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Salari: l'Italia prova a difendere il potere d'acquisto

Salari: l'Italia prova a difendere il potere d'acquisto

 Il Governo punta sul dialogo con imprese e sindacati. Le differenze col resto d’Europa

Il boom dell’inflazione sta sempre più erodendo il potere d’acquisto dei lavoratori italiani, che già le statistiche dicono essere da anni i più penalizzati in Europa.
Una situazione che si fa sempre più difficile, giorno dopo giorno, richiedendo interventi a sostegno dei salari che siano rapidi e incisivi.
Al riguardo, anche se non c’è ancora un tavolo fissato, il Governo sembra comunque deciso sulla strada da intraprendere: quella della concertazione con imprese e sindacati.

Salari: la strategia del Governo

Già la scorsa settimana, nel suo saluto al congresso della Cisl, il premier Mario Draghi, aveva dichiarato: “Siamo qui per fare quello che serve all’Italia, ai lavoratori, alle imprese, non per stare fermi. E siamo qui per farlo insieme a voi, alle parti sociali”.
L’esempio citato dal Presidente del Consiglio, in quell’occasione, era stato il grande accordo di concertazione raggiunto nel 1993 dall’allora Governo guidato da Carlo Azeglio Ciampi.
Per veri e propri interventi strutturali, in ogni caso, bisognerà attendere l’autunno e la Legge di Bilancio.
La situazione, tuttavia, è urgente, anche perché, come rileva Eurostat, dal 1990 al 2020, l’Italia è l’unica nazione in cui è diminuito lo stipendio medio (-2,9%).
Dal +6,2% della Spagna al +276,3% della Lituania, in tutti gli altri Stati invece si è registrato un incremento.

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La disponibilità dell’Esecutivo al confronto non toglie infatti l’urgenza di arrivare al più presto a misure concrete. Il bonus da 200 euro in arrivo a luglio nelle buste paga di gran parte dei lavoratori e l’intenzione di prorogare il taglio delle accise sui carburanti non sono sufficienti: potrebbero servire nuove misure una tantum.

Concertazione: le partite aperte

Le posizioni di partenza tra i diversi attori appaiono al momento ancora molto distanti.
Accanto al tema della tutela del potere d’acquisto delle buste paga, quindi dell’aumento delle retribuzioni, si dovranno ad esempio affrontare alcune partite fondamentali come quella della precarietà dei posti di lavoro, che sta raggiungendo nuovi massimi storici, ma anche quella della riforma del sistema pensionistico.
Altro punto piuttosto caldo è quello del salario minimo, su cui però al momento non sembra esservi una posizione univoca nemmeno all’interno dei sindacati. L’obiettivo, in questa prospettiva, è in ogni caso quello di riuscire a raggiungere un accordo entro la fine della legislatura.
Al riguardo, il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, ha intanto ricordato la proposta che punta sul trattamento economico complessivo contenuto nei contratti, rendendolo il salario minimo di riferimento per tutti i lavoratori di quel comparto specifico.

Salari e giovani: le differenze tra Italia ed Europa

Riguardo ai salari, tra le posizioni più delicate c’è quella dei giovani, che risultano più penalizzati di buona parte dei coetanei europei, come ha sottolineato nei giorni scorsi anche il ministro per l’Innovazione tecnologica e la Transizione digitale, Vittorio Colao, nel suo intervento a Rho all’assemblea annuale degli imprenditori di Assolombarda.
Assumete di più, pagate di più, soprattutto i giovani e i migliori laureati”, ha invitato Colao. “Gli stipendi reali, soprattutto da noi in Italia, sono ancora troppo bassi”.
La riflessione ha una base concreta. I più recenti dati Eurostat, aggiornati al 2020, quantifica in 15.858 lo stipendio medio annuo di un lavoratore italiano nella fascia d’età tra 18 e 24 anni. La media dell’Unione è di 16.825 euro, ma tra i più grandi Paesi dell’UE, solo la Spagna (con 14.085 euro) fa registrare un dato più basso, a fronte dei 23.858 tedeschi. E il Belgio, allargando il riferimento, arriva a 25.617. A questo si aggiunge il dato sulla disoccupazione giovanile nel 2021 (in Italia al 23,3%, in Francia al 9,9%) e il fatto che il nostro Paese è uno dei pochi a non avere un salario minimo.
Infine, dal 1990 al 2020, l’Italia è l’unica nazione in cui è diminuito lo stipendio medio (-2,9%): dal +6,2% della Spagna al +276,3% della Lituania, in tutti gli altri Stati invece si è registrato un incremento.

Alberto Minazzi

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