storia. Fra tutti, Poveglia, San Servolo e San Clemente.

San Servolo

Ricordate prevalentemente per il loro più recente passato ospedaliero e manicomiale, ospitarono tutte dei contagiati per brevi tratti della storia: San Servolo divenne un ospedale per gli appestati negli anni ’30 del Seicento, mentre San Clemente e Poveglia nel periodo napoleonico.
Nell’isola di Poveglia, nel 1510, proprio a causa della peste, morì  il pittore Giorgione da Castelfranco.

2 commenti su “Venezia: la bellezza nata dal contagio

  1. Interessantissimo.
    Grazie


  2. Certo che, vedendo tutti questi luoghi veneziani messi in fila all’insegna della rinascita post epidemica, viene da chiedersi: riusciremo anche noi a “fare di epidemia virtù ” ?


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Tag:  arte, Venezia