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Alzheimer: i sintomi 18 anni prima della diagnosi

Alzheimer: i sintomi 18 anni prima della diagnosi

Uno studio fornisce indicazioni per la diagnosi precoce della malattia

L’indagine ha avuto un lungo corso, ben 20 anni, ma ha permesso di arrivare a interessanti informazioni su quando e in quale sequenza compaiono i segnali predittivi dell’Alzheimer, la patologia neurodegenerativa a decorso cronico e progressivo, causa più comune di demenza nella popolazione anziana dei paesi sviluppati.
Oggi nel mondo, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, i casi sono oltre 55 milioni e si stima che, a causa del progressivo aumento dell’età media della popolazione, entro il 2030 si arriverà a 78 milioni. Di tutti i casi, il 60-80% è rappresentato da Alzheimer.
In Italia, come rileva l’Osservatorio Demenze dell’istituto Superiore della Sanità, a soffrire di demenza sono circa 1,2 milioni di persone. Di queste, il 50-60% vale a dire 600 mila persone sono malati di Alzheimer mentre circa 900 mila mostrano un disturbo neurocognitivo minore.
Lo studio cinese ha dimostrato che i segnali dell’Alzheimer compaiono entro i 18 anni precedenti il manifestarsi della malattia.

Come e quando la malattia si presenta

L’Alzheimer è una malattia neurodegenerativa che uccide progressivamente le cellule nervose, in particolare quelle nelle aree del cervello che regolano i processi di apprendimento e della memoria che si perde a breve tempo quando la malattia colpisce. Si hanno anche danni ai vasi sanguigni e uno stato di infiammazione cerebrale persistente.
Il team di ricercatori cinesi, guidati dal Centro di innovazione per i disturbi neurologici – Dipartimento di neurologia dell’ospedale di Xuanwu, che ha collaborato con i colleghi di diversi istituti, ha analizzato il fenomeno sul suo presentarsi nel tempo.

alzheimer

Tra gennaio 2000 e dicembre 2020 sono state coinvolti nell’indagine migliaia di partecipanti, uomini e donne sia di mezza età che anziani tutti con uno stato cognitivo normale. Nel tempo durante il quale si è svolta la ricerca, una parte di loro è stata sottoposta a una serie di esami regolari ogni due o tre anni quali test del liquido cerebrospinale, scansioni cerebrali e valutazioni della funzione cognitiva attraverso test standardizzati. Successivamente gli studiosi hanno messo a confronto i casi di 648 persone che hanno mantenuto inalterata la cognizione con altrettanti che nel periodo durato 19,9 anni si sono ammalati di Alzheimer.

L’Alzheimer e i segnali che lo annunciano nel tempo

Lo studio cinese, pubblicato su The New England Journalof Medicine ha in sostanza accertato che la variazione nella concentrazione di determinate proteine quali placche di beta amiloide – che pur essendo considerate tra i principali segni associati alla malattia non sono presenti in tutte le persone colpite -, grovigli di proteina tau e le alterazioni nel tessuto cerebrale compaiono in sequenza e a tappe definite fino ad arrivare alla condizione patologica.
Per quanto riguarda le forme ereditarie, il manifestarsi in anticipo della demenza era cosa conosciuta, grazie però alla nuova ricerca la progressione temporale dei biomarcatori dell’Alzheimer è stata osservata anche nella sua forma sporadica.

L’abbinamento e l’analisi dei risultati degli esami ha dato la possibilità di determinare in quale momento e in che modo si sono manifestati i biomarcatori della neurodegenerazione progressiva con precisi segnali. Già 18 anni prima della diagnosi di Alzheimer è rilevabile il segnale più precoce, mentre a 14 è stata rilevata una differenza nel rapporto tra due forme di proteine beta amiloide che accumulandosi nel sistema nervoso sono associate alla neurodegenerazione. A 11 anni invece il team di ricerca ha osservato un incremento della proteina tau; a 9 anni i primi segnali del danno neuronale; a 8 le risonanze magnetiche hanno evidenziato nel gruppo Alzheimer l’atrofia dell’ippocampo, una parte del cervello coinvolta nella degenerazione. A 6 anni dalla diagnosi è risultato evidente il declino cognitivo. E’ stato inoltre rilevato che nel gruppo Alzheimer c’era una maggiore probabilità di essere portatori della variante  genetica APOE4.

 

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