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Fuga dei cervelli e rimpatri: Matteo Iannacone, l’esempio di un ritorno importante per il Paese

Fuga dei cervelli e rimpatri: Matteo Iannacone, l’esempio di un ritorno importante per il Paese
Matteo Iannacone

Grazie al Direttore del Laboratorio di Dinamica delle Risposte Immunitarie del San Raffaele, siamo a un passo dalla cura dell’epatite B

 

Il suo è uno dei nomi di maggior rilievo nel panorama scientifico internazionale.
Così come rientra tra gli istituti di ricerca di maggior profilo l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, dove attualmente ricopre il ruolo di direttore della Divisione di Immunologia, Trapianti e Malattie infettive e  del Laboratorio di Dinamica delle Risposte Immunitarie ed è inoltre docente di Patologia generale all’Università Vita-Salute San Raffaele.
Classe 1976, Matteo Iannacone in realtà già da una decina d’anni è entrato ufficialmente nel novero dei migliori scienziati d’Europa.
Non era ancora un quarantenne. Un’età che, in Italia, fa considerare i professionisti ancora “giovani” e a volte per questo non pronti per il grande salto.
Il professor Iannacone, però, il grande salto l’ha fatto altrove, dove i meritevoli, a prescindere dall’età, raggiungono i più alti riconoscimenti. E con la sua ricerca, lui ci è arrivato.

E’ uno tra i tanti, ma anche tra i primi, che hanno aperto la grande emigrazione dei cervelli italiani all’estero.
Appena laureatosi in Medicina e Chirurgia, dopo la specializzazione e un dottorato di ricerca in Immunologia, infatti, è volato negli States.
Il suo non è nemmeno stato un “percorso deciso a tavolino”, come sottolinea, ma forse più legato a una serie di coincidenze. E a un’intraprendenza innata, che ha aperto una porta molto importante.
“Mi ero da poco laureato e ancora cercavo di capire cosa mi piacesse davvero fare, se dedicarmi alla ricerca o esercitare la professione come medico – racconta-. Poi, un giorno, ho partecipato a un seminario che mi ha talmente affascinato da indurmi a scrivere al relatore che l’aveva tenuto. Due settimane dopo, stavo lavorando con lui”.
In America, il professore, c’è rimasto per un decennio. Ha lavorato allo Scripps Research Institute di La Jolla e poi all’Harvard Medical School di Boston, contraddistinguendosi per le sue ricerche.
Finché è arrivato nuovamente il momento di scegliere e di decidere dove aprire un proprio laboratorio.
Le offerte non si sono fatte attendere. E tra Stati Uniti, Germania e Inghilterra, ne è arrivata una dall’Italia. La più interessante perché “si stava creando al San Raffaele di Milano, la mia città, una massa critica di persone con le quali mi interessava interfacciarmi – spiega Iannacone – con un progetto che rispondeva alle mie aspettative”.

Il ritorno in Italia

Ed è così che, così come dieci anni prima lo studioso se ne era andato, è tornato.
Portando con sé un’esperienza e un bagaglio arricchito, che a Milano ha dato il via a un’ulteriore crescita. E a tanti successi.
Il più recente potrebbe portare alla cura definitiva dell’epatite B, che nel mondo colpisce circa 300 milioni di persone uccidendone oltre 800 mila all’anno, per lo più per un conseguente tumore al fegato o la cirrosi epatica.
Dopo aver svelato, con il suo team, il modo in cui le cellule del sistema immunitario riescono a eliminare il virus dell’epatite B dal fegato, Iannacone ha sperimentato con successo sui topi un particolare approccio per veicolare in maniera mirata una molecola che può riattivare le difese immunitarie – l’Interleuchina 2 – sui Linfociti T rendendoli di nuovo efficaci contro la malattia.
“Nei modelli preclinici abbiamo dimostrato come la terapia può funzionare,  lo step successivo è avviare un trial clinico sull’uomo – precisa il professore – ma per farlo è necessario trovare una partnership con finanziatori”.

Iannacone: “Dal punto di vista della ricerca l’Italia non ha molto da invidiare oltre confine”

Ci vorrà probabilmente una decina d’anni prima che la cura possa diventare davvero possibile.
Ma, come ha dimostrato il Covid, i tempi potrebbero anche essere ridotti.
E non è vero che il giardino degli altri è sempre migliore. L’ Italia, a sentire Iannacone, sembra non aver molto da invidiare oltre confine.
“Il nostro è un mestiere bellissimo, davvero senza confini, perché lo scienziato parla una lingua universale – dice -Se c’è la possibilità di vivere un’esperienza all’estero, come dico sempre anche ai miei allievi, val la pena di farla, sia dal punto di vista personale che della ricerca. Ma confermo che qui in Italia si lavora bene, e più che i soldi per la ricerca, di cui ce n’è sempre bisogno, manca forse una loro migliore distribuzione. Sono felice di essere “a casa”, la qualità della ricerca che facciamo è ottima, abbiamo ricercatori di alto livello e davvero competitivi. Quello che è diverso sono i numeri, ma ogni volta che parlo con un collega italiano all’estero penso che non ci sia chi non tornerebbe in patria a fronte di condizioni adeguate”.

Il riferimento, oltre che alle agevolazioni previste per il rientro dei cervelli in Italia, è alla garanzia della sostenibilità di questi rientri.
Per lui è andata bene. E per l’Italia è andata meglio, perché ha riconquistato una delle sue eccellenze.
A parte le pubblicazioni sulle riviste scientifiche più importanti, i numerosi premi internazionali (citiamo, tra gli altri l’ Armenise-Harvard Foundation Career Development Award, un ERC Starting Grant, lo Young Investigator Award dalla European Association for the Study of the Liver, l’EMBO Young Investigator Award, un ERC Consolidator Grant, due ERC Proof of Concept e il premio Chiara D’Onofrio),  gli 11 brevetti che detiene, grazie a Matteo Iannacone e al suo gruppo di ricerca una delle più gravi malattie al mondo potrebbe un domani essere sconfitta.

Consuelo Terrin

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