I ricercatori di un team internazionale guidato dall’Università di Padova sviluppano un nuovo monoclonale contro il glioblastoma. E un team dell’Istituto Neurologico di Milano punta sui linfociti T
Non tutti i tumori sono uguali.
Tra le forme più aggressive, il glioblastoma è il più temuto a livello cerebrale negli adulti: un tumore primario che cresce in fretta, invade ampie aree del cervello e si rivela quasi sempre letale.
Nonostante i progressi della ricerca, la sopravvivenza media resta di circa 15 mesi e meno del 5% dei pazienti supera i cinque anni dalla diagnosi.
ragione è nella sua resistenza alle terapie standard – chirurgia, radioterapia e chemioterapia – che raramente riescono a fermarne la crescita o a impedirne la ricomparsa.
È proprio per questo che la ricerca di nuovi bersagli molecolari diventa cruciale.
Un obiettivo che, adesso, appare meno lontano grazie ai risultati raggiunti dalla ricerca.
Da un anticorpo monoclonale una concreta speranza di cura
Il primo arriva grazie a un team internazionale di ricercatori guidato da Fabio Mammano, docente al Dipartimento di Fisica e astronomia dell’Università di Padova e associato con incarico di ricerca all’Istituto di biochimica e biologia cellulare (Ibbc) del Consiglio nazionale delle ricerche.
Come riporta lo studio pubblicato sulla rivista “Cell Communication and Signaling”, gli studiosi sono riusciti a sviluppare una nuova terapia a base di anticorpi monoclonali sperimentali creati in laboratorio che si è dimostrata efficace, in un modello murino rappresentativo della malattia, per rallentare e ostacolare la progressione del tumore. E non solo: il trattamento, basato sulla somministrazione sia come proteina purificata iniettata direttamente nel cervello che tramite terapia genica con vettori virali (rendendo in questo caso potenzialmente possibili effetti terapeutici duraturi anche con una sola dose), si è dimostrato in grado di ridurre anche l’iperattività neuronale indotta dal glioblastoma, spesso associata nei pazienti a crisi epilettiche e convulsioni.
Una scoperta che individua un bersaglio e apre nuove prospettive terapeutiche
“È la prima volta – sottolinea Mammano – che un anticorpo terapeutico si dimostra capace di contrastare contemporaneamente la crescita del glioblastoma e l’iperattività neuronale che il tumore induce nei tessuti circostanti. Questo approccio apre la strada a nuove strategie terapeutiche che mirano non solo alle cellule tumorali, ma anche alle loro interazioni patologiche con l’ambiente cerebrale”.

“Con questo studio – aggiunge Daniela Marazziti, ricercatrice del Cnr-Ibbc e coautrice dello studio – abbiamo chiaramente evidenziato l’importanza di contrastare specificamente i componenti molecolari che attivano e rafforzano la comunicazione tra le cellule tumorali ed il tessuto circostante, alimentando la proliferazione incontrollata del glioblastoma”. I ricercatori si sono concentrati in particolare su un bersaglio molecolare preciso: i canali emisomici delle connessine, presenti sulla superficie delle cellule tumorali che nei tumori sono iperattivi, rilasciando segnali pro-tumorali e molecole dannose, che l’anticorpo si è dimostrato in grado di bloccare selettivamente. In tal modo, si sono ridotte la migrazione e l’invasività delle cellule tumorali, oltre al volume del tumore, aumentando nei topi la sopravvivenza e normalizzando l’attività sinaptica anomala indotta dal tumore.
Combattere il glioblastoma con i linfociti T
Sempre riguardo alla cura del glioblastoma, è stato da poco pubblicato anche un altro studio, in questo caso sulla rivista “Nature Communication”, in cui un team dell’Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano, guidato da Serena Pellagatta, illustra i positivi risultati di contrasto al tumore ottenuti intervenendo direttamente sulle difese immunitarie di 161 pazienti con diagnosi di glioma diffuso.
La strategia applicata utilizza in particolare i linfociti T, cellule del sistema immunitario che, nel glioblastoma, risultano ridotte e spesso esauste, non riuscendo quindi a esprimere la loro funzione. È stato così ideato un metodo con cui raccogliere i linfociti insieme al tessuto tumorale, successivamente isolarli ed espanderli in laboratorio e, infine, reimpiantarli per un attacco selettivo alle cellule tumorali.
La strategia immunoterapica, chiamata tr-Til (acronimo per “linfociti T reattivi infiltranti il tumore), è stata testata su modelli animali, determinando un rallentamento della crescita del tumore nel 70% del campione, per il quale è aumentata la sopravvivenza. Il protocollo, spiegano dall’Istituto Besta, è stato già adattato agli standard Gmp, requisito fondamentale per l’uso clinico, potendo così avviare in breve tempo uno studio clinico per verificare sicurezza ed efficacia di questa terapia personalizzata in pazienti umani affetti da glioblastoma.
Alberto Minazzi