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L'aggressività? Si “impara” in famiglia

L'aggressività? Si “impara” in famiglia

Uno studio statunitense individua nei topi i neuroni che spiegano come, nei maschi, gli esempi negativi di chi ci è più vicino possono influenzare il comportamento

Che la violenza stia sempre più entrando a far parte della nostra quotidianità è sotto gli occhi di tutti.
E non solo perché i gravi conflitti in atto, che appaiono più vicini ad allargarsi che a concludersi, hanno purtroppo riportato di stretta attualità il timore di una terza guerra mondiale.
Basta pensare alle nostre città, tra baby gang, femminicidi e una lunga serie di situazioni di vario tipo che mettono a rischio la sicurezza dei luoghi in cui viviamo.
Il raggio si può però anche ulteriormente restringere, guardando all’interno dell’ambito familiare, anche laddove non si arrivi agli estremi delle crescenti tensioni all’interno delle coppie, che nei casi più gravi sfociano in omicidi-suicidi. È sufficiente la stessa violenza verbale tra chi vive sotto lo stesso tetto: un aspetto da non sottovalutare, anche perché sarebbe proprio in questo contesto che parte il “contagio” dell’aggressività.

La contagiosità dell’aggressività

Vedere un familiare o un amico comportarsi in maniera violenta può far scattare, infatti, una scintilla tale da gettare in chi assiste all’episodio le basi per replicarlo a sua volta.
Una catena di eventi che, al contrario, non si produrrebbe quando l’autore della condotta è uno sconosciuto. E che avrebbe basi involontarie, trovando innesco a livello neurale.
Sono le conclusioni cui è giunto il team di scienziati dell’Università Meridionale dell’Illinois, negli Stati Uniti, osservando i comportamenti di alcuni topi maschi. Lo studio, intitolato “La familiarità porta l’aggressione trasmessa socialmente attraverso l’amigdala mediale”, appena pubblicato su JNeurosci, sostiene dunque la tesi della contagiosità dell’aggressività all’interno di un ambito familiare.
“Il comportamento aggressivo – spiegano gli autori nell’abstract dello studio – può essere acquisito attraverso l’osservazione, fornendo vantaggi adattivi ma anche ponendo rischi sociali significativi. Negli esseri umani, gli individui ripetutamente esposti all’aggressione hanno maggiori probabilità di impegnarsi in comportamenti violenti più avanti nella vita”.

L’aggressione socialmente trasmessa e i topi (maschi)

Se era già fondamentalmente condivisa l’idea secondo cui l’apprendimento osservazionale dell’aggressività contribuisce in modo significativo al comportamento antisociale, finora i fattori ambientali e sociali e i meccanismi neurali alla base di questo meccanismo erano però poco noti.
Gli scienziati, partendo dall’idea che la familiarità sociale con un aggressore sia fondamentale per attivare i circuiti neurali negli osservatori che innescano l’aggressività, hanno così stabilito un nuovo paradigma comportamentale definito “aggressione socialmente trasmessa”. Nell’esperimento, dunque, ad alcuni topi testimoni sono stati fatti vedere altri topi, familiari o sconosciuti, che attaccavano topi intrusi, osservando dopo mezz’ora il loro comportamento in una situazione analoga. “Questo studio – spiegano i ricercatori – rivela che la familiarità con un aggressore è essenziale per l’aggressività socialmente trasmessa nei topi”, visto che “sorprendentemente, i testimoni maschi, ma non femminili, hanno mostrato una maggiore aggressività solo dopo aver osservato i manifestanti familiari, senza alcun effetto da parte di quelli sconosciuti”.

aggressività

Il ruolo dei neuroni dell’amigdala

Il passo successivo è stato quindi quello di ipotizzare il coinvolgimento e la mediazione, nel paradigma dell’aggressione socialmente trasmessa, dell’attivazione dei neuroni eccitatori nel segmento ventrale posteriore dell’amigdala mediale, di cui è già stata provata l’implicazione nella gestione di emozioni come paura e aggressività. Così è stata utilizzata, per la verifica della tesi, la tecnica della fotometria delle fibre, che ha rivelato l’attivazione selettiva dei neuroni eccitatori durante gli attacchi dei familiari ma non di quelli portati da topi estranei. E la dimostrazione che questa specifica attività neuronale è necessaria e sufficiente per l’espressione dell’aggressività appresa è stata confermata con il passo successivo. Si è provato, cioè, a intervenire nei topi, attraverso chemiogenetica e optogenetica, sia inibendo l’attività dei neuroni specifici durante gli attacchi dei loro familiari (riuscendo in tal modo a sopprimere l’aggressione socialmente trasmessa), sia attivandola di fronte alla visione di estranei violenti, con al contrario l’innesco dell’effetto di imitazione. “Questi risultati – è la conclusione – rivelano un meccanismo del circuito neurale che collega l’identità sociale al comportamento aggressivo, evidenziando un potenziale bersaglio terapeutico per ridurre l’aggressività patologica e la violenza trasmessa all’interno di gruppi sociali familiari e offrendo potenziali strade per l’intervento clinico”.

Alberto Minazzi

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