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Figlicidi, Crepet: “Siamo una società pedofobica”

Figlicidi, Crepet: “Siamo una società pedofobica”
Paolo Crepet

Il rapporto Eures: 268 vittime in 12 anni. Lo psichiatra: “Nella nostra cultura, i bambini non contano più niente”

Dal 2010 a oggi, in Italia, in media 1 volta ogni 2 settimane un genitore ha ucciso un figlio.
È un dato tragico e sconvolgente, quello che emerge dall’ultimo aggiornamento del rapporto sul fenomeno dei figlicidi pubblicato da Eures, società di ricerche economiche e sociali.
Ma, secondo lo psichiatra Paolo Crepet, vicende come quella proveniente dalla Sicilia, al centro della cronaca delle ultime giornate per l’uccisione della piccola Elena Del Pozzo da parte della madre, sono solo la punta dell’iceberg di un fenomeno più ampio.
“Che lo si accetti o no – afferma Crepet – c’è in atto da parte della nostra cultura un fenomeno che ci ha portato a diventare “pedofobici”.

La società pedofobica

Paolo Crepet si occupa da decenni di questi fenomeni, riassunti in un capitolo del suo ultimo libro come “pedofobia”.
“Con questo termine – spiega – intendo dire che i bambini non ci piacciono più: continuiamo a metterli al mondo, ma poi non vogliamo educarli. L’uccisione è il gesto estremo, ma fa parte di qualcosa di più complicato. Ed è inutile continuare a nasconderci dietro a un dito: nella nostra società, i bambini non contano niente, se non per esibirli come scimmiette allo zoo”.

figlicidi
È questa considerazione, di natura sociale più ampia, l’unica generalizzazione che si concede lo psichiatra riguardo al fenomeno dei figlicidi.
“I motivi che spingono al gesto estremo – motiva Crepet – sono un’enormità e ogni storia fa caso a sé: bisogna smettere di cercare categorie. Anche un confronto tra le diverse situazioni, dunque, è impossibile: Cogne, per dire, non ha nulla in comune con l’ultima triste storia arrivata dalla Sicilia”.
“Sicuramente – conclude – questo ultimo caso racconta di una donna sola, isolata ancor di più da quella forma di solitudine totale travestita da social network, che funge anche da catalizzatore di violenza. Perché in giro c’è una mostruosità di violenza, che porta a prendersela con i più deboli, come i bambini. I social semplicemente la amplificano”.

Il rapporto Eures

La lettura “scientifica” del fenomeno può comunque partire dai dati statistici riassunti nel rapporto Eures, non esistendo una banca dati ufficiale. Aggiornando il report del 2019 (secondo cui i figlicidi, nel periodo tra il 2002 e il 2019 erano stati 473), i dati dal 2010 a oggi parlano di un totale di 268 figli uccisi dai genitori.

Tra le vittime, 149 (il 55,6%) sono bambini sotto i 12 anni, di cui 106 (il 39,7% del totale complessivo) in età compresa tra 0 e 5 anni. Al secondo posto, per fascia d’età, si collocano i figli maggiorenni (93 vittime, il 34,4% del totale), mentre la quota più bassa riguarda gli adolescenti (26 figli uccisi, pari al 9,6%).

In valori assoluti, c’è una prevalenza di maschi sia tra le vittime (151, il 56,8%) che tra gli omicidi (172 padri, il 64,2%). Su 96 madri figlicide, però, ben 61 hanno ucciso un figlio sotto i 5 anni (il 57,5% della fascia d’età relativa). Ed è quasi totalmente al femminile (35 casi su 39) la statistica relativa a infanticidi e neonaticidi.

Quanto ai genitori che, dopo l’omicidio del figlio, decidono a loro volta di togliersi la vita, sono anche in questo caso maggiormente i padri a suicidarsi (quasi la metà: 48,8% dei casi), mentre questo avviene “solo” per una madre su tre.
I figlicidi, con il 43,3% dei casi, sono però il tipo di fattispecie in cui l’omicidio-suicidio si presenta con la percentuale in assoluto più alta.

Distribuzione geografica, movente e arma

Dai dati Eures emerge una prevalenza di figlicidi nel Nord Italia (il 45,1%), poi il Sud (34,3%) e il centro (20,5%). E’ la Lombardia, con 50 vittime (il 18,7% del totale) la regione a detenere il triste primato, seguita da Sicilia (28 casi), Campania (26), Lazio (24), Emilia Romagna e Piemonte (20 figlicidi per ognuna).

Tra i moventi, la depressione o altri disturbi psicologici sono il principale: 34,3%, con un 54,2% nel caso in cui a uccidere sia la madre. Al contrario, c’è una netta prevalenza maschile (21,5% contro 2,1% delle donne) per il movente al secondo posto: i cosiddetti “omicidi del possesso”, quando cioè i figli vengono considerati una semplice “estensione” dell’altro coniuge, tant’è che nella quasi totalità di questi casi la tragedia si conclude con una strage familiare.

Liti e dissapori, disagio della vittima, interesse o denaro sono invece moventi registrati quasi esclusivamente nei casi di vittime maggiorenni e di padri figlicidi.
Infine, riguardo all’arma, al primo posto (81 vittime) viene utilizzata un’arma da fuoco, soprattutto dai padri: 42,4% contro 8,3% delle madri. Il soffocamento (19 vittime), terza modalità dopo le armi da taglio (66 vittime), è invece tipicamente femminile.

Alberto Minazzi

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