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Davide Busato: il thriller storico veneziano

Davide Busato: il thriller storico veneziano
lo scrittore Davide Busato

Danbraunbusato è il divertente hastag con cui trovarlo su twitter. Un nickname che si è scelto non a caso in omaggio a Dan Brown, lo scrittore statunitense autore del famoso thriller “Codice Da Vinci”.
Perché Davide Busato, classe 1975, valente storico veneziano, tra saggi e ricerche d’archivio di thriller, ma “alla veneziana”, ne ha scritti anche lui.
Ha già all’attivo una trilogia di noir storici che ha pubblicato con la casa editrice Helvetia: “
I serial killer della Serenissima. Assassini, sadici e stupratori della Repubblica di Venezia” (2012); “Venezia criminale. Delitti e misteri del ‘700” (2013); “Laguna di sangue. Cronaca nera veneziana di fine Ottocento (2016). E dire che aveva iniziato nel 2006 con una ricerca per Marsilio sull’origine e lo sviluppo dell’isola di Sant’Erasmo. Ma tra lavori di una certa rilevanza, come quello sul Ponte di Rialto o l’ultimo sulla storia della terza colonna di piazza San Marco, che gli vengono commissionati grazie alla società Arcomai che ha fondato con l’archeologa Paola Sfameni nel 2006, Busato scova nell’Archivio storico comunale e nell’Archivio di stato dei Frari le case e i nomi dei boia di cui si serviva la Serenissima per le esecuzioni capitali.
Trova in altri archivi anche 36 casi di cronaca nera commessi da sacerdoti e prelati accaduti nella Penisola tra il Cinquecento e il Novecento e li pubblica nel 2018 in “Tonache di sangue. Assassini, briganti e sicari del clero” (Rusconi).
E ha già in serbo una nuova pubblicazione per il nutrito numero di lettori che lo seguono assiduamente.

 

  • Davide, quando è scattato quel “clic” che ti ha spinto a dedicarti al filone del thriller storico veneziano?

E’ successo proprio con il primo lavoro, una ricerca genealogica che mi commissionò un signore di Milano con origini veneziane. Una storia incredibile. I suoi avi erano mercanti che avevano avuto successo durante la Repubblica di Venezia. Ma uno di loro si era macchiato di parricidio, “delitto atrocissimo” come venivano definiti quelli di maggiore gravità. Tra le carte affiorava il Consiglio dei X, che condusse un’indagine molto approfondita, coinvolgendo una trentina di personaggi tra interrogatori e contro interrogatori. Ho quindi avuto la possibilità di raccontare una storia che altrimenti sarebbe restata sconosciuta. Da lì è partita la voglia di raccontare il tutto non tanto nella forma di saggio, quanto di affrontare una narrazione alla Carlo Lucarelli, un noir che sia usufruibile dal largo pubblico. Quindi fare divulgazione.

  • Divulgare cosa di preciso?

Sono un appassionato dello scrittore Leonardo Sciascia, il quale inizia a scrivere di delitti che usa come grimaldello per aprire un aspetto storico culturale all’interno della propria società, siciliana nella fattispecie. Secondo me, una cosa fattibile anche in ambito veneziano, visto che, tra i lavori che conduco, mi capita spesso di trovare tanto materiale nei fascicoli della magistratura penale, il Consiglio dei X, la Quarantia criminal. Raccontare quindi queste storie è un modo per divulgare, far conoscere la società dell’epoca. Sono anche appassionato di cartografia. Nella prima saga di thriller ho inserito delle mappe anastatiche dove il lettore può individuare il luogo degli accadimenti. Un approccio per un turismo di genere come quello anglosassone.

  • Come mai in “Tonache di sangue” sei uscito dall’ambito regionale per raccontare storie d’Italia?

Sono proprio le ricerche genealogiche che mi portano a consultare ovunque molti archivi ecclesiastici, e ho pensato a questo libro perché i fatti di sangue e i crimini che riguardano il clero sono poco o per niente conosciuti. Come le tante tonache che erano anche sicari per conto del Papato o viceversa per la Serenissima. Nel libro li ho quindi suddivisi in sette sezioni: sicari, iracondi, lussuriosi, banditi, avari, pluriomicidi e blasfemi.

  • Ti è stata affidata la ricerca sulla terza colonna in piazza San Marco, che le cronache vogliono affondata davanti piazza San Marco con l’imbarcazione che la trasportava. Cosa c’è di vero?

E’ una ricerca che ho fatto anche con il Cnr (Centro Nazionale Ricerche) anni fa, dove esposi la teoria che la terza colonna non è mai esistita. Come nel mondo bizantino, le due colonne davanti il bacino di San Marco rappresentavano gli stipiti della porta della città. Quindi, perché portare tre colonne per metterne due? I fatti si sono svolti tra la fine della IV Crociata nel 1204 e l’inizio del dogado di Sebastiano Ziani verso la metà del Duecento mentre i documenti storici che parlano della vicenda risalgono al dogado di Andrea Dandolo, a metà Trecento. Quindi, perché raccontare l’esistenza di una terza colonna? La mia teoria è che sia il tipico espediente veneziano per dimostrare la bravura nel sollevare monoliti pesanti quintali con una tecnica per nulla semplice, per dire che si trattava di un’operazione ciclopica. Tutte le cronache antiche sono scritte in funzione della promozione della Repubblica di Venezia. Oggi diremmo che si tratta di ottimo marketing!

  • Tra i lavori fatti con Paola Sfameni ci sono valutazioni di impatto archeologico in viale San Marco e l’assistenza archeologica in fase di scavo al Museo del Novecento M9 di Mestre. Che storia ha Mestre?

Mestre è stata enucleata dal punto di vista storico dal nostro vissuto. Le operazioni urbanistiche degli anni del boom economico non hanno tenuto conto della storia e dell’archeologia del territorio. Adesso si cerca pian piano di recuperare. Di recente abbiamo fatto un’analisi storica su Villa Erizzo visto che ci devono fare dei lavori. Ma non c’è alcuna pubblicazione a riguardo, pur essendo una famiglia importante per il territorio che ha donato pure un doge, Francesco Erizzo. Notoriamente si considera Mestre un luogo privo di storia, ma non è vero. Basta pensare a toponimi rivelatori come Castelvecchio, dove c’è via Circonvallazione o Castelnuovo, dove c’è la Podesteria. C’è da dire che veramente pochi ci hanno fatto degli studi, come Sergio Barizza, Wladimiro Dorigo o Giuseppe Del Torre. Si finisce lì. In realtà c’è davvero molto da riscoprire e scrivere su Mestre.

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