Economia +

Stipendi bassi in Italia: le novità della legge di bilancio

Stipendi bassi in Italia: le novità della legge di bilancio

Il Governo punta a ridurre l’Irpef per il ceto medio e ad aumentare i fringe benefit: obiettivo, ridare potere d’acquisto e frenare l’emigrazione dei giovani talenti

Il “lavoro povero” è una realtà purtroppo sempre più diffusa negli ultimi anni in Italia.
E la perdita del potere d’acquisto dei salari produce una serie di reazioni negative a catena.
Le più evidenti sono le crescenti difficoltà provate dalle famiglie per sbarcare il lunario. Ma la spirale si allarga fino a complicare la ricerca di personale qualificato da parte delle imprese, visto che le attuali difficoltà del contesto italiano favoriscono la fuoriuscita dei talenti dal Paese, che puntano su condizioni lavorative più soddisfacenti.

Verso la manovra

Una situazione che impone al Governo di mettere in campo adeguate contromosse per provare a invertire la tendenza.
Trattandosi di interventi piuttosto impegnativi dal punto di vista economico, l’ambito più adeguato in cui inserirli appare dunque quello della manovra finanziaria. E, visto che la legge di bilancio 2026 dovrà essere licenziata entro il 31 dicembre, già alla ripresa dei lavori della politica dopo la pausa estiva iniziano a circolare quelle che potrebbero essere alcune delle linee principali da seguire.

Tasse più leggere per il ceto medio

A sintetizzarla ai minimi termini, la strategia di fondo del Governo sembra potersi riassumere in un’idea basata su 2 pilastri.
Il primo prevede di procedere con la politica di revisione fiscale, riducendo ulteriormente il peso delle tasse in particolare per il ceto medio. L’ambito principale di intervento riguarda l’Irpef, riguardo al quale le ipotesi principali si basano sulla riduzione (dal 35% al 33%) dell’aliquota applicata dalla seconda delle 3 fasce di reddito previste dall’imposta: quella che parte da 28 mila euro annui e arriva a 50 mila. Inoltre, proprio la soglia massima potrebbe essere innalzata fino a 60 mila euro.

Vantaggi da 40 a 1.400 euro l’anno

La misura riguarderebbe il 27,4% dei contribuenti, anche se, secondo le prime stime, il vantaggio sarebbe limitato attorno ai 40 euro l’anno per chi ne percepisce fino a 30 mila, salendo poi via via fino a circa 1.400 per chi supera i 60 mila, i quali potrebbero però non beneficiare più di altre detrazioni.
Restando sul fronte fiscale, sarebbero allo studio anche una nuova rottamazione, con regole più elastiche, delle tasse non pagate fino al 2023, un innalzamento a 100 mila euro la soglia per usufruire del regime forfettario e, sul fronte delle imprese, la stabilizzazione dell’Ires premiale, che potrebbe tradursi nel favorire la creazione di nuovi posti di lavoro.

Il potenziamento del welfare: i buoni pasto

Il secondo punto principale della strategia di intervento è il rafforzamento degli strumenti di welfare per lavoratori dipendenti e famiglie, al fine di recuperare almeno una parte del potere di acquisto dei salari.
Già nell’ultima legge di bilancio il Governo è intervenuto su questo fronte, fissando in 1.000 euro (2 mila per i lavoratori dipendenti con figli) il limite entro cui i cosiddetti “fringe benefit” non concorrono a formare il reddito.
Al centro delle ipotesi, adesso, sono i buoni pasto, per i quali attualmente la soglia non tassabile è di 4 euro per ogni singolo buono cartaceo e 8 per quelli digitali. La misura potrebbe riguardare questi secondi, elevando il limite a 10 euro, per un beneficio stimato tra i 450 e i 500 euro annui per lavoratore secondo le stime dell’Anseb, l’associazione delle società esercenti buoni pasto.

Un contrasto alla fuga di cervelli

Una tassazione meno opprimente e un welfare aziendale più solido sono condizioni che, secondo gli esperti, potrebbero rendere più attrattive anche le offerte di lavoro delle aziende.
I giovani, infatti, spesso basano le loro scelte su questi aspetti, insieme all’adeguatezza delle retribuzioni proposte, alla flessibilità e alle opportunità di crescita professionale.
Così, dove questi aspetti mancano o sono carenti, si prende più facilmente in considerazione l’emigrazione all’estero.
Un fenomeno che, sottolinea un report della Fondazione Nord Est sulla fuga dei cervelli, è in preoccupante crescita.

Le emigrazioni che creano problemi alle aziende

Se, nel 2011, avevano lasciato il Veneto in 1.729 e il Friuli Venezia Giulia in 537, nel 2024 il totale è salito rispettivamente a 7.344 e 1.587, portando il totale in 14 anni oltre quota 130 mila.
Inoltre, aumenta la percentuale di espatriati con un titolo di studio come laurea o master: da 18,3% a 46,4%.
Un fattore che spiega anche perché, nelle classifiche italiane di industrie che faticano a trovare le figure lavorative ricercate, le prime due regioni siano Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia, con il Veneto 5°, e, tra le province, siano del Nord-Est le prime 4 assolute e 6 delle prime 7.

Alberto Minazzi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Il campo nome è richiesto.
Il campo email è richiesto o non è corretto.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.

Tag:  Lavoro, manovra, tasse