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Venezia sbugiardata: le cento bufale che raccontano la città

Venezia sbugiardata: le cento bufale che raccontano la città

Tra scandali mai accaduti, intrighi inventati e leggende durature, un libro porta alla luce le fake news che hanno segnato la storia della Serenissima

A Venezia le maschere non sono mai solo un inganno.
A volte illuminano, mettono a nudo contraddizioni, mostrano ciò che si cerca di nascondere o di abbellire.
Storia di Venezia attraverso le sue fake news” (ed. Mazzanti, 2025) attraversa cento di queste maschere: dai pettegolezzi su Vivaldi agli scandali politici, dalle leggende sulle acque del Canal Grande fino alle invenzioni intellettuali che hanno plasmato miti culturali.
Ogni bufala diventa una lente sulla città, una chiave per capire quanto la realtà possa mescolarsi con la fantasia. È un viaggio tra storie vere e storie inventate, dove la menzogna diventa strumento di verità e la storia si legge tra le pieghe delle parole mai dette, dei fatti manipolati, delle leggende sopravvissute.

bufale

Cento bufale da non credere

Vivaldi fu un seduttore? No.
Il Canal Grande era potabile? Assolutamente no.
Bufale. Frottole passate al setaccio da un libro che porta la firma del collettivo di illustri autoriI Babài”, tra i quali Pieralvise Zorzi, scrittore, storico, giornalista, e Alessandro Marzo Magno, scrittore, storico, giornalista.
I Babài sono i moderni eredi degli Inquisitori di Stato – quelli della magistratura di Stato che controllava all’epoca le notizie relative alla Serenissima, e con nessuna relazione con la Santa Inquisizione: altra fake news – ovvero investigatori che si sono assunti la responsabilità di indagare sulla storia di Venezia per svelare la verità e togliere dalla credenza popolare le bufale che ne macchiano la bellezza storica. Scienziati, delle più diverse discipline, ma ognuno con le competenze necessarie per sfatare le frottole relative a Venezia, come ricordato da Pieralvise Zorzi, nel corso della presentazione al libro che si è tenuta nel Salone Sansoviniano della Marciana.

Babai contemporanei

Oltre ad Alvise Zorzi e Marzo Magno, formano il team degli attuali Babài Antonella Favaro, scrittrice, ricercatrice e storica, Andrea Tirondola, capitano di corvetta, avvocato, storico della Marina, Davide Busato, archeologo, scrittore, storico criminale, Luigi Vianelli, ricercatore e specialista del Web, Nicola Bergamo, storico bizantinista, scrittore, webmaster e Federico Maria Sardelli, direttore d’orchestra e musicista, storico di Vivaldi.
Cento sono le bufale raccontate nel libro, delle più svariate: dallo spessore storico alla comunità cittadina, passando per i simboli di Venezia, sacri e profani: il select e il tramezzino, la sua bandiera, i bassorilievi di ponte di Rialto (tra gli altri).

L’acqua del Canal Grande non è mai stata potabile

Già nell’incipit al libro si riporta una delle “cause” che hanno portato alla scrittura del libro, una fake news che in una pagina social descriveva le acque del Canal Grande un tempo bevibili e potabili, poiché filtrate dall’argilla. Niente di più falso, ovviamente, dato la natura lagunare di Venezia; una falsa notizia per la quale si sono mosse anche le istituzioni, con l’obiettivo di una ovvia smentita.

Il Ponte di Rialto dipinto da Antonio Canal.

Le false notizie coprono gran parte della storia di Venezia, almeno dal tredicesimo secolo in poi, con un exploit durante l’Ottocento.

Quando la bufala è “d’autore”

Le bufale coinvolgono anche – e soprattutto – personaggi storici, come Antonio Vivaldi, definito un grande seduttore; una diceria risalente al secondo dopoguerra del secolo scorso. Si tratta però di un’illazione, divulgata in primis da Carlo Goldoni, che per ripicca lanciò una frecciata postuma (di quasi 50 anni) al famoso compositore, conosciuto quando l’autore era ragazzo. Goldoni attribuì una falsa relazione a Vivaldi con la giovane Anna Girò.


In realtà Antonio Vivaldi fu sacerdote, e figlio di una famiglia fin troppo numerosa; non ospitò mai in casa donne e fu assiduo frequentatore della Chiesa di Pietà, orfanotrofio veneziano dell’epoca; ma l’edificio attualmente esistente non è lo stesso frequentato dal famoso compositore. E ancora: Vivaldi, nell’oblio che lo coprì dopo la sua morte, si vide anche “scippare” per circostanze storiche di alcune composizioni, falsamente attribuite al Buranello.

La sultana greca veneziana

Anche le istituzioni pubbliche sono coinvolte nelle false notizie, come nel caso del Senato che imbrogliò l’imbroglione.
Narra la “leggenda” che un messo turco si presentò a Venezia rivendicando la venezianità di una sultana greca. Il Senato scoprì l’imbroglio, ma confermò la notizia falsa poiché faceva comodo avere una donna con tale titolo. Nel circolo delle bufale collegate a Venezia, rientra anche William Shakespeare e la tragedia “Romeo e Giulietta”; come raccontata da Antonella Favaro, il Bardo prese ispirazione per la storia d’amore da una novella di Luigi da Porto. Uno studioso inglese, poco tempo fa, ipotizzò che fosse una storia autobiografica, dedicata a Lucina Savorgnan, nobile friulana e veneziana del XVI secolo. Ma la notizia è falsa, poiché Lucina e Luigi non si incontrarono mai.

Plebisciti, miti e leggende: il Veneto che non c’era

Storia di Venezia attraverso le sue fake news” va a confutare anche numerose credenze relative al venetismo e ai miti che supportano la grandezza del Veneto nella storia, come regione geografica. Per esempio, come riportato da Nicola Bergamo, il Veneto come regione non si schierò a difesa di Venezia, contro l’unificazione italiana. Due date sono emblematiche: il 1848 e il 1866.
Nel primo caso si sfata il mito di un Daniele Manin venetista, quando fu proprio lui a promuovere l’unificazione (e il figlio oltretutto combatté tra i Mille di Garibaldi). Relativo al 1866, invece, si confonde il plebiscito di Venezia con il referendum; il primo, in realtà, è un principio oligarchico che esclude la popolazione dal voto. Furono quindi pochi a votare l’annessione all’Italia, in un Veneto che non si riconosceva come tale: secondo Bergamo, l’idea di Veneto è una narrazione risalente agli anni Settanta.

Damiano Martin

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