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TUTTO IL ROSA DEL GRANATA

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Dalla tribuna stampa dell’Arsenale, ai vertici della Gazzetta. La carriera di Gianni Valenti, vice-direttore del quotidiano più letto d’Italia, inizia proprio seguendo la Reyer, la sua squadra del cuore. «Sapere che lotta di nuovo per tornare ai massimi livelli è davvero una sensazione speciale»
Una è la testata sportiva più celebre d’Italia. L’altra, una delle società più storiche della pallacanestro tricolore. Ad accomunarle, oltre all’anagrafe (115 anni l’una, 139 anni l’altra), è nientemeno che una delle firme più illustri del giornalismo sportivo di oggi. Gianni Valenti, 48 anni, veneziano, attuale vice-direttore vicario della Gazzetta dello Sport è infatti anche un appassionato reyerino purosangue. Per di più il suo percorso professionale, arrivato fino ai vertici del quotidiano più amato dagli italiani, passando per la carica di caporedattore del Corriere della Sera, è iniziato proprio dalle parti del Palasport Arsenale. «Ho mosso i miei primi passi da giornalista seguendo la Reyer. Nei primi anni ’80 ero collaboratore del Gazzettino e mi fu affidata la pallacanestro. Erano i tempi della grande Carrera, di Haywood e Dalipagic. Fu un’esperienza entusiasmante, seguivo la squadra non solo in casa, ma anche in trasferta sui campi di mezza Italia».
Che ricordi conserva di quel periodo? «Indimenticabili. Era la Reyer che sfidava i colossi del basket italiano, come Milano, Cantù, Varese, Roma. A quell’epoca Venezia si fermava letteralmente per la sua squadra. E la radio era un mezzo fondamentale per tutti quelli che rimanevano fuori dall’Arsenale, sempre stracolmo. Nei bar e nei negozi, tutti erano sintonizzati per seguire le gesta della squadra di Zorzi. Quel periodo fu per me una vera palestra di giornalismo. E conservo grandi ricordi anche dal punto di vista umano: il mio pensiero va a persone come il presidente Carrain, Lelli, Zorzi, De Respinis».
Recentemente ha presenziato per conto della Gazzetta alla cerimonia della Hall of Fame. Dove, guarda caso, è stato premiato proprio Zorzi. «È stato emozionante rivedere Tonino dopo più di vent’anni. Quando ci conoscemmo io ero un giovane giornalista e lui il burbero allenatore, con cui però passavo un sacco di tempo a parlare di basket. Ci siamo ripromessi di rivederci, magari per il ritorno in serie A della Reyer».
Nei primi anni ’80 la Reyer fu tra le protagoniste di una fase forse irripetibile per la nostra pallacanestro. «Ritengo che quegli anni siano stati i migliori di questo sport. C’erano grande attenzione mediatica, italiani forti e solo due stranieri, che però erano spesso dei veri assi. Ai più giovani bisogna ricordare che a Venezia è transitato uno dei giocatori più forti mai visti in Italia come Spencer Haywood, una autentica stella della NBA, o Drazen Dalipagic, che allora era uno dei giocatori europei più forti in assoluto. Senza dimenticare che arrivarono italiani come Della Fiori e Serafini, più volte protagonisti in maglia azzurra. Quella fu la pallacanestro al più alto livello mai vista in Italia, con un gran seguito di pubblico e – di conseguenza – di sponsor».
La sua passione, però, era iniziata ancora prima. «Già da piccolo non mi perdevo una gara interna. Erano gli anni ’70. Mi ricordo le file interminabili il giorno prima della partita per comprare i pochi e ambiti biglietti per entrare alla Palestra della Misericordia, dove si giocava in uno scenario dal fascino assolutamente unico».
Cos’ha provato nell’assistere a questa nuova ascesa della Reyer? «Sapere che stava lottano per tornare in serie A, mi ha fatto grande effetto. Pur vivendola da lontano, mi sono tenuto costantemente informato sui risultati. Anche se è una Reyer diversa da quella che ho vissuto io, il fascino è rimasto intatto. La Reyer è sempre la Reyer e il pensiero che possa tornare nel basket che conta fa provare bellissime sensazioni».

Fa uno strano effetto anche assistere al disimpegno dei Benetton a Treviso, proprio mentre Venezia parla di nuovo di serie A…«Ogni situazione ha la sua storia, i suoi cicli. A Treviso i Benetton hanno fatto tantissimo, portando la pallacanestro ai massimi livelli, dandole una dimensione europea. Ora giustamente devono fare dei ragionamenti di ordine economico».
Cosa occorre per tornare ai massimi livelli, ma soprattutto per rimanerci? «Prima di tutto è necessario mettere a punto un “sistema sostenibile”. Deve esserci uno sponsor forte. Una città che risponda compatta. E poi bisogna trovare quei meccanismi che rendano il progetto autosufficiente nel lungo periodo. Senza darsi da subito obbiettivi straordinari. Anche perché, nonostante tutto, una squadra di basket di serie A costa parecchio. Si parla anche di dieci milioni di euro l’anno. Tenere presente l’aspetto economico è fondamentale: soprattutto ora che si è così vicini a fare il salto, bisogna fare tesoro delle esperienze passate, per evitare di rifare gli stessi errori».
Cos’altro serve per costruire un progetto a lungo termine? «Non bisogna dimenticarsi del vivaio. Vale la pena ricordare ai più giovani che nella grande Reyer di Zorzi c’erano due talenti sbocciati sui campetti di Venezia e cresciuti nel settore giovanile orogranata come Gorghetto e Carraro. Che poi vestirono anche la maglia della nazionale».
Com’è il rapporto tra media e basket in questo momento, in cui la serie A guarda di nuovo alla TV in chiaro? «È impensabile che possa arrivare alla visibilità del calcio. Detto questo, è fondamentale esplorare tutti i canali possibili e soprattutto i nuovi media. Quanto agli altri mezzi d’informazione, la stampa tradizionale conferma sempre un buon livello di attenzione. Mentre il discorso televisivo è legato innanzitutto alla qualità. È vero che i numeri del satellite si sono rivelati ridotti in termini di ascolti. Ma è anche vero che il prodotto offerto era ai massimi livelli, di stampo NBA. E se non offri un prodotto di altissima qualità, è molto difficile intercettare l’interesse del pubblico televisivo, ormai abituato a standard sempre più elevati. Se il passaggio verso altri lidi ci sarà, non potrà prescindere dall’attenzione verso la qualità della produzione».
DI ALESSANDRO TOMASUTTI

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