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Storia di una famiglia sul lastrico che iniziò di nuovo a sperare

Storia di una famiglia sul lastrico che iniziò di nuovo a sperare
azienda agricola veneta

Una situazione disperata, con un indebitamento cresciuto di pari passo alla crisi, fino a diventare insostenibile.
Tutto sembrava perduto: l’impossibilità di far fronte a un debito di un milione e 760 mila euro era evidente. Come avrebbero potuto mai pagare?
Eppure, la soluzione, c’era.
Perché è contemplata dalla norma (la L.3/2012) e perché due avvocati si sono appellati a quella “legge taglia debiti” altrimenti nota come “legge salva suicidi” che non solo ha riportato speranza tra i membri di una famiglia sul lastrico ma è stata applicata dal giudice, che per loro ha deciso che pagheranno per quattro anni quanto possono, con un prelievo mensile di un quinto del loro stipendio.

Una storia a lieto fine

Protagonisti di questa storia a lieto fine, una famiglia di origine veneziana che a Treviso, dagli anni Novanta, gestiva un’azienda agricola.
Era stata aperta dal padre e dalla madre, ora ultrasettantenni e portata avanti nel tempo dai figli.
Quell’ attività di allevamento dei bovini e di coltivazione delle viti aveva rappresentato per la prima generazione un sogno realizzato.
Una vita all’aria aperta, nella campagna veneta, un’azienda propria da mandare avanti con impegno e con passione. La terra aveva dato i suoi frutti. Gli affari andavano bene.
Poi, nel 2005, la prima crisi. Con il crollo del costo del latte, la riduzione delle vendite e i costi di gestione aumentati, erano iniziate le prime vere difficoltà.
Già sembravano bastare. La speranza in un momento migliore aveva mantenuto salda la famiglia, che si era rimboccata le maniche.  Ma, come si dice, quando la sfortuna arriva, non lo fa mai da sola. Altre situazioni, altri debiti, l’impossibilità di pagare le banche. La spirale cresceva.

“Nessuno può essere condannato a vita a pagare debiti fatti senza colpa”

Da ultima ci si è messa anche la malattia di uno dei figli. Di fronte a tanto, è arrivata la resa, con la chiusura dell’azienda e la vendita dei beni di famiglia, che però non erano sufficienti a pareggiare i conti.
“A quel punto  – racconta l’avvocato Monica Pagano, che ha seguito la famiglia con il collega Matteo Marini – abbiamo chiesto ai giudici l’applicazione della cosiddetta legge Salva Suicidi o Ammazza Debiti, che stabilisce un principio molto importante: nessuno può essere “condannato” a vita a pagare debiti che ha fatto senza colpa e a cui, vista la dimensione dell’importo, non potrà mai far fronte”.
Così  è stato.

La richiesta di esdebitazione

Tolti i 900 mila euro già pagati con la vendita dei beni e  gli altri 400 legati al valore degli immobili rimasti, la famiglia pagherà il restante debito versando un quinto dello stipendio di un figlio e delle pensioni dei genitori per quatto anni. Per i rimanenti 500 mila euro, come stabilito dalla sentenza, potranno richiedere l’esdebitazione, liberandosi da ogni pendenza economica

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Tag:  giustizia