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BARCA, DOLCE BARCA

BARCA, DOLCE BARCA

Vivere o lavorare ormeggiati? Anche da noi, si può e si fa. Ecco i protagonisti delle “house boat”


Gettare un occhio al calendario delle maree mentre si sorseggia il primo caffè della mattina o far accomodare i propri ospiti sulla poltrona “che guarda a poppa”. Vivere o lavorare in pianta stabile su un’imbarcazione ridisegna la quotidianità con le tinte fluide della mutevolezza della realtà marina e della particolarità delle sue condizioni.
Soluzioni abitative e commerciali ormai più che consolidate in altre Nazioni d’Europa come Francia, Gran Bretagna, Germania, Belgio e Paesi Bassi, le house boat – letteralmente “casa su barca” – hanno conquistato nel tempo sezioni di mercato via via più ampie e configurazioni architettonico-urbanistiche sempre più libere. Si può spaziare dal facoltoso imprenditore, che ha commissionato la costruzione di una vera e propria villa a due piani, ad un quartiere per studenti, formato da piccole cellule residenziali acquatiche collegate a schiera da pontiletti e fiancate comunicanti.
Una tipologia di casa o di sede lavorativa, dunque, che all’estero non conosce restrizioni sulla base di ricchezza o ceto sociale, e che attualmente risulta in forte crescita. Spontaneo chiedersi: che genere di sviluppo ha avuto la realtà delle house boat di modello europeo nel nostro territorio? «Purtroppo, quasi nessuno. E se si pensa che nell’area che comprende Venezia, le isole della laguna, la costa veneto-friulana e alcuni importanti corsi d’acqua come il Brenta o il Sile vi è una relazione di fruttuosa interdipendenza tra terra e acqua ormai più che millenaria, l’incapacità di sfruttare, o addirittura il desiderio di sfavorire a livello istituzionale la potenziale risorsa di battelli riadattati mi sembra pura follia. Le fondamenta dell’antica Serenissima poggiano letteralmente sull’acqua, e i casi di persone che hanno potuto intraprendere e portare avanti una scelta di questo tipo si contano sulle dita di una mano» ci dice Gilberto Penzo, residente a Venezia, esperto di imbarcazioni tradizionali dell’Adriatico, rivelando una profonda ammirazione nei confronti di quanti si sono cimentati nel recupero e nel riutilizzo dei mezzi di trasporto marini a fini abitativi e commerciali.
Nel suo laboratorio-studio, ripercorre vicende che ha avuto modo di conoscere in prima persona, in qualità di addetto ai lavori, di consulente esterno o di semplice osservatore, chiamato dagli interessati a visitare la loro “casa galleggiante”. E comincia dal danese Michael Kiersgaard, che con la sua famiglia visse per circa vent’anni nella città lagunare avendo come dimora un vecchio vaporetto classe 1935 ormeggiato nei pressi del rio del Ponte Longo alla Giudecca. Maestro d’ascia e supervisore nautico, fu in grado di riconvertire l’imbarcazione in prima persona, fornendole tutte le dotazioni di un’abitazione convenzionale: letti matrimoniali e singoli, angolo cottura, soggiorno, bagno con doccia, allacciamento elettrico e telefonico. Dopo diversi anni, però, la consuetudine familiare venne interrotta dal non pieno inquadramento normativo della casa-barca: nonostante il sostegno della popolazione locale, attraverso la mobilitazione fisica e i social network, l’esperienza arrivò comunque a concludersi.
Vengono poi illustrati il caso di Gino Bertoia, proprietario di un vaporetto della serie VA risalente agli anni ’30 che, trasportato fino alla provincia di Pordenone, divenne la sede dell’Associazione Pesca Sportiva Lago di Cordovado – con tanto di bar e negozio specializzato – e quello di uno splendido battello del 1905, il più antico prodotto da un cantiere veneziano su ordine dell’Acnil, poi divenuta Actv, ristrutturato dallo stesso Gilberto Penzo.
«Per quanto riguarda il vaporetto del 1905, poi battezzato “Den Haag”, ovvero L’Aia, dai proprietari, trasformai un mezzo di trasporto in una casa rispettandone il valore storico: ripristinai lo scafo “stellato” originale, molto più affusolato di quello dei battelli odierni, curai la scansione dei vari locali – sala da pranzo, camere da letto, servizi igienici – e ridisegnai la prua facendola cascare perpendicolare all’acqua, secondo il gusto dell’epoca. Il punto è che si dovrebbe capire che una riconversione di questo tipo risulta per la città doppiamente utile. Da una parte, si offre la possibilità di una soluzione abitativa pratica, ecologica, d’alto profilo archeologico industriale e completamente priva di barriere architettoniche, essendo costruita tutta su un piano; dall’altra, si produce un ritorno economico all’Azienda dei Trasporti schivando lo smantellamento dei vaporetti dismessi».
Un’osservazione, questa, che viene condivisa anche da altri professionisti che hanno approfondito la questione, e che muove da una specificità del nostro territorio. «Nei Paesi centro-nordici dell’Europa le house boat vengono costruite appositamente con lo scopo di ospitare degli individui in maniera permanente: vengono quindi disegnate larghe, squadrate, piatte, in modo da poter contenere un carico ingente e sfruttare ogni spazio al meglio. Nella zona della laguna, a pensarci bene, esistono già delle imbarcazioni che corrispondono a queste caratteristiche, senza bisogno di costruirne da zero. Parlo dei battelli del trasporto pubblico, soprattutto quelli di una volta, che magari dopo decenni di servizio vengono indirizzati ad officine di smaltimento di ferro e acciaio pur essendo recuperabili con minimi accorgimenti. Dal 1989 non è più possibile acquistarli, e noi abbiamo dovuto rivolgerci altrove».
A parlare è l’architetto Alberto Garzotto, titolare dal 1998, assieme al collega Antonio Barbato, del primo studio galleggiante d’Italia, ormeggiato sul Brenta, all’altezza di Riviera Matteotti a Mira. Ex “foraneo Bragadin” in servizio dal 1916 sulla tratta Fondamenta Nuove – Murano, fu riscoperto dai soci nella rimessa sul Mincio di un privato mantovano: rimosso il motore, liberati gli interni per inserire un grande tavolo da lavoro a più postazioni, montati impianti elettrici, telefonici e di deumidificazione, divenne in breve tempo, e con spese contenute, una sede operativa perfettamente funzionante. Nonché un biglietto da visita d’eccezione per architetti dediti a progettazione e restauro.