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Un cervello non in fuga

Un cervello non in fuga

M3_ViolaIl caso di Antonella Viola: la ricercatrice padovana vincitrice dell’Erc Advanced Grant, che ha scelto di portare proprio a Padova il finanziamento da 2,5 milioni di euro previsto dal premio, per sviluppare la sua ricerca di base sui Macrofagi

Eccellenze e finanziamenti per la ricerca. In
Italia un binomio di difficilissima coniugazione. Trova però alcuni esempi in controtendenza grazie alla capacità di scienziati e di team di ricerca che i fondi riescono a farli arrivare proprio grazie ai risultati prestigiosi che ottengono. È il caso di Antonella Viola, tarantina di origine, ma padovana di adozione che ha ottenuto per il suo lavoro l’Erc Advanced Grant, ovvero un premio Europeo che le consente di utilizzare ben 2,5 milioni di euro da utilizzare in cinque anni per sviluppare, dove preferisce, la sua ricerca di base sui Macrofagi. Professore di Patologia presso il dipartimento di scienze biomediche di Padova, la professoressa Viola opera presso il VIMM, ovvero l’istituto Veneto di Medicina Molecolare. Laureatasi a Padova ha trascorso cinque anni in Svizzera per poi rientrare in patria, prima a Milano in Humanitas Research Hospital, Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico nel campo delle malattie immunodegenerative, e ora a Padova. È uno di quei cervelli non in fuga, che anzi, continuano a credere e a sperare nella possibilità di un’eccellenza italiana e quindi abbiamo voluto conoscerla e capire direttamente da lei se e come si può fare ricerca ad alto livello nel nostro Paese.
Dottoressa Viola, com’è nata in lei la passione per la ricerca? «Fin da bambina ho sempre cercato di capire come funzionano le cose: i miei giochi preferiti erano i microscopi e i telescopi e tendevo a smontare tutti gli oggetti e i giocattoli per capirne il funzionamento. È stata una scelta difficile poiché ero divisa tra la passione del minuscolo e quella per le stelle e l’universo. Poi ho deciso per il molto piccolo».
Il suo, a differenza di altri è un percorso svolto principalmente in Italia, fatta salva una tappa in Svizzera. Quindi è possibile fare ricerca in Italia? «Il lavoro di qualche anno all’estero è, a mio avviso, una tappa necessaria e fondamentale per ogni ricercatore. È l’unico modo per apprendere metodologie di lavoro diverse e per conoscere e confrontarsi con altri ricercatori, per creare una rete utile per il futuro. In Italia si può fare ricerca, ma il problema dei finanziamenti per la ricerca di base è a dire poco drammatico. Negli ultimi anni sono crollati e le conseguenze si cominciano purtroppo già ad avvertire. Un Paese che non crede nella ricerca di base non crede in un futuro possibile. Togliere le basi alla ricerca significa togliere basi al futuro della società. Ci sono associazioni e fondazioni che finanziano anche in Italia ricerca applicata, ma senza la ricerca di base tutte le applicazioni successive verranno a mancare».
Il progetto che segue è però una ricerca di base. In cosa consiste? «Studiamo le cellule macrofaghe, quelle che, per capirci in maniera semplificata, nel sistema immunitario mangiano le cellule pericolose, con la finalità di comprendere in quali condizioni e come si attivano. È un passo fondamentale per intervenire non solo in patologie tumorali, ma anche per altre, come per esempio le infiammazioni e l’obesità. Non è comunque l’unico progetto importante che seguiamo. Certo questo è il più prestigioso, ma anche gli altri hanno una grande rilevanza. Facciamo parte di un gruppo Europeo che studia le cellule staminali mesoenchimiali con l’obiettivo di trovare delle cure alle malattie croniche del fegato».
Avete avuto dei contraccolpi dalla vicenda Stamina? «Abbastanza. Più che altro ha costituito una grave perdita a livello di immagine e per noi, rappresentando l’Italia, era difficile affrontare la comunità scientifica internazionale avendo all’interno dei nostri confini tanta confusione generata dalla vicenda».
M3_Viola_2Perché ha scelto di portare in Italia, e proprio a Padova i finanziamenti che ha ricevuto? «Se avessi dovuto fare una scelta per interesse personale ammetto che avrei dovuto andare altrove, ma credo anche che vi siano altri aspetti da considerare. Certo volevo restituire qualche cosa al territorio dove mi sono formata, ma ritengo anche che sia fondamentale cercare di formare un nuova classe di ricercatori. È assolutamente necessario per il nostro futuro. Inoltre a Padova l’ambiente consente di operare con altri colleghi estremamente validi che seguono altre discipline e questo è un supporto utilissimo, anche perché l’approccio attuale tende a portare alla super specializzazione, mentre dovremmo forse tornare ad avere una visione multidisciplinare e globale alla scienza».
Una volta disse che non esiste ricerca senza libertà di pensiero. Ci crede ancora? «Più che mai. Essere liberi però è una cosa complicata e noi dobbiamo esserlo non solo da vincoli esterni ma anche dai nostri stessi preconcetti. Dobbiamo affrontare con sguardo aperto e con metodo scientifico ogni attività, ma essere anche coscienti che le proprie conclusioni possono essere smentite, in tutto o in parte, da ricerche successive con l’avanzare della ricerca».
 
Vi sono obiettivi fondamentali da raggiungere per la ricerca oggi e, invece per quanto riguarda lei, ha dei sogni nel cassetto da realizzare? «Obiettivo fondamentale per la scienza, per me, deve rimanere quello di poter fare ricerca in ogni ambito al massino livello, solo così poi arrivano dei risultati applicabili alla società. A livello personale, invece, vorrei che si potesse comunicare meglio e di più quello che è il nostro lavoro. C’è un grande distacco tra il mondo della scienza e la gente. Veniamo visti come torturatori di animali, o in alcuni casi come asserviti alle case farmaceutiche. Non è così. La ricerca scientifica vive la sua crisi epocale dal punto di vista anche del pensiero scientifico e io vorrei, fatto salvo il nostro narcisismo di ricercatori che non posso negare, poter riavvicinare davvero la scienza alle persone, renderla comprensibile anche nei suoi obiettivi».
Un’ultima domanda: dove sarà fra cinque anni? «È una domanda difficilissima, che non mi fa dormire la notte. Tutto dipende dal poter avere finanziamenti adeguati per proseguire il lavoro ai massimi livelli».