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Pensioni 2024: smettere di lavorare è sempre meno facile

Pensioni 2024: smettere di lavorare è sempre meno facile

Le novità introdotte dalla Legge di Bilancio dimezzano in particolare il numero di coloro che aspirano a un’uscita anticipata. La situazione e le prospettive

Per chi è ancora un lavoratore attivo, la prospettiva di andare in pensione sta diventando sempre più incerta. E non solo la riforma del sistema è ancora tutt’altro che definita: già con l’arrivo del nuovo anno sono state introdotte novità che, in particolare, puntano a disincentivare e rendono più complicato il ricorso alle possibilità di anticipare l’uscita dal lavoro.
Basta guardare i numeri contenuti nella relazione tecnica dell’ultima manovra.
La previsione di coloro che usufruiranno di strumenti pensionistici come Opzione donna, Ape sociale e Quota 103 nel 2024 si è in pratica dimezzata, passando dai 60.600 lavoratori ipotizzati nel corso del 2023 ai 31.700 del nuovo anno.

I numerosi disincentivi a “Quota 103”

Pur non stravolgendo l’impianto della riforma introdotta dal Governo Draghi, la Legge di Bilancio entrata in vigore dal 1° gennaio ha modificato profondamente le regole per i pensionamenti anticipati. A essere disincentivato è soprattutto lo strumento generale di “Quota 103”, che consente il diritto alla pensione anticipata per chi ha 62 anni anagrafici e 41 di contributi rispetto ai 67 anni di età e ai 20 anni di versamenti per la pensione di vecchiaia. Sempre la relazione tecnica stima una platea di 17 mila fruitori rispetto ai 41 mila previsti per il 2023.

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La nuova versione della pensione anticipata introduce penalizzazioni come il calcolo dell’assegno interamente su base contributiva, abbassa da 2.840 a 2.272 euro (cioè 4 volte il trattamento minimo previsto dall’Inps) il tetto massimo mensile fino al compimento dei 67 anni e amplia le finestre mobili (ovvero i mesi che intercorrono tra la maturazione dei requisiti e la corresponsione della prima pensione) da 3 a 7 mesi per i dipendenti privati e da 6 a 9 per quelli pubblici.

Ape sociale: richiesti 5 mesi di età in più

Anche per gli altri 2 strumenti di prepensionamento confermati per il 2024, riservati solo ad alcune categorie specifiche, sono state strette le maglie.
L’Ape sociale, ovvero l’indennità garantita dallo Stato ed erogata dall’Inps a lavoratori in stato di difficoltà fino alla maturazione dei requisiti per la pensione di vecchiaia o anticipata, ha visto passare l’età per accedervi da 63 anni a 63 anni e 5 mesi, con 30 anni di contributi e non titolari di altre pensioni dirette. L’assegno è calcolato col sistema misto, retributivo e contributivo, fino a 1.500 euro lordi al mese.
L’Ape sociale non prevede tredicesima o adeguamenti all’inflazione fino ai 67 anni e l’assegno non è cumulabile con redditi da lavoro dipendente o autonomo, esclusi quelli per lavori occasionali, ma fino a un massimo di 5 mila euro annui. La misura è prevista per disoccupati che hanno esaurito gli altri trattamenti, invalidi civili al 74%, caregivers e lavoratori che svolgono mansioni gravose. Riguardo a questi ultimi, le mansioni si riducono e tornano alle 11 precedenti al biennio 2022/23. Il trattamento va richiesto entro le finestre temporali fissate, con la prima che scade il 31 marzo. Si stima che nel 2024 usufruiranno dell’Ape sociale 12.500 persone, 4.100 in meno del 2023.

