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UN PONTE TRA PADOVA E NEW YORK

UN PONTE  TRA PADOVA  E NEW YORK

Lo hanno creato Francesco e Mauro Belcaro: due fratelli, due scelte di vita, due diversi modi di coniugare moda, tendenza e impresa per promuovere la professionalità del nostro territorio

A volte il talento sembra soffrire nei confini nazionali, ma se questo fosse un alibi? Emblematica in tal senso è la storia di due giovani fratelli padovani: Francesco e Mauro Belcaro. Uno a Padova e l’altro a New York, sviluppano attività di successo in settori e mercati differenti. Li abbiamo incontrati per capire meglio la loro storia.
 

Francesco nasce a Piove di Sacco nel luglio 1979 Mauro a Cavarzere nel dicembre dell’80. Il papà Gianni ha un’attività immobiliare, mamma Rosy, stilista ha una piccola mayson di alta moda la “rosyGarbo” che vanta oggi 39 anni di storia e clienti in tutto il mondo. Francesco parte per studiare economia a Madrid, il fratello invece, sceglie il San Martin College di Londra fucina di talenti della moda e poi a Milano allo IED. Il primo lavoro porta Francesco a New York. Dopo un paio d’anni apre la sua prima attività: Made in Italy- New York City. Organizza le serate più cool della grande mela. Sportivi, attori, star, uomini della finanza ci sono tutti. Ma soprattutto c’è il popolo della notte che gli tributa il successo di una filosofia tutta veneta “Work hard and play hard”. Tre anni dopo fonda la Capital Realty Investors, inc. immobiliare che vende a Manhattan appartamenti che possono costare oltre 70 milioni di dollari e che oggi conta dieci collaboratori dei quali quattro italiani. 

Francesco, cosa vuol dire essere un italiano che lavora a New York ?«A New York quando dici che sei italiano vieni sempre accolto con un grande sorriso. Al di là dell’apparente banalità, calarsi nella realtà di New York è un po’ come fare l’esperienza militare potenziata. Ti trovi distante da casa in un mondo pesantemente competitivo con italiani che hanno problemi uguali ai tuoi. Questo ti fa crescere e rinsalda i legami».
È per questo che hai degli italiani nel tuo staff? «In effetti no. Il mio gruppo è eterogeneo perché così è più propositivo, crea idee e ha una certa energia. La scelta non dipende dalla nazionalità, ma dalla capacità di ognuno di essere competitivi».
Anche da New York si può dare qualcosa al Veneto? Avete dei progetti in questo senso? «Certo, da tre anni ad esempio collaboriamo con l’Università Ca’ Foscari. Ormai sono una dozzina i ragazzi che abbiamo supportato in un percorso qui a New York. Li aiutiamo a capire se sono tagliati per restare o se hanno di più da riportare in Italia. Tutti si innamorano di New York e vorrebbero restare, poi c’è chi ha la strada spianata dalla famiglia e chi per tornare dovrà combattere, ma la verità e che non tutti sono adatti a lavorare qui e anche questa è una cosa che bisogna comprendere».
In cosa li supportate in quale attività li avviate? «In tutte. Facciamo loro provare tutto per dare uno sguardo il più ampio possibile, ma soprattutto diamo loro una mano nel comprendere la vita nella metropoli».
Cosa secondo te portano con loro i ragazzi che seguite quando tornano a casa? Conoscenze, competenza, esperienze? «Tutto questo assieme, ma soprattutto un sogno che li porta ad amare di più il nostro Paese e a cercare di restituirgli l’energia che qui trovano e che lì per ora sembra mancare».
 

Mauro Belcaro, il minore, a Padova opera come designer all’interno dell’azienda di moda di famiglia. Anche lui ha spesso la valigia in mano per trovare nuovi fornitori, clienti, mercati, ma alla fine la sua base rimane a Padova. Tra i suoi clienti personaggi come Katia Ricciarelli e Sharon Stone. Giovanissimo Presidente probiviri del gruppo Young designer della Camera della Moda Italiana, è tra i promotori di Next Generation e Incubator. Non gli basta. Un anno fa fonda D.O.C. Department of Comunication un’associazione senza scopo di lucro dedicata al mondo della moda.

Mauro perché nasce e che cos’è D.O.C. ? «D.O.C. è un’idea che nasce da una chiacchierata tra amici. Confrontandoci ci siamo resi conto che le cose non andavano bene per tutti. Per le grandi case e aziende il mercato cresce, in particolare all’estero, ma i piccoli imprenditori e operatori del settore sono in difficoltà perché devono sostenere costi notevoli per promuoversi ma con risorse molto più ridotte. In particolare le persone che lavorano nella moda fanno fatica ad avere un ritorno dignitoso: modelle, parrucchieri, truccatori, fotografi tantissime professionalità hanno l’esigenza di farsi trovare dalle aziende che, a loro volta, hanno bisogno di competenze. D.O.C. nasce come contenitore e come vetrina, ma soprattutto li mette in rete. Attualmente tra professionisti e aziende in Veneto contiamo 200 associati, ma anche Lombardia, Lazio e Sicilia sono in crescita».
E come supportate queste realtà? Che tipo di aiuto fornisce questa rete? «Creiamo collegamenti tra le diverse realtà della filiera, anche attraverso un portale dedicato il www.docstile.it. È come immaginare diverse scatole collegate con un’area work dedicata anche allo scambio di iniziative. Inoltre ci attiviamo per cercare nuovi sbocchi occupazionali, collegandoci a mondi che con la moda non sembrano avere molto a che fare, come ad esempio lo sport o il moto GP. Questo crea visibilità, ma anche nuove nicchie e spazi di lavoro non ancora coperti dove alcuni possono trovare lavoro. Inoltre creiamo sfilate ed eventi alcuni a livello nazionale con tappe a Taormina e Roma, altri piccoli diffusi nel territorio».
A tutti e due: Avete progetti lavorativi insieme in previsione? «Ovviamente abbiamo già degli scambi, ma speriamo di creare nuove situazioni in futuro: tutto parte dalla domanda del mercato».
DI ALESSANDRA TUGNOLO

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