Grazie ai risultati degli studi svolti alla Città della Salute e della Scienza di Torino, individuato uno strumento che potrà consentire interventi più immediati e più mirati
Il nome scientifico ufficiale è sclerosi laterale amiotrofica, comunemente abbreviato con l’acronimo Sla, conosciuto anche come morbo di Lou Gehrig e ribattezzato con grande ironia da Stefano Borgonovo, ex calciatore di Serie A deceduto il 27 giugno 2013 proprio per questa malattia, “la stronza”. Perché la Sla è un nemico implacabile, conducendo al decesso chi ne è colpito generalmente entro un periodo tra i 2 e i 4 anni dal manifestarsi dei sintomi, con una previsione di quasi 400 mila persone colpite e viventi in tutto il mondo entro il 2040. E come spesso accade in medicina, una diagnosi precoce e una presa in carico tempestiva può risultare fondamentale per le possibilità di intervenire con successo applicando trattamenti di cura. Un obiettivo verso il quale è stato compiuto ora un importantissimo passo avanti grazie ai risultati ottenuti da uno studio internazionale guidato dai ricercatori della Città della Salute e della Scienza di Torino, che hanno nell’occasione collaborato con il National Institutes of Health statunitense.
Un biomarcatore per anticipare la Sla
Come illustrato nell’articolo appena pubblicato sulla rivista “Nature Medicine”, il team scientifico è riuscito a individuare un biomarcatore che permetterebbe di identificare la patologia con largo anticipo, anche diversi anni prima della comparsa dei sintomi clinici. “Questi risultati – sottolinea Adriano Chiò, coordinatore dello studio, nel comunicato stampa in cui la struttura piemontese ha dato l’annuncio della scoperta – rappresentano una vera svolta: per la prima volta disponiamo di uno strumento potenziale non solo per migliorare e accelerare la diagnosi di Sla, ma anche per identificarla in una fase molto precoce, permettendo di intervenire in modo più immediato e più mirato”. Già l’astratto dello studio, del resto, esordisce affermando che “identificare un biomarcatore affidabile per la sclerosi laterale amiotrofica è fondamentale per la pratica clinica”. “Attualmente – ricorda sempre lo studio – la diagnosi di Sla si basa su sintomi clinici e valutazioni neurologiche, proprio come i metodi utilizzati 155 anni fa, quando Jean-Martin Charcot identificò per la prima volta la malattia”.
Sla: 33 proteine da tenere d’occhio
Non esistendo ancora un test definitivo, da cui derivano ritardi fino a 18 mesi per stabilire la diagnosi, tale ruolo potrebbe essere svolto dal biomarcatore. Che è composto da un insieme di 33 proteine plasmatiche, i cui livelli nel sangue sono risultati significamente alterati, anche quando il processo patologico era in fase molto iniziale, nel campione di 183 persone colpite dalla Sla rispetto a quanto si è invece riscontrato nel gruppo di controllo composto da 309 persone sane. La scoperta è stata resa possibile grazie all’utilizzo di una piattaforma basata su tecnologia d’avanguardia, chiamata Olink Explore 3072, che consente di misurare con estrema precisione, rilevando variazioni anche minime, la concentrazione di oltre 3 mila proteine circolanti nel plasma. I ricercatori hanno quindi confermato la validità del risultato attraverso un’analisi di replicazione in una seconda coorte indipendente e, grazie all’impiego di modelli avanzati di intelligenza artificiale, sono riusciti anche a sviluppare un algoritmo in grado di distinguere soggetti sani e pazienti affetti da Sla con un’accuratezza del 98,3%.
Il processo che porta alla Sla e le possibili cure
La Sla è un disturbo neurologico progressivo caratterizzato dalla degenerazione dei motoneuroni, che porta a debolezza muscolare, atrofia e, in definitiva, insufficienza respiratoria. Sono state proprio queste caratteristiche ad aver suggerito agli studiosi, che ne hanno poi trovato conferma, che la malattia abbia una fase preclinica lunga e silente, durante la quale potrebbe diventare possibile intervenire prima del danno irreversibile. “Anche quando ci sono chiare prove di disfunzione motoneurone – aggiunge lo studio – differenziare la Sla da altre condizioni neurologiche può essere difficile, perché la malattia si presenta con manifestazioni cliniche eterogenee”. I risultati della ricerca aprono così a nuovi scenari, non solo per anticipare la diagnosi, ma anche riguardo all’inizio dell’utilizzazione di terapie farmacologiche e non farmacologiche già disponibili, aumentandone così l’efficacia, o verso lo sviluppo di nuovi trattamenti attraverso i quali rallentare o addirittura prevenire la progressione della malattia. Negli Stati Uniti, gli unici trattamenti approvati per la Sla sporadica sono il riluzolo e l’edaravone, ricorda ancora lo studio. Che poi conclude: “C’è un urgente bisogno di farmaci migliori; tuttavia, la necessità di reclutare un gran numero di pazienti con Sla negli studi clinici per valutare l’efficacia dei farmaci ostacola lo sviluppo terapeutico”.
Alberto Minazzi