Donne e pensione

C’è invece una sola novità per Opzione donna, riservata ad alcune lavoratrici: caregiver di un parente, invalide almeno al 74% o licenziate o dipendenti da un’azienda per la quale è attivo un tavolo di confronto al Mise. La Legge di Bilancio ha confermato la misura, così come il requisito contributivo di 35 anni di versamenti entro il 31 dicembre 2023 e le finestre mobili fissate in 12 mesi per le dipendenti private e 18 per quelle pubbliche.
È però salita da 60 a 61 anni l’età minima, con riduzione di 1 anno per ogni figlio, fino a un massimo di 2, e questo ridurrà il numero delle previste fruitrici da 2.900 a 2.200.
59 anni è anche il limite fissato per le lavoratrici licenziate o dipendenti da un’azienda in crisi.
Non sono però tutte le donne a poter godere di questo beneficio.
Così come, sulla base dei più recenti dati Inps, relativi al 2022, sono ancor meno le pensionate che possono godere di una pensione sopra i 5 mila euro al mese.
La quota è pari all’1,6% del totale, contro il 3,6% dei maschi che ricevono un assegno di questa entità.
Le disparità di genere sono evidenti anche da altri dati, come il fatto che la maggioranza dei pensionati (il 20%) riceve un assegno tra 1500 e 2000 euro al mese, mentre le donne per il 27,5% si posizionano nella fascia tra 500 e 1000 euro (quella che raggruppa il 37% di tutti i pensionati e assorbe il 21,1% della spesa). E le pensionate sono più degli uomini (33,1% contro 23%) solo nella fascia over 80.

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Quando posso andare in pensione?

Per verificare la propria posizione e capire quando si può andare in pensione, i lavoratori possono rivolgersi ai vari patronati presenti sul territorio.
Da febbraio 2022, comunque, l’Inps ha attivato anche uno strumento online, chiamato PensAMi (Pensione a misura) che consente, in autonomia, di avere una consulenza gratuita per arrivare a una stima indicativa della data in cui si potrà smettere di lavorare. Il simulatore degli scenari pensionistici si basa sulle informazioni fornite dallo stesso utente, non utilizzando quelle presenti nella banca dati dell’Istituto.
Accessibile da computer o smartphone senza necessità di registrazione all’indirizzo https://serviziweb2.inps.it/AS0207/SimScePen2/#top, lo strumento, che ha fini esclusivamente informativi, si articola su 3 livelli, che approfondiscono progressivamente le prospettive in base a domande via via più approfondite. Non fornisce, in ogni caso, informazioni sugli importi delle pensioni né sulle pensioni previste per determinate categorie di lavoratori, come, esemplifica l’Inps, piloti, poligrafici, militari e altri.

Pensioni tra presente e futuro

Il mondo pensionistico, in ogni caso, sta attraversando una fase di profondo ripensamento, in particolare nell’ottica della sostenibilità futura, come sottolineato anche dalla Presidente del Consiglio nella conferenza stampa di fine/inizio anno e in considerazione della stima dell’ultimo dossier della Ragioneria generale dello Stato, che prevede un peso della previdenza sul pil pari al 17% nel 2040. Non c’è dunque al momento alcuna certezza su quelle che saranno le norme applicate negli anni a venire, dopo l’intervento dell’attesa riforma organica del sistema: un obiettivo fissato dall’attuale Governo entro fine legislatura, ma con tempi che si prospettano ancora lunghi.
Tra le linee generali che dovrebbero essere adottate, l’adozione in futuro del metodo di calcolo contributivo per tutte le pensioni anticipate (anche se ancora non è stata presa ancora nessuna decisione sulle regole per il 2025, comprese le ipotesi di passare a “Quota 104”, ovvero 63+41, o a “Quota 41”, guardando solo al requisito contributivo senza limiti di età), provando nel contempo a spingere sulla previdenza integrativa. L’Inps, del resto, nel suo bilancio preventivo 2024, ha indicato un aumento delle uscite del +5,19%, con gli assegni pensionistici che arriveranno a pesare per 310,7 miliardi.

Alberto Minazzi

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Tag:  Inps, pensioni