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Una "trappola biologica" contro il coronavirus

Una "trappola biologica" contro il coronavirus
Da sx: Alessandro Paparella (CSO Delphinus Biotech), Enrico Fiore (CAO Delphinus Biotech), Piero Riello (direttore dipartimento Scienze molecolari Ca’ Foscari), Marco Cappellaro (CEO Delphinus Biotech), Matteo Trande (ricercatore Ca’ Foscari), Flavio Rizzolio (Biologia molecolare Ca’ Foscari), Michele Gallo (tecnico laboratorio Biologia molecolare), Alessandro Angelina (Biochimica Ca’ Foscari)

Nei laboratori di Ca’ Foscari scienziati al lavoro per eliminare il virus dalle superfici

Con le buone e con le cattive. Così normalmente si dice quando si è disposti a tutto per vincere una battaglia.
Nei laboratori di Ca’ Foscari di via Torino, a Mestre, “le buone” sono le proteine vegetali “fior di loto”. Le cattive le proteine che, come una mina, sono in grado di spaccare la membrana esterna dei virus eliminando i batteri gram-positivi.
La combinazione di questi “ingredienti” genera una vera e propria trappola biologica che attacca il virus e crea sulle superfici una sorta di effetto-cera idrorepellente. L’obiettivo sta ora nell’unire buone e cattive in un unico  prodotto che impedisca al coronavirus di depositarsi e rimanere sulle superfici.

La molecola “Bellerofast”

È questo, in estrema sintesi, il progetto di molecola innovativa, chiamata “Bellerofast”, che la start-up innovativa Delphinus Biotech sta portando avanti da mercoledì nei laboratori di biochimica del Campus scientifico di Ca’ Foscari. Il disinfettante in grado di garantire una protezione attiva dal coronavirus per diversi giorni dovrebbe essere pronto nel corso di un paio di settimane.
Con licenza per l’utilizzo gratuito del prodotto nel nostro Paese.
“La molecola – spiega il biologo di Delphinus Biotech, Alessandro Paparella – non evapora come i comuni disinfettanti che, basati su alcool o cloro, perdono evaporando la loro efficacia. E le nostre simulazioni ci dicono che il sistema funziona”.
Bellerofast quindi avrebbe una tenuta continuativa sulle superfici. Inoltre, le proteine possono autoclonarsi. “Il campo minato -anticipa Enrico Fiore, chief advisory board di Delphinus –sarebbe in grado di riprodursi da solo. Ma questo – conclude – sarà un passaggio successivo. Prima vogliamo verificare l’effettivo funzionamento”.

I tempi

La proteina, una volta creata in laboratorio, va prima di tutto riprodotta e depurata.
“Penso che per il 10, massimo 15, di aprile la sperimentazione sarà completata”, prevede Fiore.
Proprio in considerazione dell’emergenza, la lavorazione nei laboratori tedeschi sui kit di plasmidi (dna e rna) ordinati dalla start-up italiana è stata accelerata. Così, insieme ai kit ordinati in Giappone, già questa settimana il team ha avuto a disposizione il materiale su cui lavorare in laboratorio. Che ha durata limitata, dovendo essere mantenuto a una temperatura di -80° e utilizzato poi entro brevissimo termine. “Siamo – riprende Fiore – nella fase di sintesi della proteina, a cui va dato il tempo di crescere, clonarsi, moltiplicarsi e fondersi. Dopo un giorno, possiamo dire che la coltura sta crescendo bene e assimilando la prima fase di crescita. Probabilmente, già la prossima settimana potremo dare qualche aggiornamento in più”.

Le fasi successive della “trappola biologica”

A livello di simulazione virtuale, spiega il rappresentante di Delphinus, la molecola funziona.
“La proteina – dice Fiore – pesa due volte più del virus e quindi ogni singola molecola dovrebbe essere in grado di uccidere da 2 a 4 virus. Nei laboratori di Ca’ Foscari  la testeremo con i batteri gram-positivi. Non si tratta del coronavirus, ma se il prodotto funzionerà con questi, all’80-90% sarà in grado di uccidere anche il Covid-19”. Per la sperimentazione in sicurezza sul coronavirus, sarà necessario spostarsi nei laboratori di altri centri di virologia, come quelli di Padova e Trieste. “Sia a livello nazionale che a livello internazionale – riprende Fiore – è stata manifestato un grande interesse allo sviluppo della proteina e ci sono giunte già le prime disponibilità ad ospitare questi test. Una volta comprovata l’efficacia con i batteri gram-positivi, basterà produrre qualche litro iniziale del prodotto. E sarà sufficiente qualche ora di prova per confermare l’efficacia anche col coronavirus”.

