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500 anni il Ghetto guarda al futuro

500 anni il Ghetto guarda al futuro
Il ghetto ebraico a Venezia

Nello storico anniversario, scopriamo insieme la vita del quartiere ebraico di Venezia, il più antico del Mondo

Molti sanno che a Venezia esiste, pochi conoscono dove sia esattamente, meno ancora l’hanno visitato e sanno che, tra i suoi tanti primati, il capoluogo lagunare vanta quello del più antico e meglio conservato tra i quartieri ebraici del Vecchio Continente. Una città nella città con le sue cinque sinagoghe, il museo e le altissime caratteristiche case.
Il Ghetto di Venezia, istituito il 29 marzo 1516 durante il dogado di Leonardo Loredan, compie quest’anno mezzo millennio. Questo luogo, che ha fatto entrare la parola “ghetto” nel vocabolario di molte lingue come sinonimo di segregazione e discriminazione, può però raccontare al mondo intero anche il contributo culturale ed artistico che la comunità ebraica veneziana, interagendo con la società circostante, ha saputo fornire sfidando proprio le condizioni restrittive ad essa imposte. Il quartiere si estende non distante dalla stazione ferroviaria nel Sestiere di Cannaregio, dove vi è anche la sede della Comunità Ebraica Veneziana, e camminando tra le sue calli ed i suoi campielli si respira un’atmosfera d’altri tempi. Oggi sono pochi gli Ebrei che vivono qui, la Comunità conta 450 persone, ma una volta ci abitarono oltre cinquemila persone in uno spazio molto ristretto, dov’erano confinati e dal quale era vietato uscire. Dopo gli anni bui, il legame e il senso di appartenenza, che hanno contraddistinto nei secoli gli abitanti del Ghetto, si sono rafforzati nello sforzo di ricostruzione. Oggi, se si guarda al ridotto numero degli iscritti alla Comunità, la ricchezza delle iniziative appare quasi sproporzionata: una volta all’anno viene organizzata una giornata internazionale di studi sull’ebraismo, con riferimento alla storia e alla cultura venete; intorno a questo evento, ruotano continuamente mostre, conferenze, seminari. Oltre alle funzioni di culto, con lezioni del Rabbino capo della Comunità, Rav Scialom Bahbout, vengono assicurate lezioni per bambini ed adulti: dallo studio dei testi sacri e del Talmud Torah, a corsi di ebraico moderno. Nel Ghetto esistono un asilo ebraico, una casa di riposo, una foresteria, la Kosher House Giardino dei Melograni, ristoranti e un panettiere.

L’aspetto del Ghetto non si distingue più di tanto dal resto di Venezia pur conservando alcuni tratti caratteristici che riportano al passato, a partire dalle sinagoghe, che sono le meglio conservate del Medioevo e dunque costituiscono una testimonianza unica della storia ebrea. Nel 1719 nel Ghetto di Venezia vi erano ben nove sinagoghe, al servizio delle tre nazioni compresenti – Todesca, Levantina e Ponentina – approdate in città nei secoli, a mano a mano che gli Ebrei venivano espulsi dalle terre d’origine. E’ singolare il fatto che nel glossario cittadino al termine “sinagoga” si sia preferito quello di “scuola”, coniato in origine per gli edifici di culto delle confraternite cristiane. Attualmente vi sono cinque sinagoghe, tanto sobrie all’esterno quanto sontuose all’interno, con alle pareti citazioni bibliche in ebraico e gran profusione di tessuti preziosi e tendaggi rossi. Nel campo del Ghetto Nuovo restano tre sinagoghe fondate nel 500, celate dietro facciate di edifici preesistenti: la Scuola Grande Tedesca, la Scuola del Canton e la Scuola Italiana; al centro del Ghetto Vecchio si trovano la Scuola Levantina e la Scuola Spagnola, d’analoga fondazione ma riprese con uno sfarzo architettonico nel Seicento. C’è poi il Museo Ebraico, che raccoglie secoli di storia della Comunità di Venezia: paramenti pregiati, arredi sacri, argenti, oggetti legati al culto, documenti d’epoca.

La cucina ebraica ruota attorno al concetto di cibo “kashèr”, ovvero adeguato secondo i dettami della Torah, applicati nel quotidiano dal rabbino. Vale in assoluto il divieto di mangiare, com’è risaputo, il maiale ma anche il coniglio e l’anguilla, crostacei e molluschi, la carne in genere cotta nel latte e nei suoi derivati panna e burro. Il principio generale però a Venezia fa caso a sé, perché in nessun altro luogo del mondo si è verificata una tale sovrapposizione di usanze dovute ad eterogenee presenze legate ai commerci marittimi. Tant’è che il piatto simbolo della cucina ebraica veneziana sono le “sarde in saor”, un agrodolce nel quale l’aceto e la cipolla si sposano all’uvetta e ai pinoli.
Per ricordare al meglio la data del 29 marzo 2016 si è costituito il Comitato “i 500 anni del Ghetto di Venezia”, presieduto dal presidente della Comunità Ebraica Paolo Gnignati. «Il cinquecentenario della fondazione del Ghetto si presenta come un’occasione straordinaria ed irripetibile – sottolinea Gnignati – per restituire al Ghetto il ruolo di crocevia di persone e culture e proiettare la storia ebraica italiana in un’orizzonte internazionale come simbolo della libertà oltre i muri».

STORIA DEGLI EBREI A VENEZIA

Il 29 marzo 1516 la Serenissima decreta la concentrazione di circa settecento ebrei di origine tedesca ed italiana in un’area isolata della città e nasce a Venezia il primo Ghetto della storia. Nel 1541 gli ebrei levantini, gruppo eterogeneo benestante, composto da mercanti dell’Impero Ottomano e da altri scampati alla cacciata dalla Penisola Iberica del 1492, vengono reclusi nell’area attigua del Ghetto Vecchio. Nella seconda metà del ‘500, si forma anche un nucleo di ebrei “italiani”, provenienti dall’Italia centro-meridionale e soprattutto da Roma, che costruiscono nel 1575 una loro Sinagoga, Scola Italiana, nel campo del Ghetto Novo di fronte all’attuale casa di riposo. Nel 1589 arriva la cosiddetta Nazione Ponentina (ebrei sefarditi marrani) ed il Ghetto di Venezia assume la configurazione definitiva con i banchi di pegno e i negozi di strazzarìa nel grande campo, le sinagoghe e le case torri ed i palazzetti più eleganti dei levantini. Nel 1633 al Ghetto Vecchio e Novo si aggiunge il Ghetto Novissimo, dove vanno ad abitare ricche famiglie levantine e ponentine. Dopo la crisi economica, intorno al 1660 Sabbatai Zevi di Smirne (1626-1676) si proclama Messia e gli ebrei di Venezia rispondono al movimento messianico con sentimenti contraddittori: tensioni irrazionali da un lato, prudenza dei rabbini locali dall’altro. In questa situazione confusa, interviene la beffa di Sabbatai, nel frattempo convertito all’islamismo. Per gli ebrei veneziani la situazione diventa critica e nel 1737 la Comunità dichiara fallimento. Nel luglio 1797 – con l’avanzata di Napoleone Bonaparte e l’abbattimento dei portoni del Ghetto – finisce la segregazione. Il fascismo, il nazismo e le leggi razziali contribuiscono a ridurre sensibilmente il gruppo ebraico veneziano: nel 1931, si contano 1.814 iscritti; circa 1.200 nel 1938; 1.050 alla fine del 1945. Ma la comunità è destinata a ridursi ulteriormente… Oggi, infatti, conta 450 persone.



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