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SUL SET DALLA MATTINA ALLA SERA

SUL SET DALLA MATTINA ALLA SERA


Il trevigiano Jgor Barbazza, volto di CentoVetrine, soap opera italiana numero uno, racconta la sua esperienza di “operaio” del set
Il classico sguardo che buca lo schermo, alta professionalità e grande umiltà. Sono le qualità che non mancano a Jgor Barbazza, attore trevigiano, oggi conosciuto per il ruolo del vicecommissario di polizia Damiano Bauer nella soap opera “CentoVetrine”. Nato a Treviso, dopo anni di lavoro nel settore commerciale, ha capito che la sua vita sarebbe stata migliore se avesse potuto trasformare la sua passione per lo spettacolo in attività lavorativa. Accompagnato da costanza e determinazione, è riuscito dopo anni di gavetta a togliersi le sue prime soddisfazioni con alcuni spot pubblicitari e dopo l’approdo nel 2008 a SanremoLab, dal 2009 fa parte del cast della soap opera torinese. Nonostante la sua attività professionale lo veda molto impegnato, Jgor non trascura di dare il suo contributo nel sociale. Quando non è impegnato sul set, infatti, passa il suo tempo dedicandosi all’associazione benefica Team for Children (di cui è vicepresidente), volta a dare speranza, amore e generosità ai bambini colpiti da malattie e alle loro famiglie.
La tua carriera è varia e vanta molte esperienze nel mondo dello spettacolo e non solo. Ci racconti le tappe di questo percorso che ti ha portato ad essere oggi attore di fama nazionale? «Prima che lo spettacolo divenisse la mia unica professione ho fatto molti lavori: dall’operaio, all’agente di commercio, all’area manager di zona. In parallelo però mi sono sempre dedicato a tutto quello che era arte e spettacolo, un sogno che coltivavo fin da bambino. Ho fatto sfilate di moda, servizi fotografici, condotto serate, anche a sfondo benefico. Ad un certo punto ho deciso di prendere in mano la mia vita dal punto di vista artistico, e ho iniziato a fare provini e casting ritagliandomi il mio spazio. Posso dire di aver fatto la famosa gavetta, quella che tutti fanno o dovrebbero fare».
Tu sei nato a Treviso, splendido capoluogo veneto. Che rapporti mantieni con la tua città? «Cerco di tornare a casa almeno una volta al mese, per stare con i miei genitori che, per motivi lavorativi riesco a sentire soltanto al telefono. Poi io sono un innamorato di Treviso, adoro la sua gente e credo sia essenziale, per chi fa un lavoro come il mio, non dimenticare mai da dove si viene ed essere sempre orgogliosi delle proprie origini».
“Cento Vetrine”, soap made in Italy, continua da anni ad appassionare i telespettatori. Ma quali sono i meccanismi della lunga serialità? «Sembrerà strano ma il nostro orario è simile a quello di un operaio: entriamo alla mattina intorno alle 8.00 e usciamo alle 18.00. Dopo il trucco, che dura circa mezz’ora per gli uomini e un po’ di più per le donne, si girano i vari ciak. La difficoltà è la non sequenzialità delle scene. Capita così, che in una giornata si possano girare fino a dieci scene, in un ordine cronologico non corretto e di conseguenza, saranno quelle che lo spettatore vedrà anche a distanza di un mese l’una dall’altra. Un prodotto di lunga serialità come il nostro, dà all’attore la possibilità di “cucirsi” il personaggio interpretato, e nel mio caso, dalla mattina fino al rientro serale io sono sempre il commissario di polizia».
Da tre anni interpreti tutti i giorni il commissario Bauer, immedesimandoti profondamente nel personaggio. Hai mai avuto una crisi d’identità? «No, non ho mai avuto crisi d’identità, ma non nego che nel personaggio interpretato, c’è anche Jgor. Infatti, succede spesso, che chi mi conosce riconosca nel commissario comportamenti o espressioni che io adotto nella vita reale. Ma penso sia normale, in fondo ogni attore cerca di portare delle proprie caratteristiche nel personaggio che interpreta».
Negli ultimi mesi si è parlato molto di un’ipotetica chiusura di Centovetrine, in seguito smentita dal rinnovo degli accordi. Come hai vissuto questo periodo d’incertezza? «Da un lato c’era la paura e l’amarezza che venisse chiuso il prodotto numero uno in Italia, dall’altro, c’è stata l’immediata reazione di cercare una soluzione. Finché il lavoro c’è certi problemi non si pongono, ma quando subentra l’incertezza reagire rientra nel nostro Dna. Le decisioni, in ogni caso, sono prese a monte e noi non possiamo fare nulla»
Oltre alla tua carriera artistica sei impegnato anche nel sociale, essendo vicepresidente di Team for Children, che da anni lavora per il sostegno di bambini ammalati. Cosa rappresenta per te questa esperienza? «Io porto avanti una tradizione familiare. I miei genitori hanno sempre fatto volontariato e sono cresciuto in un ambiente in cui la beneficenza è stata sempre parte integrante. Diversi anni fa mi si è presentata la possibilità di fare qualcosa per i bambini, sono stato a visitare il reparto di oncoematologia pediatrica di Padova, ho conosciuto le persone che vi lavoravano e ho deciso di dare il mio contributo. Nel corso degli anni, diventando un volto pubblico, la nostra associazione ha avuto un risalto maggiore e tutto ciò ha permesso di organizzare eventi sempre più importanti e di riuscire ad attirare l’attenzione di un numero maggiore di persone tali da far sì che l’associazione diventasse quello che è oggi: una realtà conosciuta e importante che si adopera per aiutare i bambini malati».
Il mondo della televisione dà molta visibilità ma è per natura altalenante. Con uno sguardo al futuro, quali sono i tuoi progetti? Cosa ti piacerebbe fare? «Io sono contento del posto ce ho e desidererei continuare a stare in questo ambiente. Se parliamo di aspirazioni mi piacerebbe entrare nel circuito della fiction serale per poi puntare al cinema, la classica scalata che ogni attore spera di fare. Certo non scarterei il teatro, la radio o altre forme di spettacolo. L’importante però è che io possa continuare ad esprimermi come artista. Lo spazio bisogna ritagliarselo con determinazione, professionalità e una buona dose di umiltà. Io partendo da Conscìo, frazione di Casale sul Sile nel trevigiano, e non essendo un figlio d’arte sono riuscito a costruirmi tutto questo. Perché non continuare a sognare?»
DI MICOL STELLUTO

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