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Referendum cannabis: le motivazioni della bocciatura della Consulta

Referendum cannabis: le motivazioni della bocciatura della Consulta

La Corte Costituzionale ha depositato le motivazioni che hanno portato alla bocciatura del quesito referendario sull’ “abrogazione di disposizioni penali e di sanzioni amministrative in materia di coltivazione, produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti e psicotrope”.
Secondo la Consulta il quesito, così posto, “si pone in contrasto con le Convenzioni internazionali e la disciplina europea in materia, difetta di chiarezza e coerenza intrinseca ed è inidoneo allo scopo”.

Le motivazioni arrivano a due settimane dalla bocciatura del referendum il cui obiettivo era duplice. Da un lato intervenire sulla depenalizzazione della coltivazione di qualsiasi pianta per uso personale mantenendo le pene legate alla detenzione, alla produzione e alla fabbricazione delle sostanze; dall’altro l’eliminazione delle sanzioni amministrative.
Per farlo, secondo i promotori, l’unico modo era cancellare la parola “coltiva” dal Testo Unico sugli Stupefacenti in cui gli articoli dedicati alla cannabis e quelli in cui si elencano altre droghe sono legati. Una strategia che ha affossato il referendum.

Il quesito referendario: la parola che ha fatto la differenza

Il comitato promotore l’aveva articolato in tre parti: depenalizzazione della coltivazione della cannabis, eliminazione della reclusione da due a sei anni per tutti i reati concernenti le droghe leggere ed esclusione della sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida in caso di uso personale di stupefacenti sia tipo pesante sia di tipo leggero.
Secondo la Corte l’eliminazione della parola “coltiva” dal primo comma dell’articolo 73 del Testo unico sugli stupefacenti – oggetto della prima parte del quesito referendario – avrebbe fatto venire meno la rilevanza penale anche della coltivazione delle piante da cui si estraggono le droghe pesanti quali papavero, sonnifero e foglie di coca.

cannabis
foglie di coca

Questo è stato rilevato nonostante le dichiarazioni in giudizio dei promotori, secondo le quali le intenzioni miravano a depenalizzare le sole condotte di coltivazione “domestica” e “rudimentale” delle piante di cannabis.
La Corte infatti ha stabilito che un riferimento solo a questa sostanza non è deducibile da testo normativo. La richiesta referendaria avrebbe quindi portato alla depenalizzazione della coltivazione di tutte le piante da cui si estraggono sostanze stupefacenti, pesanti e leggere. Ponendosi di fatto in contrasto con gli obblighi internazionali derivanti dalle convenzioni di Vienna e di New York in materia di stupefacenti.

Altre norme che sanzionavano la coltivazione della cannabis

In ogni caso il referendum non avrebbe comunque raggiunto il risultato auspicato in quanto nell’ordinamento sarebbero rimaste altre norme, non toccate dalla richiesta, che sanzionano la coltivazione della cannabis nonché di ogni altra pianta da cui possono estrarsi sostanze stupefacenti.
In riferimento alla seconda parte sull’eliminazione della sanzione riguardante le droghe leggere, avrebbe creato una contraddizione in quanto per i fatti analoghi ma di lieve entità sarebbe comunque rimasta in vigore la pena congiunta della reclusione e della multa.
«Non vi è dubbio quindi che – si legge nelle motivazioni della Corte Costituzionale – la canapa indiana e i suoi derivati, stando alle convenzioni di Vienna e New York sugli stupefacenti, rientrano tra queste sostanze, la cui coltivazione e detenzione deve essere qualificata come reato e che solo la loro destinazione al consumo personale rende possibile l’adozione delle misure amministrative riabilitative e di reinserimento sociale diverse dalla sanzione penale».

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