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Tumori: verso un’immunoterapia più efficace e per più malati

Tumori: verso un’immunoterapia più efficace e per più malati

L’obiettivo potrà essere perseguito grazie a una tecnologia basata su nuove molecole sviluppate negli Stati Uniti che frenano le difese delle cellule cancerose

Tra le strategie adottate per aiutare il sistema immunitario a riconoscere e distruggere le cellule tumorali, l’immunoterapia sta già dimostrando concretamente la sua efficacia.
I farmaci specifici attualmente disponibili presentano però dei limiti, come il fatto che meno del 20% dei pazienti risponde bene e, per di più, anche tra coloro per i quali il trattamento funziona, molti sviluppano nel tempo una forma di resistenza alla cura.
Gli scienziati stanno dunque provando a cambiare l’approccio. E, in tal senso, un risultato molto promettente, che potrebbe aumentare notevolmente il numero di persone che possono beneficiare dell’immunoterapia, è stato raggiunto grazie al lavoro di un gruppo di ricercatori coordinati dagli statunitensi Massachussets Institute of Technology e Università di Stanford.

Le nuove molecole che bloccano la difesa con gli zuccheri delle cellule tumorali

Lo studio è stato appena pubblicato sulla rivista “Nature Biotechnology”. La soluzione proposta dal team guidato da Jessica Stark si concentra sui glicani, cioè gli speciali zuccheri presenti sulla superficie delle cellule cancerose che vengono utilizzati dal tumore, insieme alle proteine, per difendersi.
Il meccanismo molecolare, chiamato tecnicamente “checkpoint glico-immunitario”, si produce attraverso il legame degli zuccheri ai recettori delle cellule immunitarie. A queste viene mandato un segnale di richiesta di non attaccare le cellule tumorali, e scatta contemporaneamente il blocco dell’azione protettiva di macrofagi, cellule NK e linfociti T. Una sorta di freno al sistema immunitario che, utilizzando farmaci tradizionali, è stato finora molto difficile contrastare. Gli scienziati hanno così creato una nuova classe di molecole, chiamate chimere anticorpo-lectina, che, nella sperimentazione condotta in laboratorio su cellule coltivate e sui topi, hanno dimostrato tra l’altro di essere in grado di bloccare questi “segnali-freno” solo dove serve, cioè vicino al tumore. In tal modo, la terapia, oltre che più selettiva, viene potenziata e può risultare meno tossica rispetto ai classici blocchi sistemici dei checkpoint.

Come funzionano le molecole AbLec

Il meccanismo di queste molecole viene descritto nello studio con l’efficace metafora che le descrive come se avessero 2 mani: con la prima, l’anticorpo aggancia la cellula tumorale; con la seconda, si tappa la “serratura” usata dal tumore per bloccare le difese. Più tecnicamente è corretto parlare di “anticorpi ibridi” che svolgono contemporaneamente 2 funzioni. La prima, analoga a quella svolta da anticorpi già utilizzati nella pratica clinica, è il riconoscimento del tumore. La seconda, propria di altre molecole chiamate lectine, è quella di attaccarsi agli zuccheri immunosoppressivi, impedendo loro di spegnere il sistema immunitario. Proprio la combinazione delle lectine con gli anticorpi consente alle prime di superare la loro limitata capacità di stabilire un legame sufficientemente forte con i glicani. E, in tal modo, il sistema immunitario è in grado di lanciare il suo attacco al tumore, visto che aumentano sia i meccanismi di uccisione del tumore, sia la facilità delle cellule di protezione dell’organismo di “mangiare” quelle tumorali. “Ipotizziamo – spiega Stark – che le nostre molecole possano offrire opzioni di trattamento nuove e potenzialmente più efficaci a molti pazienti oncologici”.

I molteplici risultati emersi dagli esperimenti

A rendere particolarmente interessante la novità è anche il fatto che non si parla di un farmaco specifico, ma di una tecnologia modulare adattabile a molti tipi di tumore, in grado di bloccare sia i checkpoint proteici che quelli glico-immunitari e che può essere combinata in sinergia con altri anticorpi già approvati e terapie esistenti. Gli esperimenti effettuati dal team di scienziati hanno intanto dimostrato come le nuove molecole siano in grado di riattivare il sistema immunitario contemporaneamente su più livelli e funzionino meglio degli anticorpi tradizionali, per esempio riducendo nei topi le metastasi polmonari rispetto a quelli trattati con le normali immunoterapie. Nei modelli animali “umanizzati” si è inoltre registrata una riduzione della crescita del tumore e il potenziamento dell’infiammazione utile contro la neoplasia. Gli AbLec, infine, funzionano anche quando il tumore esprime poco antigene, condizione che porta in molti casi alla resistenza del cancro alle terapie.

Alberto Minazzi

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Tag:  ricerca, tumori