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Stipendi in Italia: dal 1991 al 2022 crescita solo dell’1%

Stipendi in Italia: dal 1991 al 2022 crescita solo dell’1%

Il dato emerge dal rapporto Inapp, l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche

Sono passati 31 anni.
Il mondo è cambiato: c’è una rivoluzione tecnologica in corso, siamo tutti iperconnessi, abbiamo cambiato moneta passando all’euro, usiamo gli smartphone, parliamo di cambiamenti climatici, abbiamo vissuto una pandemia e le conseguenze di una guerra ancora in fieri.
Ciò che non è cambiato, è il nostro stipendio.
Fermo al palo dai tempi che nemmeno ricordiamo più, quando con quel che arrivava con la busta paga, un pezzo di carta da conservare tra altri documenti cartacei che riempivano gli armadi, ci si poteva ancora permettere qualcosa che andasse oltre alla spesa alimentare o al pagamento di affitto e bollette.
A ricordarcelo è il rapporto Inapp presentato oggi il quale evidenzia come, rispetto all’incremento del 32,5% degli stipendi medi dell’area Ocse, l’Italia può vantare un misero 1%.
Che poi, se si parla di stipendi reali, ha sottolineato il presidente Inapp Sebastiano Fadda, registra anche una riduzione del 4,8%  rispetto al 2020, periodo nel quale si è anche registrata la differenza più ampia con la crescita dell’area Ocse.
L’inflazione, con la conseguente perdita del potere d’acquisto, ha fatto la sua parte.
La contrattazione collettiva, che di fatto, rileva il rapporto, “non ha difeso il potere d’acquisto”, mancando dunque il proprio obiettivo, ha fatto il resto.
La distribuzione funzionale del reddito indica una crescente caduta della quota dei salari sul Pil e una crescente quota dei profitti ormai stabilizzata sui valori rispettivamente del 40% e del 60%.

Scarsa produttività e dimissioni

Tra i dati evidenziati dal rapporto Inapp, anche la scarsa produttività.
A partire dalla seconda metà degli anni Novanta, la crescita è stata infatti inferiore rispetto ai Paesi del G7, segnando il massimo divario, pari al 25,5%, nel 2021 .
Il rapporto Inapp rileva poi un fenomeno nuovo per l’Italia, ma che testimonia un’insoddisfazione generale: le dimissioni di massa.
Se ne sono registrate 560 mila nel solo 2021, motivate da una ricerca di migliori condizioni di lavoro.
Il 60% delle persone che hanno lasciato il proprio lavoro dopo il primo mese risultava ricollocato.
Il 14,6% degli occupati, pari a 3,3 milioni di persone, poi, sostiene di aver pensato di lasciare il proprio posto di lavoro ma di essere alla ricerca di altre fonti di reddito per affrontare questa scelta.

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Tag:  salari