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Il segreto delle donne. Perché invecchiano meglio

Il segreto delle donne. Perché invecchiano meglio

L’aiuto della X silenziosa e il gene che protegge il cervello. La speranza che possano avvantaggiare entrambi i sessi

Le donne non solo tendono a vivere più a lungo, ma spesso si mostrano anche più resilienti al declino cognitivo. Caratteristiche, indipendenti dallo status socioeconomico, che riguardano non solo le femmine umane di tutto il Mondo, ma anche quelli di altre specie animali, compresi molti ceppi di topi.
Ed è stato proprio studiando nei topi l’impatto dell’invecchiamento sulla modulazione dei geni nell’ippocampo, regione del cervello cruciale per l’apprendimento e la memoria, che un gruppo di ricercatori statunitensi è riuscito a individuare come il secondo cromosoma “X” nelle femmine possa essere una delle fonti di questa resilienza. La cosiddetta “X” silenziosa, che caratterizza il corredo cromosomico femminile, è infatti inattivata all’inizio dello sviluppo, ma, all’aumentare dell’età, libera maggiormente un gene che protegge il cervello. E questo, se confermato anche nel genere umano, “potrebbe aprire la strada a obiettivi terapeutici che avvantaggiano uno o entrambi i sessi”, come conclude lo studio pubblicato su “Science Advances”.

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La “X” silenziosa e la sua evoluzione con l’invecchiamento

Visto che i cromosomi sessuali del corredo maschile sono formati da una “X” e una “Y” e il fatto che nelle donne la seconda “X” sia inizialmente inattivata, cioè rivestita da varie proteine e molecole di Rna che impediscono ai geni di essere espressi, il genoma è normalmente composto al 5% di cromosoma “X” sia per gli uomini che per le donne.
Pur con percentuali variabili da persona a persona, secondo i ricercatori circa il 30% dei geni sulla “X” silenziosa sono però attivi. Lo studio ha dunque provato ad approfondire come l’espressione di questi geni cambi da tessuto a tessuto nel corpo o si evolva con l’età. Utilizzando un approccio che combina la tecnica del sequenziamento dell’Rna a singolo nucleo con l’analisi allele-specifica è stato così dimostrato che, nelle femmine di topo, “l’invecchiamento rimodella la trascrizione della “X” inattiva e della “X” attiva nei tipi di cellule dell’ippocampo”. Il risultato è stato ottenuto utilizzando animali da laboratorio con cromosomi “X” progettati in modo da far sì che uno fosse sempre attivo e l’altro sempre silenziato, per facilitare l’identificazione delle differenze genetiche nei test svolti in 9 tipi principali di cellule, tra cui i neuroni.

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Il gene “Plp1” che migliora la cognizione

In tal modo è stato riscontrato che, con l’invecchiamento, alcuni geni selezionati sulla “X” silenziosa “hanno subìto un’attivazione, con una nuova fuga attraverso le cellule, incluso il giro dentato, fondamentale per l’apprendimento e la memoria”, spiega lo studio. In particolare, ad aumentare è stata l’espressione del gene “Plp1”, un componente della mielina, che ha migliorato la cognizione nei topi femmina anziani, misurata attraverso la capacità di esplorazione di un labirinto. Un risultato ottenuto anche nei topi maschi a cui è stata somministrata una terapia genica per aumentare l’espressione di questi geni, mentre la sottrazione della seconda “X” peggiora la condizione delle femmine. L’aumento di “Plp1”, inoltre, è stato riscontrato anche nel paraippocampo invecchiato delle donne, attraverso lo studio del cervello di alcuni cadaveri umani. Le indagini svolte hanno dunque suggerito che i cambiamenti nell’espressione della “X” silente contribuiscono alla resilienza cognitiva nel cervello femminile che invecchia, influenzando “in modo sproporzionato le funzioni neurali e cognitive”. “In sintesi – concludono i ricercatori – il nostro studio rivela l’attivazione, la repressione e il rimodellamento indotti dall’invecchiamento della “X” silenziosa e la sua specificità di tipo cellulare”.

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Le prospettive di applicazione della scoperta

Gli studi sul ruolo del cromosoma “X”, in particolare nell’invecchiamento cerebrale e nelle condizioni neurodegenerative, sono in rapida crescita. Sono infatti le stesse differenze di invecchiamento legate al sesso a suggerire un contributo biologico comune alla longevità femminile e il fatto che i cromosomi sessuali, oltre alla durata della vita, possano influenzare anche la resilienza nella durata della salute o l’intervallo di tempo trascorso senza malattie. Così come sono crescenti le prove della maggior resilienza femminile nell’invecchiamento cerebrale: dal più lento invecchiamento delle molecole del cervello, misurato dall’orologio epigenetico in tutte le regioni cerebrali, a un’età cerebrale metabolica più giovane, fino alla resilienza al declino cognitivo, che, in assenza di demenza, è ben espressa dal funzionamento della memoria di base più elevato nell’invecchiamento. “Comprendere cosa rende le donne più resilienti o più vulnerabile – spiega lo studio – rivela obiettivi per percorsi terapeutici che possono giovare alla salute delle donne, degli uomini o di entrambi”. Si aprono cioè nuove strade per il contrasto dell’invecchiamento cerebrale e di alcune malattie.

Alberto Minazzi

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