Un prodotto a disposizione del Paese

Superate queste fasi, si apriranno nuove strade per la produzione del prodotto.
“Come società – annuncia il chief advisory board di Delphinus Biotech – abbiamo deciso di dare al Governo italiano, in questa fase di emergenza, la licenza per l’utilizzo gratuito del prodotto, che è già coperto da copyright negli Stati Uniti. In una fase successiva, al momento opportuno decideremo insieme se darlo anche ad altri Stati”.

L’utilizzo di “Bellerofast” sarebbe fondamentale soprattutto per la tutela degli operatori sanitari. “L’interesse che ci ha mosso – ammette Fiore – è stato soprattutto quello di trovare oggi un prodotto disinfettante per immunizzare gli ambienti ospedalieri. Si è riscontrato infatti che gli operatori del settore che hanno sviluppato la malattia, a volte anche con esiti tragici, hanno subìto anche da 7 a 10 cariche virali. Potendo garantire la sterilità degli ambienti, si eviterebbero situazioni di questo tipo”.

La genesi del progetto

Il nuovo disinfettante nasce dall’idea di combinare insieme due ricerche sui biomateriali già iniziate in maniera separata. Da un lato, lo sviluppo, portato avanti in Italia negli ultimi otto mesi, di una molecola antivirale di origine vegetale a lunga resistenza e non tossica per l’uomo, inizialmente pensata per un utilizzo in agricoltura.
Dall’altro, le ricerche condotte negli ultimi tre anni da Alessandro Paparella. Il biotecnologo stava infatti lavorando su proteine e molecole vegetali per dare nuove caratteristiche ai materiali naturali e compositi.

Delphinus, che è attiva in Italia dallo scorso anno, è una  piattaforma trasversale di start-up, con gruppi interdisciplinari di lavoro, che non si occupano solo di biotecnologie e nanotecnologie. Basti pensare alla telemedicina o al progetto di produzione di energia dalle maree portato avanti da alcuni ingegneri in Cina. “Quando a dicembre – ricorda Fiore – alcuni di questi sono rientrati in Italia, hanno raccontato che le notizie su quello che stava succedendo lì andavano moltiplicate per 20 volte. E ci hanno chiesto se qualcuno dei nostri poteva attivarsi per fronteggiare il virus”.

L’arrivo a Venezia

La start-up innovativa Delphinus Biotech è incubata a Trento. E il gruppo di biotecnologi che si era messo al lavoro sul progetto specifico aveva già cominciato il lavoro in collaborazione con professori e laboratori dell’Università di Padova. “Quando sono iniziati ad arrivarci i kit che avevamo ordinato – prosegue Fiore – i laboratori di Padova sono stati chiusi. E anche l’altro laboratorio che il professor Quattrone ci aveva messo a piena disposizione a Trento era stato requisito dalla Provincia, proprio per effettuare i test sul coronavirus. Siamo quindi andati alla ricerca di un laboratorio in cui effettuare le nostre prove e quindi dobbiamo dire grazie al rettore di Ca’ Foscari, perché ci ha risposto positivamente in tempi brevissimi”.

“Anche se ci occupiamo soprattutto di proteine ricombinanti di fusione per scopi terapeutici legate a cancro e malattie autoimmuni e non di virus – spiega il professor Alessandro Angelini di Ca’ Foscari – abbiamo dato subito la nostra disponibilità. I nostri macchinari sono infatti adatti per effettuare questi test sul campo. Il nostro ruolo, in questo momento, è quindi solo di supervisione, consulenza e aiuto; ma siamo ben contenti di poter dare questo supporto”.

Un commento su “Una “trappola biologica” contro il coronavirus

  1. Trovo tutto molto positivo, spero che ne possiate gioire al piu presto per il bene di tutti noi . Complimenti a tutti voi.


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