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Ai e lavoro, tra crescita, nuove opportunità e posti a rischio

Ai e lavoro, tra crescita, nuove opportunità e posti a rischio

Un focus di Censis e Confcooperative e un’indagine di Femca Cisl Lombardia riaccendono il dibattito sugli effetti per i lavoratori legati all’introduzione delle nuove tecnologie

Grazie alla sempre maggiore diffusione dell’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro, il pil italiano dovrebbe aumentare del +1,8% di qui al 2035, raggiungendo i 38 miliardi di euro. Al tempo stesso, si calcola che potrebbero essere interessati dalle novità legate all’introduzione dell’Ai circa 15 milioni di lavoratori, di cui 9 milioni attraverso l’integrazione dei nuovi sistemi automatizzati nelle loro mansioni, ma anche 6 milioni a rischio sostituzione. Lo evidenzia il focus “Intelligenza artificiale e persone: chi servirà chi?” pubblicato da Censis e Confcooperative, da cui emerge chiaramente l’ambivalenza dell’impatto delle moderne tecnologie sul mondo del lavoro. Un processo che, in ogni caso, è già partito. E che, come testimonia un’indagine svolta dal sindacato Femca Cisl sulle aziende lombarde, tra le maggiormente attente alle innovazioni nel contesto italiano (circa il 28,8% utilizza già soluzioni di Ai contro una media italiana dell’8,2% nel 2024), ha già iniziato a produrre i suoi effetti.

In Lombardia, Ai già al posto dell’uomo secondo 10 lavoratori su 100

I risultati emergono dal sondaggio inviato da Femca Cisl Lombardia ai suoi iscritti, che lavorano in settori fortemente interessati dall’introduzione dell’intelligenza artificiale come tessile, chimica farmaceutica, gomma, plastica, energia e gas. Il dato che fa maggiormente riflettere è quello secondo cui il 10,6% dei 1.121 intervistati ha già visto l’Ai sostituirsi alle mansioni umane, con la percentuale che sale al 13,3% nelle grandi aziende, dove la diffusione dell’Ai arriva al 42% contro il 15,47% delle piccole e medie imprese. Pur con un approccio generalmente positivo all’innovazione, i lavoratori lombardi sono al tempo stesso consapevoli dei rischi, con timori soprattutto di tagli del personale (il 36,2% è preoccupato da possibili perdite di posti di lavoro), ma anche della cancellazione del rapporto umano sul luogo di lavoro, dell’omologazione e della perdita di un confronto. Così, anche notando che il fenomeno è in atto soprattutto quando c’è carenza di competenze, il 73,1% degli intervistati, con numeri ancor più alti tra gli under 50, ritiene necessaria una formazione specifica sull’Ai. Il suggerimento lanciato dal sindacato è dunque quello di intervenire con maggiori e più mirati investimenti in ricerca e sviluppo, rimettendo la persona al centro del modello di crescita, anche attraverso il coinvolgimento dei lavoratori e delle loro rappresentanze nelle scelte aziendali e nella riqualificazione del personale.

Come l’Ai cambia il lavoro

Al riguardo, anche Confcooperative sottolinea la necessità che l’Italia cambi passo sul fronte degli investimenti specifici, partendo dal dato del Government Ai Readiness Index 2024 che posiziona il nostro Paese al 25° posto, dietro a 13 Paesi europei, nella classifica relativa all’adozione dell’intelligenza artificiale. Nel focus realizzato con il Censis si evidenzia, per esempio, la stima secondo cui entro il 2030 circa il 27% delle ore lavorate in Europa sarà automatizzato, con ristorazione (37%), supporto d’ufficio (36,6%) e produzione (36%) come settori più esposti, mentre l’impatto sarà decisamente minore in sanità e management. Secondo un’altra recente rilevazione Censis, a utilizzare strumenti di Ai sul luogo di lavoro è una percentuale tra il 20% e il 25% del personale, con un 25% che li impiega per la stesura di rapporti, il 24,6% per messaggi, il 23,3% per la scrittura di mail e il 18% per la creazione di curriculum. E i dati, che non mostrano significative correlazioni con il titolo di studio, risultano inversamente proporzionali all’età: per la stesura di rapporti, per esempio l’Ai è usata dal 35,8% dei lavoratori tra i 18 e i 34 anni contro il 23,5% degli over 45. Quanto alle imprese, il 19,5% di quelle italiane prevede di investire in beni e servizi legati all’Ai nel biennio 2025/26, con numeri più alti in quelle di grandi dimensioni e una forbice settoriale che varia dal 55% delle aziende informatiche all’1,4% di quelle che operano nel campo della ristorazione.

Ai, tra nuovi lavori e lavori a rischio

All’introduzione dell’Ai nell’ambito lavorativo si collegano vantaggi comunemente riconosciuti: dalla maggior efficienza e riduzione degli errori al contenimento dei tempi richiesti per una lavorazione, dalla possibilità di dedicarsi a mansioni a più elevato valore aggiunto alla sicurezza, come testimoniano le già avviate sperimentazioni per la prevenzione di incidenti sul lavoro. Né mancano le nuove opportunità professionali, con la crescita di professioni emergenti, come quelle dell’esperto nella creazione di dati sintetici senza violare la privacy, dell’addestratore dei modelli di Ai o dell’esperto nella protezione di dati e sistemi informatici. Al tempo stesso, però, ci sono qualifiche che risultano particolarmente esposte a rischi. Al primo posto per il rischio di sostituzione Confcooperative e Censis posizionano quelle intellettuali automatizzabili, come contabili e tecnici bancari, mentre tra quelle a maggior complementarità rientrano anche avvocati, magistrati e dirigenti. Il grado di esposizione, si fa inoltre notare, aumenta all’aumentare del livello di istruzione. Si rischia inoltre un aumento del gender gap, visto che le donne rappresentano il 54% dei lavoratori ad alta esposizione di sostituzione e il 57% di quelli ad alta complementarità.

Alberto Minazzi

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