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Alla ricerca della colonna perduta

Alla ricerca della colonna perduta
Palazzo Ducale, una delle sedi principali dei Musei Civici di Venezia

Era giunta a Venezia come bottino di guerra portato da un capitano della Serenissima al suo Doge. Caduta nelle acque del bacino di San Marco durante le operazioni di trasbordo, nei secoli è entrata a far parte della leggenda, tanto che in molti ne hanno messo in dubbio la stessa esistenza.

Di dubbi non ne ha mai avuti il capitano di lungomare Roberto Padoan, inventore e sommozzatore, oltre che appassionato cultore della propria città. Padoan ha creato la sua squadra, ha trovato dei finanziatori, ha promosso il suo progetto “Aurora” e oggi, ottenute tutte le autorizzazioni del caso, può dare il via alle operazioni di ricerca della celebre colonna perduta.

Roberto Padoan

La terza. Era il 1172 quando, a bordo della nave della Repubblica Serenissima comandata dal capitano Jacopo Orseolo Falier, giungeva con altre due colonne di granito orientale da Costantinopoli.

Su questa, Falier aveva fatto disegnare un maestoso dignitario con il corno dogale. Sulle altre due figuravano (e figurano tutt’oggi) San Teodoro, primo santo patrono di Venezia e una chimera con le ali che, dal basso, sembra in tutto e per tutto il leone di San Marco.

 

Innalzate con fatica davanti al molo della Piazza, là dove ancor oggi le ammiriamo, le due colonne sono presto diventate il simbolo della città di Venezia. La terza, quella del Doge, inabissata, non è però mai stata dimenticata.

Ma come trovarla nell’acqua torbida della laguna, sotto secoli di storia e di melma?

Con creatività, competenze, tenacia, passione e alta tecnologia. La tecnica è stata inventata dallo stesso Roberto Padoan, che da tempo ha depositato Acla (Acqua Chiara Laguna Azzurra), un brevetto per la chiarificazione delle acque.

“Quando troveremo la colonna potremo vederla come una mosca su un piatto bianco -dice Roberto Padoan, che non mette in dubbio il fatto che la terza colonna sia proprio lì sotto dove andrà con la sua squadra-. Ci potremo muovere nelle acque della laguna come in un acquario e questo sarà importantissimo al di là della terza colonna, perché avremo il privilegio di vedere per la prima volta nella storia cosa c’è davvero sotto Venezia”.

Tutto inizierà con una tomografia, una specie di ecografia di fondali e sottosuolo che consentirà di capire se sotto c’è qualcosa di importante. La tomografia fornirà dati in 3D su un’area di 70 mila metri cubi (3500 mq a terra e 3500 mq a mare) e a una profondità di 10 metri.

Lungo il molo di San Marco (dalla Biblioteca Nazionale Marciana fino al Ponte della Paglia per intenderci),tra i masegni, saranno fissati degli elettrodi. E così ugualmente in acqua, dove i sensori saranno ancorati a delle piccole boe galleggianti.

Sono loro che consentiranno di usufruire di immagini tridimensionali molto dettagliate. A rendere possibile tutto questo, però, sarà proprio la nuova tecnica inventata da Padoan, in grado di rendere l’acqua cristallina depurandola da ogni elemento spurio.

Il comandante e la sua squadra, che comprende appunto archeologi sommozzatori (Professor Luigi Fozzati, ex dirigente della Soprintendenza per i Beni archeologici del Friuli Venezia Giulia e Marco Bortoletto), geofisici (Barbara Chiozzotto e Marco Giada) lavoreranno dai sei ai nove mesi di notte, tassativamente dalle 20 alle 6, quando le acque sono calme e la piazza non pullula di visitatori.

Le due colonne di Marco e Todaro

Sul progetto Aurora sono puntati gli occhi del mondo. Ne fa parte anche l’architetto consulente esperto in DicasterManagment Hazard Mitigation and Resilience di New York, Margaret Matz.  Anche gli archeologi egiziani sono attesa di verificare i risultati di questa impresa per replicarla nel Nilo.

“Sto vivendo una magica avventura, una delle tante della mia vita ma di sicuro quella di cui vado più orgoglioso -commenta Padoan -. Sto lavorando con uno staff con competenze incredibili e io, che non sono archeologo o fisico ma un comandante e sub curioso come una scimmia, sono felice perché quello che si scoprirà non solo avrà in ogni caso un eccezionale valore storico e archeologico ma sarà anche molto utile. L’archeologia -conclude- ci permette di leggere il passato per conservarne la memoria, ma la geofisica ci consente di vedere il presente per salvaguardare il futuro e in questo progetto queste scienze collaborano per il futuro di Venezia”.

Forse non tutti sanno che…


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